PARTE V

 

UOMO DEI MIGRANTI E PER I MIGRANTI

 

 

Mons. Scalabrini affronta il drammatico problema dell’emigrazione di massa, esploso in Italia all’inizio del suo episcopato, con l’animo del pastore che vede disperdersi il gregge e sente il bisogno di compiere la missione della Chiesa inviata a raccogliere in unità i dispersi figli d’Israele.

L’Apostolo degli Emigrati analizza il fenomeno sotto tutti gli aspetti: dimensioni, cause, conseguenza umane, sociali e religiose. Denuncia le ingiustizie e le oppressioni, ma sa leggere nell’evento un disegno di Dio: perciò scopre la missione della Chiesa verso gli emigrati e il metodo migliore per compiere in loro favore la missione di evangelizzazione e di promozione umana.

Egli stesso si accinge a dare una risposta concreta alle esigenze dei migranti e fonda due Congregazioni missionarie, una maschile e l’altra femminile, di persone votate alla missione mediante la consacrazione religiosa.

La missione evangelizzatrice è completata dall’opera di tutela e di promozione umana, affidata ai laici, e specialmente alla Società San Raffaele.

 

 

 

1. L’EMIGRAZIONE VISTA DALLO SCALABRINI

 

La visione degli emigranti in partenza dalla stazione di Milano e gli appelli dei diocesani emigrati in America interpellano l’animo apostolico del vescovo di Piacenza. L’emigrazione è uno dei fatti più importanti e determinanti della vita italiana contemporanea, è imponente per numero e ha un carattere permanente, dovuto a ineluttabili necessità economiche.

La necessità presuppone un diritto, che non può essere soppresso dallo Stato o dai centri di potere, i quali devono assicurare la libertà di emigrare, ma non la libertà di «fare emigrare», causa di speculazione e di sfruttamento.

L’emigrante non diretto e non tutelato è esposto a «mali infiniti sia materiali che morali», è «preda facilissima della speculazione»; abbandonato a se stesso, rischia di perdere la propria identità culturale e religiosa.

Se invece l’emigrazione è ben diretta e assistita, può diventare «strumento di quella Provvidenza che presiede agli umani destini e li guida, anche attraverso a catastrofi, verso la meta, che è il perfezionamento dell’uomo sulla terra e la gloria di Dio nei cieli». Nel disegno della Provvidenza, infatti, l’emigrazione è destinata a maturare «l’unione in Dio per Gesù Cristo di tutti gli uomini di buon volere».

 

 

 

a) LE DIMENSIONI E LE CAUSE

 

«Erano emigranti»

 

In Milano, parecchi anni or sono, fui spettatore di una scena che mi lasciò nell’animo un’impressione di tristezza profonda.

Di passaggio alla stazione vidi la vasta sala, i portici laterali e la piazza adiacente invasi da tre o quattro centinaia di individui poveramente vestiti, divisi in gruppi diversi. Sulle loro facce abbronzate dal sole, solcate dalle rughe precoci che suole imprimervi la privazione, traspariva il tumulto degli affetti che agitavano in quel momento il loro cuore. Erano vecchi curvati dall’età e dalle fatiche, uomini nel fiore della virilità, donne che si traevano dietro o portavano in collo i loro bambini, fanciulli e giovanette tutti affratellati da un solo pensiero, tutti indirizzati ad una meta comune.

Erano emigranti. Appartenevano alle varie provincie dell’Alta Italia ed aspettavano con trepidazione che la vaporiera li portasse sulle sponde del Mediterraneo e di là nelle lontane Americhe, ove speravano di trovare meno avversa la fortuna, meno ingrata la terra ai loro sudori.

Partivano, quei poveretti, alcuni chiamati da parenti che li avevano preceduti nell’esodo volontario, altri senza sapere precisamente ove fossero diretti, tratti da quel potente istinto che fa migrare gli uccelli. Andavano nell’America, ove c’era, lo sentirono ripetere tante volte, lavoro ben retribuito per chiunque avesse braccia vigorose e buona volontà.

Non senza lagrime avevano essi detto addio al paesello natale, a cui li legavano tante dolci memorie; ma senza rimpianto si disponevano ad abbandonare la patria, poiché essi non la conoscevano che sotto due forme odiose, la leva e l’esattore, e perché pel diseredato la patria è la terra che gli dà il pane, e laggiù lontano lontano speravano di trovarlo il pane, meno scarso se non meno sudato.

Partii commosso. Un’onda di pensieri mesti mi faceva nodo al cuore. Chi sa qual cumulo di sciagure e di privazioni, pensai, fa loro parer dolce un passo tanto doloroso!.... Quanti disinganni, quanti nuovi dolori prepara loro l’incerto avvenire? quanti nella lotta per l’esistenza usciranno vittoriosi? quanti soccomberanno fra i tumulti cittadini o nel silenzio del piano inabitato? quanti, pur trovando il pane del corpo, verranno a mancare di quello dell’anima, non meno del primo necessario, e smarriranno, in una vita tutta materiale, la fede dei loro padri?

Da quel giorno la mente mi andò spesso a quegl’infelici, e quella scena me ne richiama sempre un’altra non meno desolante, non veduta, ma intraveduta nelle lettere degli amici e nelle relazioni de’ viaggiatori. Io li vedo quei meschinelli sbarcati su terra straniera, in mezzo ad un popolo che parla una lingua da loro non intesa, facili vittime di speculazioni disumane: li vedo bagnare coi loro sudori e con le loro lagrime un solco ingrato, una terra che esala miasmi pestilenziali, rotti dalle fatiche, consunti dalla febbre sospirare invano il cielo della patria lontana e l’antica miseria del natio casolare, e soccombere finalmente senza che il rimpianto dei loro cari li consoli, senza che la parola della fede additi loro il premio che Iddio ha promesso ai buoni ed agli sventurati. E quelli che nella rude lotta per l’esistenza trionfano, eccoli, ohimè! laggiù nell’isolamento, dimenticare affatto ogni nozione soprannaturale, ogni precetto di morale cristiana, e perdere ogni dì più il sentimento religioso, non alimentato dalle pratiche di pietà, e lasciare che gli istinti brutali prendano il posto delle aspirazioni più elevate.

Di fronte ad uno stato di cose così lacrimevole, io mi sono fatto sovente la domanda: come poter rimediarvi? E tutte le volte che mi accade di leggere su pei giornali qualche circolare governativa che mette le autorità ed il pubblico in guardia contro le arti di certi speculatori, i quali fanno vere razzie di schiavi bianchi per spingerli, ciechi strumenti di ingorde brame, lontano dalla terra natale col miraggio di facili e lauti guadagni; e quando da lettere di amici o da relazioni di viaggi rilevo che i paria degli emigranti sono gli italiani, che i mestieri più vili, seppure vi può essere viltà nel lavoro, sono da esso loro esercitati, che i più abbandonati, e quindi i meno rispettati, sono i nostri connazionali, che migliaia e migliaia dei nostri fratelli vivono quasi senza difesa della patria lontana, oggetto di prepotenze troppo spesso impunite senza il conforto di una parola amica, allora, lo confesso, la vampa del rossore mi sale in volto, mi sento umiliato nella mia qualità di sacerdote e di italiano, e mi chieggo di nuovo: come venir loro in aiuto?

Anche pochi giorni or sono un distinto giovane viaggiatore mi portava il saluto di parecchie famiglie dei monti piacentini attendati sulle sponde dell’Orenoque: Dica al nostro Vescovo che ricordiamo sempre i suoi consigli, che preghi per noi e che ci mandi un prete, perché qui si vive e si muore come bestie...

Quel saluto dei figli lontani mi suonò quale un rimprovero …1.

 

 

«Uno dei fatti più importanti della moderna vita italiana»

 

Uno dei fatti più importanti della moderna vita italiana è la sua emigrazione; importante per il numero, per i quesiti sociali che involge, per il malessere economico di cui è stimolo. Secondo i calcoli della statistica, gli italiani emigrati che vivono ora nelle Repubbliche Americane sorpassano i due milioni: più di un milione nelle Repubbliche del Sud, 400 mila e più nel Brasile, e il resto nelle vaste parti d’America e soprattutto al Nord. La sola città di New York ne novera 85 mila. Nel decennio 1880-1890 uscirono dai confini del Regno due milioni di abitanti - un milione per la emigrazione temporanea, vero flusso e riflusso di viventi che dà ai lavori d’Europa la mano d’opera intelligente e solerte dei nostri operai e riporta in patria lode e danaro; e un milione alla emigrazione permanente - ossia gente che se ne va al di là dell’oceano colla speranza, quasi sempre delusa, di far ritorno, e si sparge fra le giovani Repubbliche americane, al Sud e al Nord, nelle città popolose, fra le pampas deserte e le vergini foreste, portando ovunque un’attività sempre apprezzata e stimata (…).

Queste cifre non hanno bisogno di un lungo commento. Esse dicono chiaramente e rigorosamente: che nel biennio 87-88 uscì maggior numero di cittadini dal Regno d’Italia, che non dalla Francia, dai Paesi Bassi, dalla Spagna, dal Portogallo, dall’Austria, dal Belgio, dalla Danimarca, dalla Svizzera unite insieme: dicono che la nostra emigrazione è quattro volte tanto quella della Russia, il triplo della Germania che pure ha una larghissima emigrazione e di qualche migliaio superiore a quella del Regno Unito, che ha colonie fiorentissime ed affari in tutte le parti del mondo2.

 

 

«Un fenomeno che ha tutti i caratteri di un fatto permanente»

 

Le cifre esposte sono imponenti, ma il fenomeno migratorio, o Signori, pare non abbia raggiunto il suo apogeo, poiché malgrado le difficoltà frapposte dalla legge voluta due anni or sono, e che limita l’opera degli agenti di emigrazione; malgrado i disinganni e le grida di dolore che di tanto in tanto attraversando l’Atlantico, ci fanno fremere ed arrossire, malgrado infine le proibizioni governative, l’esodo doloroso continua. Gli è, o signori, che l’emigrazione italiana, che fu ed è aumentata per le tristi condizioni nostre specialmente agrarie, che fu ed è stimolata fuor misura dagli agenti di emigrazione e dalla necessità di braccia da sostituire agli schiavi liberati del Brasile, risponde nel suo insieme ad un vero bisogno del popolo italiano, ed è in rapporto coll’aumento annuale della sua popolazione. Non si tratta quindi di un fenomeno transeunte, ma di un fenomeno che ha tutti i caratteri di un fatto permanente. L’Italiano è uno dei popoli che ha maggior aumento annuale di popolazione. Aumenta in ragione dell’11 e 12 per mille, in ciò superato solo dall’Olandese che vanta una eccedenza dei nati sui morti del 13 per mille.

Quindi è che malgrado la ingente emigrazione, la popolazione del Regno aumenta, e fra pochi anni, le nostre belle contrade avranno un massimo di densità.

Secondo calcoli esatti, aumentando la popolazione, come nello scorso ventennio, gli Italiani fra un secolo saranno 100 milioni dei quali, ammettendo pure, data una larga colonizzazione interna, di poterne ospitare tra i confini del regno altri 10 milioni e di raggiungere così i 45 o 50 milioni - che tanti potrebbe capirne l’Italia, se tutte le sue regioni avessero la densità della popolazione della Lombardia -  avremo sempre un immenso popolo di altri 50 milioni, che si spargerà, nel secolo venturo, pel mondo, sospinto da una forza a cui invano si resiste, la lotta per la vita; 50 milioni di Italiani, o signori, dispersi sulla faccia della terra come foglie rapite da un turbine!3

 

 

«L’emigrazione è un fatto naturale e una necessità ineluttabile»

 

L’emigrazione è un fatto naturale e una necessità ineluttabile. È una valvola di sicurezza data da Dio a questa travagliata società; è una forza conservatrice assai più potente di tutti i compressori morali e materiali, escogitati e messi in opera dai legislatori per tutelare l’ordine pubblico e per guarentire la vita e la roba dei cittadini. È noto il proverbio: malesuada fames. Chi potrebbe trattenere un popolo che scatta sotto le convulsioni del ventre, dato che non vi fosse la speranza di trovare altrove il pane quotidiano?

A quelli pertanto che, nel considerare le miserie cagionate dalla emigrazione, esclamano serenamente: e perché dunque tanta gente emigra? è facile il rispondere. L’emigrazione nella quasi totalità dei casi non è un piacere, ma una necessità ineluttabile. Senza dubbio fra gli emigranti vi sono anche cattivi soggetti, vagabondi e viziosi: ma costoro sono minor numero. La immensa maggioranza, per non dire la totalità di coloro che espatriano, per recarsi nella lontana America, non sono di questa tempra; non fuggono l’Italia per aborrimento del lavoro, ma perché questo loro manca e non sanno come vivere e mantenere la propria famiglia.

Un eccellente uomo e cristiano esemplare d’un paesello di montagna, ove anni sono io mi trovavo in visita pastorale, mi si presentò a chiedere la benedizione ed un pio ricordo per sé e pei suoi di partenza per l’America.

Alle mie osservazioni egli oppose questo quanto semplice, altrettanto doloroso dilemma: o rubare o emigrare. Rubare né debbo né voglio, perché Dio e la legge me lo vietano; guadagnar qui il pane per me e pei figli non m’è possibile. Che fare adunque? emigrare: è l’unica risorsa che ci resta... Non seppi che soggiungere. Lo benedii commosso raccomandandolo alla protezione di Dio, e una volta di più mi persuasi essere l’emigrazione una necessità che s’impone quale rimedio supremo ed eroico cui bisogna sottoporsi, come a dolorosa operazione si sottopone il paziente per evitare la morte.

La Religione e l’emigrazione, ecco ormai i due soli mezzi che potranno per l’avvenire salvare la società da una grande catastrofe; l’una avviando su altri continenti il soverchio della popolazione, l’altra consolando di care speranze il dolore disperato degli infelici4.

 

 

b) IL DIRITTO NATURALE DI EMIGRARE

 

«Un sacro diritto»

 

Coloro che vorrebbero impedita o limitata l’emigrazione in nome di considerazioni patriottiche ed economiche, e quelli che la vogliono, in nome di una male intesa libertà, abbandonata a se stessa senza consiglio e senza guida, o non ragionano affatto o ragionano, a mio avviso, da egoisti e da spensierati. Infatti, impedendola si viola un sacro diritto umano; abbandonandola a sé la si rende inefficace. I primi dimenticano che i diritti dell’uomo sono inalienabili e che quindi l’uomo può andare a cercare il suo benessere ove più gli talenti; i secondi, che l’emigrazione, forza centrifuga, può diventare, quando sia ben diretta, una forza centripeta potentissima. Oltre infatti recar sollievo a quelli che restano colla diminuita concorrenza delle braccia, e coi nuovi sbocchi aperti al commercio, torna essa d’immenso profitto acquistando influenze, e riportando sotto mille forme i tesori di attività sottratti per un momento alla nazione (...).

Il discutere teoricamente, se sia l’emigrazione un bene o un male, è qui inutile, bastando al mio scopo di constatarne l’esistenza. Siccome però dopo le ricerche che ho intraprese, per raccogliere i dati statistici e i fatti che servono di base a questo mio breve lavoro, e nei discorsi famigliari, mi sono accorto di una grande confusione di idee su questo rapporto, non solo fra la borghesia e i privati, ma anche fra giornalisti e persone che si dedicano alla cosa pubblica, così le ho credute, siffatte considerazioni, non del tutto inopportune.

Principalmente i proprietari di terre, ove l’emigrazione dei contadini è più numerosa, impensieriti da questo repentino impoverimento di braccia, che si traduce in un adeguato aumento di mercedi per quelli che restano, hanno fatto sentire i loro lagni al Governo e per mezzo di deputati e di associazioni hanno chiesto provvedimenti «per sanare e circoscrivere questo morbo morale, questa diserzione, che spoglia il paese di braccia e di capitali fruttiferi, che fa rompere i patti colonici e lascia dietro a sé la svogliatezza e la insubordinazione senza nessun vantaggio degli emigranti, perché i contadini privi di capitali e di cognizioni saranno sempre dovunque proletari, e la miseria che tentano sfuggire abbandonando la patria, li seguirà sempre come l’ombra del loro corpo, aumentata da nuovi bisogni e dall’isolamento» (Atti parlamentari, tornata 12 Febbraio 1879).

Come ognuno può facilmente rilevare, queste ragioni e questi consigli si ispirano più all’interesse degli agiati che restano, che ai bisogni dei miseri che sono costretti ad andarsene, e se l’autorità prestasse loro facile orecchio e informasse l’opera sua a tali suggerimenti sarebbe cosa inutile, ingiusta e dannosa. Inutile, perché non arriverebbe mai a sopprimere l’emigrazione; ingiusta, poiché ingiusto e tirannico è ogni atto che frappone ostacolo al libero esercizio di un diritto; dannosa, perché l’emigrazione prenderebbe altra via che non quella naturale dei nostri porti, come è avvenuto ogniqualvolta il Governo, per un malinteso spirito di patriottismo, ha reso difficile l’emigrazione5.

 

 

«L’emigrazione deve essere spontanea»

 

Se gli agenti di emigrazione fossero, come sembra credere l’on. De Zerbi nella sua relazione, nulla più che semplici intermediari, uomini cioè di fiducia tra le varie Società di Navigazione e gli emigranti, e restringessero l’opera loro a dare schiarimenti sul modo e sul tempo degli imbarchi; e le agenzie non altro che semplici succursali degli uffici centrali di Navigazione, non ci sarebbe da impensierirsene. La loro azione, quantunque superflua nel maggior numero dei casi (poiché quelle cognizioni si potrebbero apprendere, da chi ne avesse interesse, sul canto delle vie e nei pubblici spacci), pure non sarebbe dannosa. Potrebbe anzi alle volte riescir comoda agli emigranti. E anche se gli agenti facessero un po’ da tentatori per risolvere i dubbiosi, e mostrassero ai poveri assetati della miseria i ruscelletti americani freschi e molli, come quelli che nell’inferno dantesco facevano andare in visibilio maestro Adamo, via, non sarebbe un finimondo, e si potrebbe chiudere un occhio e dir loro col Manzoni: va, va, povero untorello, non sarai tu quello che spianti Milano.

Ma la facoltà di fare arruolamenti è qualcosa di ben diverso da tutto ciò, e gli agenti, che ne usavano di già quando era vietato dalle Circolari ministeriali, figurati se non vorranno valersene ancora più largamente quando sarà per legge un diritto! Per naturale conseguenza le catastrofi, lamentate per il passato, aumenteranno a misura della libertà accordata, poiché esperienza da una parte non vale contro la sete di guadagno insaziato, e ignoranza dall’altra, o non sa il fato di chi lo ha preceduto su quella via, o spera di essere più fortunata.

Le pene comminate dalla nuova legge agli agenti di emigrazione sono severe, e sta’ bene; non lo saranno mai troppo contro chi, più turpe del ladro e più crudele dell’omicida, spinge alla rovina tanti infelici. Quanti di essi, strappati al loro casolare da false promesse, se ne andarono al di là dell’oceano in mezzo a lande inospite, alle prese con mille difficoltà insormontabili, fortunati se infine riescirono a trovare un lembo di terra ove morire in pace! Quanti, abbandonati su piagge deserte senza vesti e senza pane, ebbero per somma ventura di poter ritornare, colla disperazione nel cuore, al paesello natio!6

 

 

«Libertà di emigrare, non di far emigrare»

 

Libertà di emigrare, ma non di far emigrare, perché quanto è buona la emigrazione spontanea, altrettanto è dannosa la stimolata. Buona, se spontanea, essendo essa una delle grandi leggi provvidenziali, che presiedono ai destini dei popoli ed al loro progresso economico e morale; buona, perché è una valvola di sicurezza sociale; perché apre i fioriti sentieri della speranza, e qualche volta della ricchezza, ai diseredati; perché dirozza le menti del popolo col contatto di altre leggi e di altri costumi; perché reca la luce del vangelo e della civiltà cristiana fra barbari ed idolatri ed eleva i destini umani, allargando il concetto di patria oltre i confini materiali e politici, facendo patria dell’uomo il mondo.

È cattiva, se stimolata, perché al vero bisogno sostituisce la rabbia dei sùbiti guadagni o un mal inteso spirito di avventura; perché spopolando oltre misura e senza bisogno il suolo patrio, invece di essere un sollievo e una sicurezza, diventa un danno e un pericolo, creando un maggior numero di spostati e di illusi; cattiva, infine, perché devia la emigrazione dalle sue correnti naturali, che sono le più proficue e le meno pericolose, e perché l’esperienza ci insegna esser causa di grandi catastrofi, che si possono e si debbono impedire da un Governo civile e previdente7.

 

 

c) LE CONSEGUENZE

 

«Quanto sappia di sale il povero pane dell’emigrato»

 

I pericoli che porta seco una tale emigrazione sono senza numero e del pari senza numero sono i mali che l’affliggono.

Quand’io, dieci anni or sono, raccolsi il grido di dolore dei nostri poveri emigrati in uno scritterello che ebbe tanta eco nel cuore di tutti i buoni, e che riscosse in ogni ceto di persone così largo consenso di pensiero e di opere, io ero ben lungi dall’immaginare il cumulo di mali e di tutti i pericoli ai quali si espone il povero emigrante. Tutto, tutto cospira contro di lui, e i suoi mali spesso incominciano prima dell’esodo dall’umile casolare, sotto la forma di un agente di emigrazione che lo determina a partire, facendogli balenare innanzi la facile conquista della ricchezza e lo avvia dove a lui piace e conviene, non dove l’interesse dell’emigrante consiglierebbe; e lo seguitano quei mali lungo il viaggio, spesso disastroso, e lo accompagnano al suo arrivo in quei luoghi infestati da terribili malattie, nei lavori ai quali si sente spesso disadatto, sotto padroni fatti disumani o dalla bramosia insaziata dell’oro, o dall’abitudine di considerare il lavoratore come un essere inferiore; e si aggravano quei mali sotto i mille agguati che la malvagità tende loro in paesi stranieri, di cui ignorano la lingua e i costumi, in un isolamento che è spesso la morte del corpo e dell’anima.

E potrei citare fatti numerosi che dimostrano di quante lagrime sia bagnato e quanto sappia di sale il povero pane dell’emigrante, di quegli infelici che, tratti laggiù o da vane speranze o da false promesse, troveranno un’iliade di guai, l’abbandono, la fame e non di rado la morte, ove credettero di trovare un paradiso; che, colorato dal miraggio del bisogno videro l’Eldorado, senza pensare che il simoun violento della realtà sperde in un attimo le incantate città dei sogni! Infelici estenuati dalle fatiche, dal clima, dagli insetti, cadono sconsolati sulla gleba fecondata dai loro sudori, sul margine delle vergini foreste, che seppero dissodare non per sé, né pei figli, percossi da quel morbo fatale e gentile che è la nostalgia, sognando forse la patria, che non seppe dar loro nemmeno il pane, invocanti invano il ministro della religione santa dei loro padri, che lenisca i terrori della agonia colle immortali speranze della fede.

Signori, il quadro non è lieto, ma è la storia verace di migliaia di nostri connazionali emigrati, quale io l’ho raccolta dalle relazioni dei miei Missionari, e quale mi viene scritta e raccontata da chi fu testimone e parte di quei tristissimi esodi.

Non però vorrei essere frainteso o sembrar pessimista. Le tristi cose accennate non possono dirsi di tutti i nostri emigrati. Moltissimi di loro hanno trovato nei paesi ospitali pane sufficiente, molti agiatezza, e alcuni ricchezza, e formano nel loro insieme colonie di cui la madre patria può andare orgogliosa. Ma sono pure moltissimi i disgraziati, e in gran parte lo sono per loro ignoranza e per incuria nostra8.

 

 

«Mali infiniti sia materiali che morali»

 

I pericoli che attendono gli emigranti sono tali e sì numerosi, che difficilmente un uomo anche sveglio d’ingegno se ne potrebbe sottrarre totalmente. Che dire poi dei poveri contadini, che ignari di tutto, si affidano a persone, le quali non vedono in ogni emigrante che una cosa da sfruttare?

Pur troppo coloro che leggono giornali debbono aver in mente un certo numero di fatti ora turpi, ora tragici, sempre tristi nei quali i nostri poveri fratelli che emigrano figurano in qualità di vittime.

Qualche anno fa i pubblici diari parlarono di due o tre centinaia di emigranti, che arrivati al porto di imbarco, non so se di Genova o di Napoli, trovarono che il loro danaro raggranellato chi sa con quanti stenti e forse colla vendita dell’ultima masserizia, era andato a finire nelle mani di un truffatore. Quindi lagrime, strida, imprecazioni e poi ritorno al paese nativo a spese dello Stato.

Sul principio dell’inverno del 1873 giunse a New York un bastimento con molte famiglie di contadini abruzzesi, che erano stati imbarcati dagli agenti di emigrazione colla promessa di essere diretti a Buenos Aires, ove ansiosamente li attendevano amici e parenti. Quei disgraziati, che aveano anche molto sofferto durante la traversata, si trovarono invece altrove, sfiniti, ben lontani dalla meta del loro viaggio e senza mezzi per proseguirlo.

Ma queste possono essere eccezioni. Quello che è regola generale è il modo con cui avviene il loro trasporto. Stivati peggio di bestie, in numero assai maggiore di quello che permetterebbero i regolamenti e la capacità dei piroscafi, essi fanno quel lungo e malagevole tragitto letteralmente ammucchiati, con quanto danno della morale e della salute ben può ognuno immaginarlo.

Che dire poi della sorte ancor più lacrimevole che li attende giunti che siano a toccare la sospirata meta? Spesso raggirati da arti subdole, abbagliati da mille bugiarde promesse, costretti dal bisogno, si vincolano con contratti che sono una vera schiavitù, e i fanciulli trovansi avviati coll’accattonaggio sulla strada del delitto e le donne gettate nell’abisso del disonore.

I vasti ed incolti terreni dell’America del Sud, del Brasile, del Cile sono ceduti in enfiteusi agli emigranti o direttamente dai governi o da società private, che ne hanno acquistato la proprietà a scopo di speculazione; e dopo un dato numero di anni e mediante pagamento di canoni convenienti, il contadino diventa padrone del suolo fecondato col proprio sudore. I coloni quindi piantano le loro tende fra quelle lande, che tramutano spesso in ridenti ed ubertose campagne, e quei contadini per lo più di una stessa regione e qualche volta di uno stesso paese, battezzano laggiù col nome del villaggio nativo il luogo ove la Provvidenza li ha balestrati.

Ma questi raggruppamenti se possono scemare i pericoli dell’emigrazione, rendendo meno triste e più sicura la vita, possono anche, se non sono ben sorvegliati, essere causa di mali infiniti sia materiali sia morali. Poiché i nostri poveri contadini corrono pericolo d’essere avviati dagli speculatori a consumare la loro vita su terreni sterili e in luoghi malsani o mal difesi dalle bestie feroci e dalle orde barbariche. Cose tutte coteste che già si verificarono, più di una volta, e su cui la stampa e l’opinione pubblica ripetutamente si commossero9.

 

 

«Preda facilissima della speculazione»

 

Ma dove si avvia questa gran massa di viventi, questa fiumana di sangue italiano?

La maggior parte di essa, è doloroso il dirlo, non sa dove vada. Per loro è l’America, il paese a cui si dirigono quelli che lasciano la patria in cerca di fortuna. Al Sud o al Nord, fra le zone temperate o le tropicali, in climi sani o pestilenti, su terre fertili o più sterili di quelle che abbandonano, in centri popolosi o in contrade deserte, essi non sanno. Vanno in America, e non di rado con l’aggravante di un contratto firmato in bianco che mette, se non la loro persona, il loro lavoro a disposizione di un padrone qualunque.

È così, che gli agenti di emigrazione hanno avviato un numero assai considerevole di emigranti al Brasile, a sostituire la mano d’opera già insufficiente ai bisogni dell’agricoltura, e resa affatto deficiente, come già dissi, dall’abolizione della schiavitù. È così che a New York il così detto sistema dei padroni, condannato con un Bill del Senato degli Stati Uniti, agglomerò un numero sterminato di emigranti, attirati colà con mille promesse, sfruttati indegnamente e poi abbandonati, per lasciare il posto ai nuovi venuti, vittime nuove di turpi guadagni. È così, da ultimo, che nel Cile, per tacere di molti altri casi, trovano l’abbandono e la miseria più migliaia di nostri connazionali, allettati a recarvisi da ridenti menzogne. E come l’ignoranza e la povertà li rende qui in patria facili vittime degli agenti di emigrazione, cosi laggiù l’isolamento e la miseria li rendono preda facilissima della speculazione, sempre e dovunque senza viscere di pietà, e laggiù più che altrove. Per tal modo, invece di lavoro adatto e largamente retribuito, invece di abbondante e sano nutrimento, trovano quegli infelici un rude lavoro, quando lo trovano, una retribuzione che, misurata alle fatiche, ai pericoli, al rincaro dei generi di prima necessità, è una vera irrisione, trovano poi il poco miglioramento dietetico pagato a largo prezzo, con la privazione bene spesso di quanto significa vita civile10.

 

 

«Smarriscono il sentimento della nazionalità e il sentimento della fede»

 

Ma chi potrebbe descrivere i pericoli ai quali vanno incontro i nostri poveri emigrati in ordine alla vita religiosa? Si è detto tutto dicendo che nella immensa maggioranza essi vivono colà senza veder mai la faccia di un prete e la croce di un campanile. Abbandonati quindi a se stessi, o si danno all’indifferentismo più desolante o disertano la fede dei loro padri. Vi dirò cosa che stringe il cuore a pensarvi: in sessant’anni, secondo calcoli ufficiali, emigrarono in una grande repubblica Americana, 40 milioni di cattolici. Ora, supposto pure che 20 milioni, il che non si verificò mai, siano rimpatriati, i cattolici colà residenti, tenuto conto dei nati e dei morti, dovrebbero raggiungere la cifra di almeno 20 milioni; invece secondo l’ultimo censimento ecclesiastico, il loro numero non arriva, o certo non arrivava allora, agli 8 milioni. Dove se n’andarono gli altri 12 milioni?

Smarriscono il sentimento della nazionalità, e con esso, cosa che stringe il cuore, a pensarvi, il sentimento della cattolica Fede, cadono vittime della propaganda protestante, vittime infelici delle sette, colà, più che altrove attive e numerose. Ah! signori, permettete a un Vescovo di piangere innanzi a voi tanta sventura! La privazione di quel pane spirituale che è la parola di Dio, l’impossibilità di riconciliarsi con Lui, la mancanza del culto e di ogni eccitamento al bene, esercita un’influenza mortifera sul morale del popolo. Anche l’uomo istruito è soggetto a tale pericolo, ma in minor grado poiché la sua educazione, la sua cultura, la conoscenza teorica della Religione, valgono in qualche modo a salvarlo dal gelo dell’indifferenza, potendo egli, se non altro, associarsi col pensiero ai divini Misteri, che si celebrano altrove, e nutrire la mente di letture morali. Ma il povero figlio della gleba, come potrebbe assorgere a pensieri così elevati? Per lui, più che per gli altri, il concetto della religione è inseparabilmente unito a quello del Tempio e del Prete. Dove taccia ogni sensibile apparato religioso, egli a poco a poco dimentica i suoi doveri verso Dio, e la vita cristiana nel suo spirito illanguidisce e muore. Ma non muore in lui la sete del vero, la brama dell’infinito! «L’uomo, dice un moderno filosofo incredulo, abbisogna naturalmente di Religione e di Culto. Egli è religioso per natura, come per natura è ragionevole, o meglio ancora egli è religioso perché ragionevole». Questo bisogno tanto più è sentito quanto meno è possibile soddisfarlo. Ciò si tocca con mano in mezzo ai nostri emigrati, anche là dove per mancanza del prete regna sovrano il materialismo il più abbietto. Immaginate poi quanto quel bisogno debba essere vivo tra coloro - e sono i più - i quali ancora sentono la dignità del proprio essere, odono ancora i reclami della loro coscienza11.

 

 

«Abbandonati laggiù senz’ombra di assistenza religiosa»

 

I poveri contadini che emigrano, quando non muoiano per via, o non soccombano per le privazioni o pel il crepacuore di vedersi tratti in inganno, sono, si può dire, abbandonati laggiù senz’ombra di assistenza religiosa. Il loro stato è più facile immaginarlo che descriverlo.

I preti non abbondano in America, e quei pochi che vi sono, ignari quasi sempre della nostra lingua, non potrebbero neppure adempiere, come vorrebbero, ai loro doveri, per la semplicissima ragione che dagli emigrati non sarebbero compresi. Taccio che per essere gli emigrati stessi dispersi per quella steminata superficie, il sacerdote non potrebbe visitarli che assai di rado e alla sfuggita. L’italiano perciò che vive in America, è quasi costretto, generalmente parlando, a menare una vita peggio che pagana, senza Messa, senza Sacramenti, senza pubbliche preghiere, senza culto, senza parola di Dio, talché è molto se i loro figli vengono battezzati. Ora è manifesto che un simile stato di cose, deve condurre insensibilmente quegl’infelici ad una indifferenza spaventevole in fatto di religione e ad un materialismo che abbrutisce (…).

Non bisogna poi dimenticare che se in America mancano troppo spesso templi e sacerdoti cattolici, la propaganda protestante o massonica, a seconda dei luoghi, non fa mai difetto. Là ove la voce del ministro di Dio non giunge, arrivano i fogli miscredenti, i romanzi immorali, gli opuscoli ed i libri delle sette. Quindi se da un lato manca ogni soccorso religioso, abbondano dall’altro le insidie alla fede dei nostri poveri connazionali, i quali o per interesse o per ignoranza di leggieri si lasciano arreticare dagli apostoli dell’errore12.

 

 

«La maggior parte dei mali potrebbero evitarsi»

 

Ma ciò che più rattrista in tutto questo, è il pensiero che la maggior parte dei mali religiosi, morali, economici, ai quali si espone la nostra emigrazione potrebbero evitarsi o impicciolirsi d’assai, qualora le classi dirigenti in Italia fossero consce dei doveri che li legano ai fratelli espatriati; poiché le immense contrade d’America non sono così malsane da non poter offrire alla nostra emigrazione un angolo tranquillo, e non tutte le terre son così possedute dalla speculazione, da non trovarne ancora di così fertili e a buon patto da assicurare un equo compenso ai lavoratori. Tutto sta saperle additare alla nostra emigrazione. Ma quando si è fatto questo in Italia? quando si è detto all’emigrante: badate, questo e quest’altro contratto che vi si offre, queste e quest’altre regioni che vi si additano, nascondono il tale e il tale agguato: sono malsicure, sono malsane, sono sterili; o pure essendo fertili, sono così fuori da ogni possibile mezzo di comunicazione, così segregate da ogni umano consorzio, che il frutto delle vostre fatiche giacerà invenduto, ricchi ad un tempo e poveri? Quando mai, ripeto, si è fatto questo in Italia? Tutto al più si grida un po’ e si geme sotto la sferza di qualche fatto, che in quei nostri fratelli offende il nostro amor proprio nazionale, si grida e si compassiona e si reclama anche, se si vuole, qualche misura dal Governo, e poi? tutto tace, tutto si copre di oblio, tutto rientra nella calma; la calma infida dell’onda che nasconde la vittima e se ne preparano di nuove!13.

 

 

d) IL DISEGNO DI DIO

 

«L’emigrazione è un bene e un male»

 

È indubitatamente un bene, fonte di benessere per chi va e per chi resta, vera valvola di sicurezza sociale, sgravando essa il suolo del soverchio della popolazione, aprendo nuove vie ai commerci ed alle industrie, fondendo e perfezionando le civiltà, allargando il concetto di patria oltre i confini materiali, facendo patria dell’uomo il mondo; ma è sempre un male gravissimo, individuale e patriottico, quando la si lascia andare così senza legge, senza freno, senza direzione, senza efficace tutela: non forze vive e intelligenti, ordinate alla conquista del benessere individuale e sociale, ma forze cozzanti e spesso distruggentisi a vicenda: e attività sfruttate a lor danno e vergogna; a danno e vergogna del paese di origine. Non acque atte a fecondare, ma torrenti senz’alveo, che perdono il tesoro delle loro acque fra i sassi e gli sterpi, quando non travolgono i campi già fecondati14.

 

 

«È strumento della Provvidenza, anche attraverso a catastrofi»

 

La emigrazione è legge di natura. Il mondo fisico, come il mondo umano soggiacciono a questa forza che agita e mescola, senza distruggere, gli elementi della vita, che trasporta organismi nati in un determinato punto e li dissemina per lo spazio, trasformandoli e perfezionandoli in modo da rinnovare in ogni istante il miracolo della creazione.

Emigrano i semi sulle ali dei venti, emigrano le piante da continente a continente, portate dalle correnti delle acque, emigrano gli uccelli e gli animali, e, più di tutti, emigra l’uomo, ora in forma collettiva, ora in forma isolata, ma sempre strumento di quella Provvidenza che presiede agli umani destini e li guida, anche attraverso le catastrofi, verso la meta, che è il perfezionamento dell’uomo sulla terra e la gloria di Dio nei cieli.

Questo ci dice la divina Rivelazione, questo c’insegnano la storia e la biologia moderna, ed è solo attingendo a questa triplice fonte di verità che potremo desumere le leggi regolatrici del fenomeno migratorio e stabilire i precetti di sapienza pratica che lo debbono disciplinare in tutta la sua ricca varietà di forme15.

 

 

«La grandezza religiosa e morale della causa degli emigrati»

 

Io penso che la grandezza religiosa e morale della causa dei nostri emigrati italiani, e la grandezza politica e materiale di questo ospitale paese, che loro (come dicevami or sono pochi giorni l’insigne Presidente della Repubblica) apre a due battenti le porte dell’ospitalità, sono due grandezze fatte per confondersi in una sola e per disvelare al secolo ventesimo i secreti di un’era novella, alla quale non potranno mancare né le benedizioni di Dio, né le conquiste della civiltà (...).

Io ho percorso una parte considerevole della vostra patria gloriosa e ho ammirato un’altra volta e con gioia arcana, che mi entusiasmava, i grandi disegni di Dio sull’America. Celebrandosi il quarto centenario di Cristoforo Colombo, io fui invitato in Italia a tenere delle conferenze in proposito, e ciò per la sola e semplice ragione che la famiglia di Colombo apparteneva alla mia cara Diocesi di Piacenza, benché egli sia nato in Genova.

Una di esse era intitolata: «I disegni di Dio sull’America». Ebbene, ciò che allor pensavo, l’ho veduto confermato durante il mio lieto soggiorno fra voi, nel mio lungo viaggio nei varii Stati dell’Unione16.

 

 

«Si va maturando l’unione in Dio per Gesù Cristo di tutti gli uomini di buon volere»

 

Qui pertanto, un giorno, se l’inerzia, se l’ignoranza delle vie di Dio, se il riposo sui conquistati allori, se l’oppressione di sante aspirazioni, non deviano i popoli dal piano divino, tutte le nazioni avranno generazioni numerose, ricche, felici, morali, religiose, le quali pur conservando ciascuna i caratteri, proprii della sua nazionalità, saranno strettamente unite.

Da questa terra di benedizione si eleveranno ispirazioni, si svolgeranno principii, si dispiegheranno forze nuove, arcane, le quali verranno a rigenerare, a ravvivare il vecchio mondo coll’apprendergli la vera economia della libertà, della fratellanza, dell’uguaglianza; insegnandogli che popoli diversi per origine possono benissimo conservare la loro lingua, la loro esistenza nazionale propria, pur essendo politicamente e religiosamente uniti, senza barriere per ingelosirsi e dividersi, senza armate per impoverirsi e distruggersi gli uni gli altri (…).

Io lo spero; sì, io lo spero, o Signori. Poiché mentre il mondo si agita abbagliato dal suo progresso, mentre l’uomo si esalta delle sue conquiste sulla materia e comanda da padrone alla natura sviscerando il suolo, soggiogando la folgore, confondendo le acque degli Oceani col taglio degli Istmi, sopprimendo le distanze; mentre i popoli cadono, risorgono, e si rinnovellano; mentre le razze si mescolano, si estendono e si confondono; attraverso il rumore delle nostre macchine, al di sopra di questo lavorìo febbrile, di tutte queste opere gigantesche e non senza di loro, si va maturando quaggiù un’opera ben più vasta, ben più nobile, ben più sublime: l’unione in Dio per Gesù Cristo di tutti gli uomini di buon volere17.

 

 

«La Chiesa Cattolica vittoriosa e pacificatrice»

 

I servitori di Dio che lavorano senza saperlo, inconsciamente pel compimento dei suoi disegni, sono numerosi in tutti i tempi, ma nelle grandi epoche storiche di rinnovamento sociale, ve ne sono più che non si conosca, più che non si pensi: essi sono innumerevoli. Poiché, o Signori, sappiatelo bene, non lo dimenticate mai. Lo scopo supremo prefisso dalla Provvidenza all’umanità non è la conquista della materia per mezzo della scienza più o meno progredita, e nemmeno la formazione di quei grandi popoli nei quali s’incarna ad ora ad ora il genio della forza, del sapere, della ricchezza, no; ma l’unione delle anime in Dio per mezzo di Gesù Cristo e del suo visibile rappresentante, il Romano Pontefice. Gli ostacoli che ancora si oppongono al disegno altissimo, scompariranno a poco a poco, e verrà il giorno, e verrà innanzi tutto in questo vostro grande e glorioso paese, nel quale le nazioni conosceranno dove sta la vera grandezza, sentiranno il bisogno di far ritorno al Padre e ritorneranno.

Qual giorno sarà quello, o Signori! Giorno avventurato, nel quale tutti gli accenti, tutte le voci in differenti lingue, leveranno all’Onnipotente il cantico della lode e del ringraziamento. Il sole della verità splenderà più luminoso e l’arcobaleno della pace s’incurverà sulla terra in tutti i suoi gentili colori. Sarà come un arco di trionfo sotto il quale la Chiesa Cattolica passerà vittoriosa e pacificatrice, traendo a sé il mondo moderno; e la società, ridivenuta cristiana, continuerà nell’ordine e nella giustizia il cammino della vera libertà, della vera civiltà, del vero progresso.

Affrettiamo, o Signori, coi voti, colle preghiere, colle opere quel giorno benedetto!18

 

 

«La pietà antica si va risvegliando»

 

Io sono soprattutto commosso per quanto ho veduto nel mio lungo pellegrinaggio. Ho veduto la fede cattolica mantenuta in mezzo a difficoltà senza numero nelle fazende del grande Stato di S. Paolo, ho veduto la fede di queste colonie del Paranà e faccio voto che anche nelle città dell’America Latina si imiti le città dell’America del Nord. Lassù sorgono chiese italiane in tutte le città. I nostri Missionari le assistono con altri religiosi. La pietà antica si va risvegliando; il credito e la considerazione presso le autorità si accresce ogni dì, verificando un’altra volta che dove un apostolo innalza la Croce, la civiltà sorge spontanea e il benessere materiale si aumenta19.


 

 

2. LA CHIESA E LE MIGRAZIONI

 

«Dov’è il popolo che lavora e soffre, ivi è la Chiesa», che ha la missione di «evangelizzare i figli della miseria e del lavoro». L’attività missionaria della Chiesa non si rivolge solo agli infedeli, ma anche ai cattolici esposti al pericolo di diventare infedeli a causa dell’emigrazione.

Occorre intervenire fattivamente e immediatamente, perché «l’avvenire religioso e morale delle popolazioni emigrate dipende da quel tanto di religione e di moralità» che deve essere subito preservato come l’eredità più preziosa del loro patrimonio culturale e spirituale. Occorrono «eroi che vanno ad evangelizzare», in condizioni meno pericolose ma non meno difficili dei missionari per gli infedeli.

La preservazione e la valorizzazione del patrimonio spirituale esigono la conservazione della cultura etnica: «religione e patria si completano in quest’opera d’amore e di redenzione».

La pastorale dei migranti deve tener conto di questo principio. Tanto i missionari quanto le Chiese di accoglienza devono rispettare l’identità culturale e la religiosità propria dell’emigrato. Al missionario quindi deve essere concessa libertà di ministero, sotto la guida del vescovo, che sapientemente dirige l’inserimento degli immigrati nella Chiesa locale, rispettando i ritmi normali e non forzando prima del tempo un’assimilazione che distruggerebbe valori millenari di religione e di tradizioni.

L’emigrazione non è problema della sola Chiesa di partenza né della sola Chiesa di arrivo; anzi, essendo fenomeno e problema universale, è problema della Chiesa universale. Si profila quindi la necessità di una coordinazione fra le Chiese particolari, che può partire solo dal centro. Il problema è simile a quello dell’attività missionaria «ad gentes»: come per questa esiste la Congregazione di Propaganda Fide, così per gli emigrati cattolici di tutte le nazioni si vede la necessità di istituire una Congregazione apposita o almeno una Commissione centrale nella Curia Romana.

 

a) LA PRESENZA DELLA CHIESA

 

«Dov’è il popolo che lavora e soffre, ivi è la Chiesa»

 

La Chiesa di Gesù Cristo, che ha spinto gli operai evangelici fra le genti più barbare e nelle contrade più inospite, no, non ha dimenticato e non dimenticherà mai la missione che le venne da Dio affidata di evangelizzare i figli della miseria e del lavoro. Essa con trepido cuore guarderà sempre a tante anime poverelle che, in un forzato isolamento, vanno smarrendo la fede dei loro padri e, colla fede, ogni sentimento di cristiana e civile educazione. Sì, o signori, dov’è il popolo che lavora e che soffre, ivi è la chiesa, perché la chiesa è la madre, l’amica, la protettrice del popolo e per esso avrà sempre una parola di conforto, un sorriso, una benedizione[1].

 

 

«E’ un nuovo, consolante risveglio che la Chiesa va suscitando»

 

Come ognuno vede è un nuovo, meraviglioso, consolante risveglio che la Chiesa va suscitando a pro dei non abbienti e dei deseredati, e mille volte benedetto chi saprà in quest’opera di rigenerazione religiosa e sociale coadiuvarla. Tempo è, come grida l’Apostolo, che quando gode un membro godano tutte le membra; e se un membro patisce, concorrano a sollevarlo tutte le membra.

Se il passato fu triste, se fino a ieri i nostri fratelli furono lasciati in balia di loro medesimi là nelle sterminate pianure dell’America, fra le Ande, sulle Cordigliere e le Rocciose, sulle sponde dei vasti laghi del Nord, lungo le rive della Plata, delle Amazzoni, dell’Orenoque e del Mississipi, sulle coste dei mari e perfino nei boschi, la carità cristiana e la odierna civiltà ci impongono di porre un termine ad uno stato di cose tanto deplorevole e indegno di un popolo grande e generoso.

L’arringo che io addito al pensiero ed all’azione del clero e del laicato italiano è grande, nobile, intentato, glorioso, e possono trovare in esso un posto condegno tanto l’obolo della vedova quanto l’offerta del ricco, l’umile attività delle anime più tranquille, come l’impeto generoso degli spiriti più ardenti[2].

 

 

«Quegli infelici, veramente infelici»

 

Dentro mi suona tuttora dolorosamente la voce di un povero contadino lombardo, venuto due anni or sono a Piacenza dalla estrema valle del Tibagy nel Brasile, per chiedermi a nome di quella numerosa colonia un Missionario. «Ah, Padre, mi diceva egli con voce commossa, se sapesse quanto abbiamo sofferto! quanto abbiamo pianto, al letto dei nostri cari moribondi, che ci chiedevano costernati un prete... e non poterlo avere! Oh Dio, noi no, non si può più vivere, non si può più vivere così!» E continuava il poveretto, con rozzo ma eloquente linguaggio, a narrarmi scene davvero strazianti. Lo confesso: non mai come allora mi augurai la vigoria dei miei 20 anni, non mai rimpiansi come allora l’impossibilità di mutare la croce d’oro del Vescovo in quella di legno del Missionario, per volare in soccorso di quegli infelici, veramente infelici, perché agli altri pericoli si aggiunge per essi quello di cadere nell’abisso della disperazione[3].

 

 

«Siamo qui come bestie»

 

Nella tornata della Camera dei deputati del 12 febbraio 1879 l’on. Antonibon, fra le altre desolanti notizie sulle condizioni dei nostri emigrati in America, leggeva una lettera di un colono veneto, il quale, a mo’ di conclusione d’una iliade di guai, diceva: siamo qui come bestie; si vive e si muore senza preti, senza maestri e senza medici.

Ora, da un anno a questa parte, di simili lettere io ebbi a riceverne presso a un centinaio da capi-famiglia, invocanti l’opera proteggitrice del mio Istituto. E non solo lettere mi furono spedite, ma appositi messi da varie contrade del Brasile, affine di perorare più caldamente colla parola la loro causa. Ebbene? sia da quelle povere lettere sgrammaticate e rabescate da firme non intelligibili, sia dalla parola calda di quei messi, traspariva, oh quanto! il bisogno del prete e del maestro; bisogno, che si faceva sentire tanto più fortemente, quanto maggiore era la prosperità materiale delle colonie. Tutti conchiudevano colle desolanti parole del povero emigrato veneto: siamo come bestie; si vive e si muore senza prete, senza maestri e senza medici, le tre forme sotto cui si presenta alla ragione del povero il consorzio civile.

Ecco: col mio Istituto di patronato io cerco appunto di soddisfare a questi tre grandi bisogni umani.

Tener viva nei cuori la fede dei nostri padri e, colle immortali speranze d’oltre tomba ravvivate, educare ed elevare il loro sentimento morale, poiché, non bisogna dimenticarlo, l’unico trattato di etica del nostro popolo è ancora fortunatamente il Decalogo.

Coi primi rudimenti del conteggio, insegnar nella scuola la lingua materna ed un po’ di storia nazionale e così tener accesa nei lontani fratelli la face dell’amor patrio e ardente il desiderio di rivederla.

Infine, un po’ di arte salutare, dando ai missionari, nei mesi di noviziato, qualche istruzione sull’uso dei medicinali più efficaci e più comuni, sul modo di prepararli e somministrarli, e istituendo presso di ogni Casa degli stessi missionari, piccole farmacie. È poca cosa, considerata in sé, ma ben altro quando si pensa alla impossibilità di aver medici e medicine là nelle immense pianure americane, dove spesso, avendosene anche la possibilità materiale, non se ne hanno i mezzi pecuniari[4].

 

 

«L’avvenire religioso e morale dipenderà da quel tanto di religione e di moralità che conserveranno»

 

L’urgenza di provvedere si pare quindi manifesta, e si parrà ancor più dalle seguenti osservazioni.

Quei piccoli gruppi di capanne, seminate ora in una specie di deserto, sono destinate a diventare fiorenti borgate e città, sia per il naturale accrescimento della popolazione, sia per questa marea dell’emigrazione, che monta, si può dire, ogni giorno. Che avverrà egli pertanto? Avverrà, come è facile prevedere, che in un breve giro di anni noi avremo là nelle immense pianure delle Americhe una nuova Italia, ricca forse di beni materiali, ma povera di beni dello spirito, o più propriamente, avremo una società conforme all’indirizzo che avremo saputo darle a principio.

Le prime impressioni di fatto sono anche le più tenaci e durevoli, e sono le prime tradizioni quelle che conservano ad una famiglia, ad una città, ad una colonia la sua particolare fisionomia. Ce ne fornisce la storia innumerevoli esempi.

È da riflettere inoltre che l’indole de’ nostri connazionali è di natura sua eminentemente pieghevole, sicché facilmente si adagiano alle condizioni dei luoghi e dei popoli fra cui la Provvidenza li guida.

L’avvenire pertanto religioso e morale delle nostre colonie in America dipenderà da quel tanto di religione e di moralità, che conserveranno codesti primi nuclei di popolazioni. Saranno essi informati a sentimenti civili e cristiani? Saranno civili e cristiani i loro discendenti, e quelli stessi che vi si uniranno, venuti d’Italia, dovranno più o meno spontaneamente adattarsi alle tradizioni di fede e di pietà che vi troveranno in seguito radicate. Si lascieranno invece nell’abbandono? Li vedrete crescere a guisa di selvaggi, e anche quelli che verranno dappoi diventeranno essi stessi selvaggi.

La tendenza poi di stabilirsi in colonie nei nostri emigranti è un fatto che non va trascurato, e che renderà meno difficile il compito di chi dovrà indirizzarli. Il trascurarla ora che si tratta di sceglier bene la situazione delle future città e d’imprimer loro quel carattere di religiosità e d’italianità, dal quale devono dipendere la loro prosperità e la loro importanza avvenire, sarebbe errore imperdonabile. Quel carattere si deve imprimere subito. Ogni ritardo io lo credo fatale. Quel carattere sarà, a tacer d’altro, come il vincolo che li unirà indissolubilmente alla patria lontana, poiché più assai degl’interessi materiali, è la comunione dei sentimenti religiosi e patriottici che vale a cementare in un modo infrangibile l’unità di un popolo[5].

 

«Eroi che vanno ad evangelizzare»

 

Tra noi in questi dieci o dodici anni, dacché si parla con tanta frequenza di emigrazione e di emigrati, che cosa si è fatto? Non sarebbe conforme a verità il dire che si è fatto quanto si poteva e si doveva.

Non mancano, grazie a Dio, società di protezione religiosa e civile che sorsero e si divisero per selezione spontanea questo nuovo campo di attività.

Taccio dell’opera mia, e perché a voi abbastanza nota e perché non voglio abusare più a lungo della vostra paziente bontà. Dirò solo che se, in Dio fidando e nella Sua Provvidenza, mi accinsi all’ardua impresa, fu appunto per eccitare i volonterosi a tentare anche in Italia qualche cosa nel campo specialmente religioso. Io pensavo: se il clero fornisce eroi che vanno ad evangelizzare popoli barbari, come non darà i generosi che con minor pericolo, se non con minor disagio, si rechino ad assistere i nostri connazionali specie nelle Americhe, fra i quali avranno parenti ed amici forse, conterranei certamente? Se per asciugare le lacrime d’un’ora, i ricchi e i poveri d’Italia in più occasioni gareggiarono in opere di carità, dando gli uni largamente il superfluo, levandosi gli altri il pane di bocca, oh, che non faranno quando sappiano esservi là da tergere un pianto che dura da anni e durerà, se non si provvede, di generazione in generazione? Quando riflettano che c’è da togliere una vergogna, la quale ci mostra inetti agli occhi degli stranieri e ci rende in faccia a loro spregevoli?

Ben presto mi accorsi che avevo preveduto giusto, poiché non solo trovai mani plaudenti e parole di lode, ma, ciò che più importa, cuori aperti, anime generose, volontà energiche, pronte all’azione fino al sacrificio[6].

 

 

«L’azione benefica della Croce di Cristo»

 

Dovunque sorgono chiese, conventi, scuole cristiane, orfanotrofi, ospedali. L’azione benefica della Croce di Cristo consola gli emigrati e li incoraggia, mantenendo fermi i principii religiosi e preservandoli dai pericoli della corruzione e dell’apostasia, che a poco a poco li condurrebbero a rinnegare non solo il cristianesimo, ma ancora i loro doveri verso la patria[7].

 

 

«Per la Chiesa sorgente di beni incalcolabile»

 

Il formidabile problema dell’Emigrazione, intorno al qua­le lavorano e lavorano quasi sempre invano i Governi, è, secondo me, destinato dalla Provvidenza, ad acquistare un pre­stigio sociale immenso alla S. Sede e a diventare per la Chie­sa una sorgente di infinite consolazioni e di beni incalcolabili. Chi conosce per poco le tendenze dei nostri tempi non può dubitarne. Dico questo, perché ci persuadiamo bene, che a scioglierlo, come si conviene, ci dev’essere leggiero ogni sacrificio[8].

 

 

b) RELIGIONE E PATRIA

 

«Opera veramente cristiana e altamente patriottica»

 

Ciò non toglie negli italiani il dovere di pensare che hanno là dei fratelli che ad essi appartengono in modo speciale e che in modo speciale abbisognano del loro aiuto. L’abbandonarli a se stessi e che altro equivarrebbe se non a distruggere in essi ogni legame verso la patria ed a mettere a duro cimento la loro fede e la loro moralità?

E non potrà dirsi opera veramente cristiana e altamente patriottica quella che, rompendo la triste tradizione di incuranza lasciataci dal passato, si studiasse di rendere la loro sorte migliore?[9].

 

 

«La nostra chiesa, la nostra scuola, la nostra lingua»

 

Religione e Patria! Sono questi pur sempre i due grandi amori inseriti dalla mano di Dio nel cuore dell’umanità, il motto scritto a caratteri di luce sul vessillo delle nazioni cristianamente civili. È all’ombra di questo vessillo immortale che i nostri padri lottarono e vinsero. All’ombra di questo vessillo le fronti si levano serene, tacciono le ire, scompaiono le divisioni di parte, le destre fraternamente si stringono, riposano le famiglie, grandeggiano gli uomini.

Religione e Patria! Signori, uniamoci tutti attorno a questo sublime ideale che, nell’opera tutrice della nostra emigrazione piglia, dirò così, forma e figura, e potremo sperare per l’Italia nostra giorni migliori, potremo sperare che si compiano sopra di lei, in tempo non lontano, i disegni di Dio.

Ancora una parola e finisco. Non sono molti anni, e negli Stati Uniti si fecero immani sforzi per americanizzare, se così posso esprimermi, gli emigrati delle varie nazioni europee. La Religione e la Patria piansero a milioni i loro figli perduti. Solo un popolo a quel violento tentativo di assimilazione seppe resistere, e fu quello che aveva scritto sulla sua bandiera: la nostra chiesa, la nostra scuola, la nostra lingua.

Non dimentichiamo questo fatto, o signori. Adoperiamoci anche noi, ciascuno a misura delle proprie forze, perché quanti sono italiani all’estero abbiano ad avere la stessa divisa, la stessa fermezza, lo stesso coraggio: per la Religione e per la Patria[10].

 

 

«Due supreme aspirazioni di ogni cuore bennato»

 

Religione e patria: queste due supreme aspirazioni di ogni anima gentile, si intrecciano e si completano in quest’opera d’amore e di redenzione che è la protezione del debole e si fondono in un mirabile accordo. Le miserabili barriere, elevate dall’odio e dall’ira, scompaiono, tutte le braccia si aprono ad un fraterno amplesso, le mani si stringono calde d’affetto, le labbra si atteggiano al sorriso ed al bacio, e tolta ogni distinzione di classe o di partito, appare in essi bella di cristiano splendore la sentenza: Homo homini frater.

Possano queste povere mie parole essere il seme di opere egregie, che ridondino a gloria di Dio e della sua Chiesa, a bene delle anime, a decoro della patria, a sollievo degli infelici e dei diseredati. Possa l’Italia sinceramente riconciliata con la Sede Apostolica, emulare le antiche sue glorie ed un’altra aggiungerne imperitura, avviando sui luminosi sentieri della civiltà e del progresso anche i suoi figli lontani[11].

 

 

«Un’idea così semplice, così bella»

 

Non facciamo dei sogni. Eccoti la mia idea candida e nuda come la verità. È così semplice, così bella, che non ha bisogno di fronzoli della retorica per presentarsi alla gente per bene.

I giovani seminaristi, che anno per anno compiono il servizio militare in Italia, saranno un centinaio. Ora, che danno sarebbe egli per il nostro esercito, qualora si esentassero dal servizio di leva quei giovani chierici, i quali volessero iscriversi fra i missionari per gli italiani in America? Che strappo sarebbe mai all’eguaglianza di tutti i cittadini in faccia al tributo militare, se i giovani italiani aspiranti al sacerdozio, invece di tre uggiosi anni di caserma, ne facessero cinque nelle Americhe al servizio dei nostri connazionali, cooperanti alla loro redenzione religiosa e morale, soldati a un tempo della Chiesa e dello Stato? Col vergine entusiasmo della loro giovane età, con quello zelo che non conosce ostacoli, colla gagliardia dei vent’anni che non sente fatica, quali apostoli eroici ne avremmo! quali infaticabili maestri! Quale armonia di affetti religiosi e civili in quelle giovani coscienze, che al loro primo affacciarsi alla vita pubblica, sentirebbero sotto forma di un beneficio la mano della patria! Quanta riconoscenza per non essere stati distolti dai loro studi e non condannati per tre lunghi anni ai grossolani quanto inevitabili contatti delle caserme, che li turba e li avvilisce![12].

 

 

c) PASTORALE DEI MIGRANTI

 

«Per il benessere religioso, morale e civile dei nostri emigrati»

 

Tutti, fratelli e figli carissimi, continuate ad impiegare quanto avete d’ingegno e di forze per il benessere religioso, morale e civile dei nostri connazionali, e pur studiandovi di mantenere vivo in essi l’amore alla madre patria, guardatevi dal fomentare tra essi qualunque cosa che possa renderli separati dai nuovi loro concittadini, o distaccarli comechessia dagli altri fedeli. Tocca a voi fare in modo che gl’italiani non abbiano a distinguersi se non per un maggior rispetto all’autorità, per una condotta più esemplare, per un’operosità più grande, per un’osservanza più esatta dei loro doveri, per un attaccamento più vivo alla fede dei loro padri. Buoni come sono e naturalmente cattolici, essi risponderanno facilmente, come hanno fatto sin qui, alle vostre premure, solo che vi vedano laboriosi e disinteressati.

In ogni cosa siate loro modelli del ben fare, nelle parole, nella purezza dei costumi, nella gravità, talmente che, come scrive l’Apostolo, chi vi sta contro si tenga in rispetto, nulla avendo onde dir male di voi. Ad esempio di lui, vi ripeterò con S. Bernardo, fate onore al vostro ministero. Badate che dico ministero e non signoria; ministero e non voi stessi. Farete poi onore al vostro ministero, non con vane ostentazioni, ma con intemerati costumi, con le sollecitudini spirituali e con le opere sante[13].

 

 

«Opera di evangelizzazione affidata allo zelo e alla saggezza dell’episcopato americano»

 

Ora la posso assicurare che oggi la Sacra Congregazione romana ha letto con il più vivo piacere quelle belle pagine nelle quali V.E. dimostra così bene l’importanza dell’opera che ho intrapreso e nelle quali fa così giustamente notare che dal suo successo non dipende soltanto l’avvenire di tanti cattolici italiani sbalzati oltre i mari dall’emigrazione, ma anche il successo della grande opera di evangelizzazione affidata allo zelo e alla saggezza dell’episcopato americano. Gli uomini, di fatto, sono troppo avvezzi a dedurre delle conclusioni logiche e rigorose dai fatti che avvengono intorno a loro. Più che mai oggi il sistema sperimentale tende a prevalere. È dunque naturale che i suoi compatrioti protestanti, vedendo l’ignoranza e l’indifferenza religiosa di un grande numero, per non dire della maggioranza degli emigrati italiani, concludono che la vita cristiana deve essere ben poco intensa nel nostro paese, se tanti suoi figli perdono così facilmente la fede e abbandonano la pratica dei doveri più elementari del cristiano. Ora siccome l’Italia non è soltanto un paese esclusivamente cattolico, ma è il centro della nostra Santa Chiesa e la residenza del suo Capo Augusto, ne segue, come V.E. fa risaltare molto bene, che i protestanti sono inclinati a credere che il cattolicesimo è in decadenza e che la causa di questa decadenza è senz’altro l’assenza di fede e di virtù, causata dall’impotenza dei preti o dalla loro negligenza colpevole. Questi errori, bisogna combatterli senza dubbio; ma bisogna soprattutto far scomparire le loro cause principali, che li generano; ora dalla prosperità e dal successo dell’opera, che ho intrapreso, dipende la guarigione del male che noi deploriamo e che altrettanto nocivo alla propagazione della fede in America, se non si conservano le tradizioni cristiane e i principi del cattolicesimo nei milioni di emigrati italiani che abitano il continente americano.

Per questi motivi la Propaganda ha accolto la mia opera con la più grande benevolenza e vede con piacere che essa è apprezzata dall’episcopato americano e in particolare da V.E., che è uno dei vescovi più illuminati e più dotti del nuovo mondo[14].

 

 

«Esercitare liberamente il ministero sotto la dipendenza di Vostra Eccellenza»

 

Ebbi la cordialissima sua del 10 corrente Febbraio, accom­pagnata dalla generosa offerta di £. mille pel nostro istituto. Mi sento impotente a ringraziarla quanto vorrei, ma anche l’affetto e la gratitudine è buona moneta, ed io con questa intendo, ottimo Monsignore, di pagarla.

Spero che a quest’ora il buon P. Marcellino le avrà esposto le mie idee intorno ai Missionari da inviarsi a New York. Entro alcuni mesi conterei di spedirgliene tre, e di più un fratello catechista; ma occorrerebbe che vi fosse costì una casa per l’alloggio, dovendo far vita comune possibilmente; e una chiesa, sia pure per ora un abbassamento o sotterraneo, ove potessero esercitare liberamente sempre sotto l’assoluta dipendenza di Vostra Eccellenza Reverendissima, il sacro ministero. Qualora fosse possibile, conveniente e prudente il sottrarre gli Italiani alla giurisdizione parrocchiale e affidarne la cura spirituale ai nostri Missionari, ogni cosa riuscirebbe a meraviglia. Ma il giudizio di ciò spetta a V.E. ed ella farà quello che stimerà opportuno in Domino.

Quanto a me, desidererei proprio che ella, venerando Monsignore, che gode meritatamente tanta stima presso la Santa Sede, fosse il primo dei Vescovi Americani ad aprire una casa dei nostri preti. E’ un’opera che abbiamo quasi fatto insieme, mentre ella si degnò di incoraggiarmi sin da principio e promettermi il suo alto patrocinio.

Dalla casa di New York, i Missionari crescendo in seguito di numero, potrebbero diffondersi come da una centrale nelle altre diocesi, che ne facessero domanda. A New York poi si potrebbe anche, secondo me, aprire qualche scuola pei figli degli Italiani, qualche asilo diretto da Religiose; costituire dei comitati di patronato pei nostri emigrati sull’esempio dell’Associazione di S. Raffaele pei Tedeschi, e come si pratica per gli Irlandesi[15].

 

 

«Senza libertà di ministero si riesce a nulla o a ben poco»

 

A Mons. Arcivescovo di Rio domanderete umilmente se permette ai nostri Missionari di rioccupare la missione di Novella Mantova e delle colonie italiane circonvicine. A lui farete inoltre conoscere ciò che il Santo Padre vuole a questo riguardo. Vi trascrivo perciò la seguente delibera quale si legge nella posizione 2978 di Propaganda Fide: «Quanto ai Vescovi del Brasile vuole, il S. Padre, che concedano ai Missionari le facoltà necessarie direttamente e senza dipendenza dai Parroci e da Vicari indigeni, autorizzandoli, quando occorra, a separare i territori abitati dagli italiani dalla circoscrizione parrocchiale, costituendone nuove parrocchie, da affidarsi alla direzione dei detti Missionari».

L’esperienza di questi anni ha dimostrato che senza libertà di ministero, sia pure con qualche dipendenza dai parroci indigeni, si riesce a nulla o a ben poco.

Il medesimo farete noto a Mons. Vescovo di S. Paolo, assicurandolo inoltre che qualora accetti la proposta gli si manderanno Missionari savii e pii davvero. Gli farete anche osservare che se qualcuno non riuscì come doveva, trova una attenuante nella mancanza di appoggio per parte di chi doveva favorirlo. Forse l’Antecessore suo, come il defunto Vescovo di Rio, non potevano fare ciò che avrebbero desiderato di fare.

Potendo spingervi fino a Curitiba, chiederete pure a quel Vescovo se permette che si rioccupi la Missione già occupata dal P. Colbachini, missione con casa, chiesa e varii oratorii. Manifesterete anche a Lui il volere del S. Padre.

Ad ogni modo sarà bene che vi facciate lasciare in iscritto dai detti Vescovi le condizioni con le quali i nostri Missionari verrebbero accettati, e tutte le disposizioni che si volessero prendere allo scopo[16].

 

 

«Siano accordate ai missionari le facoltà parrocchiali»

 

Accade spesso ai nostri Missionari di incontrare sul loro cammino molti italiani. L’arrivo dell’uomo di Dio vola di bocca in bocca come una buona novella e quei miseri, piangenti e festanti, accorrono sui suoi passi, poiché nel prete italiano, non solo vedono rivivere le immagini della religione e della patria, ma sanno di poter deporre nel suo seno paterno ciò che grava le loro coscienze, senza decimare lo scarso pane ai loro figliuoli. Sono concubinari forzati, sono figli non rigenerati ancora dalle acque battesimali, sono i mille casi di coscienza di una vita quasi sciolta da ogni vincolo civile... Ma, ohimè! il povero Missionario non ha le facoltà per quella parrocchia; il parroco o non poté essere interpellato, o le facoltà non volle concederle (...).

Temerei di far onta alla perspicacia e allo zelo di Vostra Eminenza se io spendessi parole per rilevare un tanto disordine. È necessario però vi si ponga riparo e presto, perché simili vergogne non solo rendono odiosa la religione e forniscono un pretesto agli spiriti spregiudicati o malevoli per combatterla e deriderla, ma gettano il dubbio e la miscredenza in quelle povere anime semplici dei coloni, i quali si avvezzano a far senza del prete (non potendo pagare lautamente ciò, che dovrebbe essere gratuito) e che, giudicando le istituzioni dagli effetti pratici, debbono dedurre ben tristi conseguenze per la loro fede dalla evidente impotenza del bene e dello spirito di disinteresse e di sacrificio, contro il male, l’egoismo e la simonia.

Conchiudo, pregando di nuovo l’Eminenza Vostra, perché vegga di ottenere quanto fu già deciso in proposito da cotesta Sacra Congregazione, che cioè i Vescovi del Brasile abbiano a separare le colonie italiane dalle parrocchie brasiliane, lasciando quelle intieramente sotto la dipendenza dei Missionari per gli italiani emigrati. Capisco trattarsi di cosa molto difficile, ma bisognerà pure vedere di riuscirvi.

Intanto io proporrei, anzi propongo e chieggo senz’altro, come provvedimento affatto indispensabile, che siano accordate ai detti Missionari tutte le facoltà parrocchiali in ordine ai coloni italiani, sia pure coll’obbligo ai Missionari medesimi di trasmettere ai parroci di quei luoghi copia esatta dei battesimi conferiti e dei matrimoni celebrati.

Che se da quell’Episcopato non si potesse in verun modo ottenere pei nostri Missionari né piena libertà di azione, né l’esercizio assoluto delle facoltà parrocchiali, io credo sarebbe meglio ritirarli dal Brasile e dar loro una nuova destinazione, poiché reputo un grave danno e una grave responsabilità di coscienza sciupare forze preziosissime in un lavoro santo, ma isterilito dalla mala volontà degli uomini[17].

 

 

«L’idea della nazionalità»

 

L’idea della nazionalità non è un’idea convenzionale, ma reale. Vari elementi concorrono a concretarla: tradizioni storiche, comunanza di razza, affetto al luogo natio, tradizioni locali o di famiglia, glorie e dolori comuni, ecc.

L’idea della nazionalità è conforme ai bisogni dell’uomo, e non senza una potente ragione Dio divise gli uomini in nazioni diverse, ed ai popoli e alle nazioni assegnò confini.

Per il progresso morale e materiale dell’umanità era necessaria cotesta divisione. La differenza del genio delle varie stirpi, l’ammirabile varietà di tendenze, di aspirazioni, di affetti che distinguono un popolo dall’altro contribuiscono a creare quel grande movimento intellettuale che fa progredire l’umanità e soddisfa ai bisogni nuovi di tempi e di luoghi.

La divisione degli uomini in varie schiatte, in varie nazioni ingenera l’emulazione, fonte prima dell’attività morale, intellettuale e materiale del genere umano.

Senza dubbio le lotte e le gelosie fra nazione e nazione producono errori e spesso anche ingiustizie; ma queste lotte meschine, queste condannabili cupidigie non escludono che la grande emulazione fra popolo e popolo, la corsa affannosa verso il meglio, ove ognuno cerca di precedere il vicino e l’avversario, non sieno fautrici di vero e reale progresso, e quindi di bene[18].

 

 

«L’ambiente, l’educazione, le tradizioni, la religione e la cultura creano il sentimento della nazionalità»

 

L’ambiente e l’educazione creano generalmente il sentimento della nazionalità, sentimento provvidenziale che rende ognuno contento del proprio paese, e che ne impedisce per conseguenza che i cittadini di una contrada men dotata di tante altre aspirino ad abbandonare la patria per formarsene a capriccio un’altra in paese più ricco, di miglior clima, di più facile commercio.

A questa conseguenza provvidenziale dell’amor di patria mi fu dato spesse volte di riflettere nell’attraversare paesi infelici o per sterilità di terreno o per scarsa bellezza di luoghi o anche per un cumulo di circostanze che li rendono brutti ed uggiosi. Ovunque ho trovato gl’indigeni animati da affetto pel luogo natio e mi son detto: - Che fortuna! Che provvidenziale disposizione di Dio! Se costoro vedessero la patria loro cogli occhi coi quali la  vedo io l’abbandonerebbero subito, ed allora avremmo contrade spopolate ed altre dove gli uomini si sgozzerebbero per occuparne il suolo: in uno stesso paese avremmo regioni deserte ed altre troppo popolate.

Invece le tradizioni di famiglia, di gioventù, l’ambiente morale e materiale, la parentela, le abitudini fanno dimenticare i più gravi inconvenienti, i quali non valgono non solo ad uccidere ma neppure ad affievolire l’amore di patria, il quale è il fondamento della teoria della nazionalità.

Certo guardando le cose in grande la Religione ha molta, anzi forse principale parte nel sentimento di nazionalità, ma non è sola a costituire l’idea nazionale. È il complesso morale, religioso e materiale dell’ambiente patrio che costituisce cotesta idea, della quale si è visto dianzi il benefico e provvidenziale effetto per la pace del mondo e la felicità degli uomini.

La cultura di un popolo accresce in lui il sentimento nazionale, perché meglio lo determina nella sua mente. Onde noi vediamo che col progredire dei tempi l’avversione ad ogni dominazione straniera è divenuta irresistibile e che quegli stessi popoli, come l’italiano e lo slavo del Sud, che tanto sopportarono nel passato, si oppongono vigorosamente oggi a quello che più o meno tolleravano ieri.[19]

 

 

«L’influenza che il sentimento nazionale può esercitare sull’idea religiosa»

 

Sull’influenza che il sentimento nazionale può esercitare sull’idea religiosa, o per meglio dire sulla Religione di un popolo e dei cittadini che lo compongono, molto si potrebbe dire. Basti il ripetere quanto dianzi è stato detto, e cioè che giacché l’ambiente, l’educazione e le tradizioni storiche e di famiglia sono potentissimi, anzi si può dire esclusivi fattori dell’idea nazionale, la Religione ha principal parte fra le cause onde nasce l’amore patrio e l’idea nazionale.

L’uomo ha due grandi affetti che lo accompagnano dovunque, l’amore di Dio e quello dei genitori e della famiglia. Ambedue formano, assieme a qualche altro elemento, l’idea della nazionalità. E perciò, fintantoché l’uomo rimane, ancorché passivamente, fedele alla Religione dei suoi padri, egli sente l’amor di famiglia e con esso l’amor di patria. L’uomo che abbandona la Religione, l’apostata abbandona anche il sentimento nazionale. Onde si deve concludere che la fedeltà alla Religione trae seco la fedeltà alla patria, a meno che un fatale conflitto, mettendo in urto i due grandi affetti di religione e patria, non spinga gli illusi a sacrificare il primo al secondo, cosa che invariabilmente si produsse fin qui nel passato là ove il conflitto fu duraturo.

I grandi rivolgimenti religiosi ebbero questa origine. Lo scisma della Chiesa Orientale fu cagionato in grandissima parte dalla insofferenza degli Orientali di ubbidire a Roma (...). Così si perdettero una dopo l’altra le Chiese Orientali, ed il fatto è tanto vero che Leone XIII l’ha riconosciuto quando per ricondurre codeste Chiese alla sospirata unità ordinò che se ne rispettassero i riti e le tradizioni antiche non difformi dalla dottrina cattolica e proibì formalmente che si latinizzassero i convertiti orientali affine di far loro comprendere che nel cattolicismo tutti i popoli hanno diritto di cittadinanza e che, come religione universale, esso rispetta tutte le nazioni, i loro diritti, le loro legittime aspirazioni, il loro patriottismo.

L’eresia protestante fu essa pure sorretta dal sentimento nazionale male interpretato. Le tradizioni di Arminio, il desiderio di schiacciare il Papato, considerato come istituzione latina, e quindi quello che molti Tedeschi chiamano ancona «la malvagità latina», non poté poco per spandere il protestantesimo non solo in Germania, ma nei paesi scandinavi e in Inghilterra. Dipinto il Papa come sovrano straniero, sebbene spirituale, gli aizzarono contro il sentimento nazionale e questo bastò a fortificare di gran lunga l’eresia (...). Così pure se il cattolicismo rimane saldo in Irlanda ed in Polonia, si è perché l’Anglicanesimo e lo scisma sono la Religione dei conquistatori stranieri e che il popolo vede nella Religione cattolica il Palladio della Patria. E perciò nei tempi andati, prima della emancipazione dei cattolici (1827) gl’inglesi col ferro e col fuoco vollero protestantizzare l’Irlanda, sicuri che abbandonata la Religione dei Padri loro gl’irlandesi avrebbero pure perso il sentimento nazionale.

Lo stesso fecero i Russi, senza maggior successo, in Polonia. Costoro non si credono sicuri perché vedono nel cattolicesimo il caposaldo del sentimento patrio in Polonia, e pensano che schiacciato quello, questo verrebbe meno e la completa assimilazione fra conquistatori e conquistati si produrrebbe[20].

 

 

«L’idea nazionale influisce sulla conservazione o meno della fede»

 

Non v’è dubbio che l’idea della nazionalità sia uno di quei sentimenti che sono chiamati ad esercitare larga e talvolta decisiva influenza sulla conservazione o la perdita della fede di un popolo.

Nella stessa maniera che le idee filosofiche hanno il loro contraccolpo nella vita sociale di un popolo, come la storia antica e moderna lo prova, l’idea nazionale influì sempre sul sentimento religioso, e tanto maggiormente influì quanto più vivo era il sentimento patriottico.

Come s’è detto, a rassodare lo scisma ed il protestantesimo molto poté il concetto che quelle due forme di cristianesimo fossero garanzia d’indipendenza nazionale. I grandi fondatori di Religioni cercarono quasi sempre di unire assieme i concetti di patria e di religione, affinché il sentimento nazionale sorreggesse la fede del popolo e fosse la leva colla quale essi potessero sollevarlo dall’antico stato per trascinarlo nella nuova via e legarlo al loro carro (…).

Purtroppo, come s’è detto, ogni qual volta il sentimento religioso parve in conflitto coll’idea nazionale, questa si ribellò, e siccome gli uomini son più sensibili alle cose concrete che alle astratte ne vennero l’apostasia della nazione o l’indifferentismo più o meno ostile (…).

Quindi l’idea nazionale influisce sulla conservazione o meno della fede di un popolo ed è anzi elemento fondamentale della fedeltà di questo popolo alla Chiesa o della sua apostasia.

Questo vale tanto per le nazioni generalmente prese quanto per gl’individui. Venendo più particolarmente a questi, è certo che in loro si manifestano gli stessi sintomi che nell’intero corpo sociale e nazionale.

Finché l’uomo vive nel proprio paese su per giù conserva i sentimenti che hanno corso nella generalità dei suoi compatrioti. Vi sono eccezioni, ma esse non cambiano la regola.

La cosa muta per l’emigrante.

Costui vive sbalzato in terra straniera e come annegato nel mare magno di un altro popolo o, nei paesi misti, di più popoli aventi costumi, tradizioni ed abitudini affatto diverse dalle sue[21].

 

 

«Ciò che mantiene la vita cattolica è l’ambiente religioso»

 

La fede è forse la cosa che da un cattolico si perde più facilmente in terra straniera, quando il paese che si abita sia cristiano ma eterodosso.

Ciò che mantiene la vita cattolica è l’ambiente religioso. Le idee sono patrimonio di pochi. Un pensatore può essere cattolico a Roma, a New York, fra i lapponi, gli eschimesi, i cinesi ed i turchi. Un operaio che non pensa, e che le idee materiali dominano, non è mantenuto nella Religione dei padri suoi, quando trovasi balzato in terra straniera, che a patto di trovarvi qualche cosa che gli ricordi l’ambiente che ha lasciato abbandonando la patria, e conservando per le sue nazionali tradizioni un affetto intenso ed inalterabile. E perciò anche in paesi cattolici, come l’America del Sud, il sentimento nazionale viene a sorreggere il sentimento religioso ed il povero emigrato ha bisogno non solo dell’assistenza di un sacerdote cattolico, ma dell’affettuosa cura di un apostolo, che coltivi in lui le antiche tradizioni di patria e di famiglia che sono fondamento della sua fede[22].

 

 

«Se l’emigrato conserva le tradizioni rimarrà cattolico»

 

Se egli conserva le tradizioni patrie, egli rimarrà cattolico; se le perde si farà protestante, insensibilmente, nei paesi protestanti, massone o indifferente nei paesi cattolici, molto più che purtroppo non mancheranno incentivi, anche da parte di compatrioti traviati, per spingerlo all’apostasia.

Ma la tradizione è l’ostacolo massimo a cotesta apostasia. Il popolo, che non pensa, e quindi è soggetto a minor varietà di sentimenti, è più tenace nelle tradizioni della persona colta, ma viceversa quando in lui si affievoliscono questi tradizionali sentimenti, questa memoria perenne del luogo natio, che si compendia nella casa paterna, nella Chiesa, nelle sacre funzioni, nel parroco, egli si trasforma radicalmente e si assimila all’ambiente nuovo, oppure perde ogni principio, e diventa un isolato, un uomo a sé, tutto dato alle materialità, senza ideali e senza principii sovrannaturali[23].

 

 

«L’uomo non può vivere abbandonato e isolato»

 

E certo che un operaio che perde le tradizioni nazionali, perde in gran parte la ragione d’essere della sua fede, e che vice versa quando mantiene intatta la fede conserva pure intatte le tradizioni nazionali.

I milioni di cattolici italiani, spagnuoli, tedeschi ecc. che si sono persi nel mare magno del protestantesimo o d’indifferentismo dell’America del Nord, si sono persi perché fino da quando sbarcarono su quella terra lontana e straniera si videro abbandonati ed isolati.

Ora, l’uomo non può vivere a lungo abbandonato ed isolato. L’uomo è un essere essenzialmente socievole. Può resistere un poco all’isolamento, ma quando in terra straniera non l’incoglie la nostalgia, finisce coll’adattarsi all’ambiente, e quando, come la maggioranza dei nostri emigrati, è ignorante, colle abitudini nuove nazionali, prende ancora le abitudini religiose della novella patria, apostatando dai due grandi sentimenti del cuore umano: il nazionale ed il religioso[24].

 

 

«Reputo necessarie le scuole»

 

Reputo necessarie le scuole italiane qui, perché solo la lingua nazionale potrà dare quell’unità e quella forza che ora mancano alla numerosissima popolazione di emigrati. Tutti i fanciulli devono saper parlare la lingua italiana e tutti per essa devono apprendere la storia patria e devono saper nutrire nel cuore quelle idealità, che a lei ci ricongiungono.

Traversando l’Oceano, sul «Liguria», non ho fatto altro che confessare un per uno i mille e più emigranti che viaggiavano meco. Se sapesse con quanta commozione — quante lagrime io vidi correre agli occhi di quella povera gente, quasi tutta siciliana! — essi ascoltavano le mie parole che ricordavano la patria testé abbandonata. Sul «Liguria», in alto mare, sulla tolda ove avevan preparato un altare, con la mitria e col pastorale, dissi messa solenne e feci la prima comunione ai piccoli emigranti e tenni cresima. Poi predicai. Non mi sfuggirà più dal cuore e dalla mente il ricordo di quei momenti: parlai a quegl’italiani della Patria e della Religione: il vidi lacrimare tutti!

O perché questi stessi sentimenti non debbono restare integri in quei cuori, per l’avvenire? Perché trascurare di mantenere in essi viva la lingua italiana?

Io sono venuto qui «per fare», e tutti i miei tentativi saranno volti a che in quest’ordine di idee entri anche il clero americano. Ne ho parlato anche a monsignor Corrigan: reputo necessario che gl’italiani, prima di ogni cosa, perché la stessa fede religiosa in essi si diffonda e si rafforzi, si mantengano uniti nel conservare la lingua patria. Reputo necessario che nessuno contrasti — anche tra gli americani —questo proposito[25].

 

 

«Scuola e Suore»

 

Io pregherò per voi tutti, perché desidero che questa Colonia di Boston divenga la più florida e la più religiosa degli Stati Uniti. Ma perché possiate ottenere questa grazia, dovete tener viva l’idea della Scuola Italiana e delle Suore[26].

 

 

«Catechismo unico»

 

Grandi difficoltà incontrano gli stessi missionari nell’istruzione catechistica, attesa la molteplicità dei testi usati nelle varie Diocesi. Sarebbe pertanto necessario adottarne uno solo e potrebbe servire benissimo quello di Piacenza adottato in gran parte delle diocesi dell’Alta Italia e anche dal Piemonte. Che ne dice Vostra Eminenza? Ma già ritengo che il S. Padre vorrà far pago al più presto il voto universale di un Catechismo unico, e allora sarà finita ogni questione[27].

 

 

«Accompagnare gli emigranti tanto nell’andata quanto nel ritorno»

 

Occorre le dica, Eminenza, che l’accompagnare gli emigranti tanto nell’andata che nel ritorno, è un’opera di somma importanza e carità, massime ora che gli episcopaliani hanno stabilito la loro missione su piroscafi italiani, come decisero nel sinodo tenuto in S. Francisco lo scorso settembre.

A paralizzare, quanto è possibile, l’opera loro nefasta, ho informato della cosa le varie direzioni, le quali daranno all’uopo ordini opportuni, ma più che tutto, varrà l’assistenza del prete cattolico[28].

 

 

«Il bisogno di un orfanotrofio italiano»

 

Parto da S. Paulo assai contento per aver potuto combinare con questo ottimo Prelato, varie cose che riusciranno di gran vantaggio alle anime dei nostri poveri espatriati, qui, più che in Italia, assetati di parola di Dio e di Sacramenti. Sono in questa Diocesi più di 2000 fazende che i Missionari di S. Carlo percorrono indefessi, da veri apostoli, colla maggior frequenza possibile, ma non certo più di una volta all’anno, sebbene siano in 12. Ma bisognerà che ne aumenti il numero, anche per provvedere meglio all’assistenza di queste importanti opere di carità create da loro da una diecina d’anni. Gli orfani italiani finivan tutti in modo innominabile. I primi Missionari inviati qui conobbero tosto il bisogno di un orfanotrofio italiano: si misero coraggiosamente all’opera e Dio venne in loro aiuto. Sono gia 802 i giovani raccolti, istruiti e messi a posto con un’arte in mano; e sono 242 i ragazzi ora qui, divisi in due stabilimenti grandi e ben collocati fuori della città e che studiano, pregano, apprendono un mestiere qui in casa e si preparano ad essere buoni cristiani. Vivono di elemosine che i Missionari raccolgono nelle loro continue escursioni apostoliche. Quello che mi sorprese di più è che non hanno debiti di sorta. È Dio che vede e provvede[29].

 

 

«Un ospedale simbolo di unione e di pace»

 

Il vostro desiderio di veder attuata l’erezione di un ospedale per gli Italiani non potrebbe essere più legittimo, più santo, più opportuno, ed io non posso che benedirlo. Certamente nulla piace tanto a Dio, quanto la cura degli infermi. Essa è una delle forme più belle della vita cristiana e civile (...).

Ma la cura degli infermi, utile e lodevole dovunque e sotto qualunque forma, diventa una necessità assoluta fra gli espatriati; un dovere precipuo fra coloro, pei quali la nazionalità deve essere un vincolo potentissimo e deve tener luogo della famiglia in patria.

Voi lo avete benissimo accennato, onorevoli signori, nella Vostra carissima. In una società come quella di cotesta cospicua Metropoli, ove ogni nazionalità ha i suoi templi ed i suoi ospedali, sarebbe un disonore per la colonia esserne priva.

Sorga dunque, e sorga presto, mercé la intelligente ed efficace cooperazione di tutti, l’ideato pietoso edificio, e sia in mezzo a voi perpetuo simbolo di unione e di pace. Sul terreno della carità ogni dissidio conviene che sia morto, ogni iniziativa deve aver libero il passo senza esclusioni o preferenze, senza riguardo a partiti, senza distinzione di sorta[30].

 

 

«Mezzi di diffusione»

 

Interessa grandemente di far conoscere al pubblico, e specialmente agli uomini di Chiesa la grandezza del bisogno spirituale in cui si trovano gli emigrati italiani in America e l’urgenza di provvedere.

A ciò gioverebbe immensamente la partenza dei Sacerdoti, l’istituzione dei Comitati, di cui si è detto innanzi, e gli altri mezzi di diffusione soliti a praticarsi per cose somiglianti, senza dimenticare i periodici religiosi, e qualche opuscolo speciale largamente sparso affine di mettere al corrente della cosa, come si suol dire, il pubblico cattolico italiano.

Il Sig. Gladstone, per accennare un esempio d’altro campo, non avendo potuto ottenere come ministro, e coi mezzi potentissimi di cui poteva disporre, la liberazione dell’Irlanda, tenta di ottenerla adesso coll’illuminare il popolo inglese coll’opuscolo: La storia di un’idea. Se altri giudica di facilitare e faciliterà di leggieri il raggiungimento del suo scopo, cioè la liberazione di un popolo dal giogo politico, per mezzo della stampa, perché questa non dovrà servire a facilitare la liberazione dei nostri connazionali da una schiavitù immensamente più dannosa?[31].

 

 

d) L’EMIGRAZIONE PROBLEMA DI TUTTA LA CHIESA

 

«Una Congregazione che a nome del Santo Padre imponesse le provvidenze del caso»

 

Ed ora mi permetto, Beatissimo Padre, di esporle una mia idea. La Santità Vostra si è proposto il sublime e fecondo programma: Instaurare omnia in Christo. Ora la Chiesa, che coll’ammirabile Istituzione di Propaganda Fide spende tanto denaro e consuma tanti preti per la diffusione della fede tra gli infedeli, non farà qualche cosa di simile per la conservazione della fede tra gli emigrati di tutte le nazioni e di tutte le religioni cattoliche: italiani, tedeschi, spagnoli, portoghesi, canadesi ecc. ecc.? Una Congregazione speciale dedicata a questo problema, il più grande del nostro secolo, riuscirebbe di onore alla S. Sede Apostolica, le avvicinerebbe i popoli, come a tenera madre, e produrrebbe un bene immenso. Lassù negli Stati Uniti del Nord le perdite del Cattolicesimo si contano a milioni, certo più numerose delle conversioni degli infedeli fatte dalle nostre Missioni in tre secoli, e non ostante le apparenze, continuano ancora. Il protestantesimo lavora lassù e lavora anche qui a pervertire le anime. Ora una Congregazione che si mettesse in relazione coi Vescovi, dai quali si dipartono e con quelli presso i quali arrivano gli emigranti cattolici, e se non basta coi rispettivi Governi; che studiasse in ogni sua parte l’arduo e complesso quesito dell’emigrazione, giovandosi all’uopo degli studi antichi e moderni, e a nome del Santo Padre imponesse le provvidenze del caso, sarebbe una benedizione pel mondo e basterebbe a rendere glorioso il Vostro Pontificato.

Perdonate, Padre Beatissimo, la mia audacia di un figlio devoto e riconoscente che darebbe per Voi e per la causa Vostra il sangue e la vita, e degnatevi di continuare la vostra santa Benedizione, che ricevo ogni dì inginocchiato con profonda commozione, perché possa compiere, col divino aiuto, le opere per le quali sono venuto, e così per la solennità dei Santi trovarmi in mezzo al mio popolo carissimo[32].

 

 

Memoriale sulla Congregazione o Commissione «Pro Emigratis Catholicis»

 

I Parte

(Presentazione del problema)

 

E.mo Principe,

ho l’onore di presentare all’alto senno di V. E. alcune considerazioni e proposte riguardanti le condizioni presenti e future del Cattolicesimo nelle due Americhe.

Osservazioni e proposte sono il frutto di lunghi studii fatti sui luoghi e più della esperienza di benemeriti missionari e di illustri prelati i quali, alla diffusione della Religione in quelle contrade, hanno consacrato tutta la loro vita.

Mai come ora, nell’atto di scrivere di tale argomento, mi sono sentito compreso da maggior commozione ed ho invocato con maggior intensità di affetto i lumi del Cielo e la grazia di quella eloquenza, che viene dalla parola  materiata di cifre e di fatti, per poter trasfondere negli altri gli intimi convincimenti miei su questo importantissimo argomento.

Quello che io vidi nei miei viaggi attraverso gli Stati Uniti del Nord e del Brasile mi sta innanzi come fosse presente, e le emozioni che provai non si cancelleranno mai più dal mio cuore.

Ho visitato popolose città e collettività nascenti, campi fecondati dal lavoro e immensi piani non tocchi dalla mano dell’uomo; ho conosciuto emigrati che avevano toccato il fastigio della ricchezza, altri che vivevano nell’agiatezza, e più l’oscura immensa falange dei miseri, che lottano per la vita contro i pericoli del deserto, le insidie dei climi malsani, contro la rapacità umana, soli, in un supremo abbandono, nell’inopia di tutti i conforti religiosi e civili e di ogni cosa: ho sentito i cuori palpitare all’unissono col mio, quando io parlavo loro col linguaggio patrio in nome della Religione.

Ho visto, spettacolo doloroso! la fede spegnersi in milioni di anime per mancanza di alimento spirituale, e anche purtroppo per indegnità dei suoi ministri.

Ho visto rifiorire in intere popolazioni, come una primavera delle anime, sotto il soffio di un santo apostolato, le pratiche della vita cristiana e le ineffabili speranze della Religione.

Ho visto, in una parola, che se la Chiesa di Dio non ha in quelle regioni maggior importanza di quella che ha ora, sia nella direzione della vita collettiva, sia in quella individuale, se le anime si perdono a milioni, lo si deve in gran parte più che all’attività, pur grande, dei nemici della  fede, alla mancanza di un lavoro religioso bene organizzato e ben adatto ai singoli ambienti e alla deficienza del clero, e mi sono fatto la ferma convinzione che è urgente di provvedere e che è grave errore, per non dir colpa, di tutti noi, preposti al governo della Chiesa, di lasciare che si prolunghi uno stato di cose, causa di tanta iattura alle anime e che sminuisce in faccia ai nemici di Dio la importanza sociale della Chiesa Cattolica (...).

Le forme della immigrazione europea in America, dopo il periodo breve e bellicoso della conquista, sono affatto diverse da tutte le altre immigrazioni registrate dalla storia.

Non orde di popoli barbari, che seminano stragi e rovine, ma falangi di pacifici lavoratori, che cercano in paesi altrui pane, fortuna e oblio. Non più l’impeto di una fiumana, che tutto travolge, ma il dilagare placido delle acque che fecondano. Non più soppressioni di popoli, ma fusioni, adattamenti, nei quali le diverse nazionalità s’incontrano, si incrociano, si ritemprano e danno origine ad altri popoli, nei quali, pure nella dissomiglianza, come a tipi di una stessa gente, predominano caratteri determinati e determinate tendenze religiose e civili (...).

La Chiesa Cattolica è chiamata dal suo apostolato divino e dalla sua tradizione secolare a dare la sua impronta a questo grande movimento sociale, che ha per fine la ristorazione economica e la fusione dei popoli cristiani.

Come sempre e dovunque, essa, anche in questo grande conflitto di interessi, ha una bella e nobile missione da compiere, provvedendo prima all’incolumità della fede, alla sua propagazione e alla salvezza delle anime, per assidersi poi, madre comune e regina, fra i diversi gruppi, smussando gli angoli delle singole nazionalità, temperando le lotte di interessi delle diverse patrie, armonizzando, in una parola, le varietà delle origini nella pacificatrice unità della fede (...).

Che deve fare la Chiesa per tener vivo ed alacre il sentimento religioso e salda la fede cattolica in quei popoli, ai quali si apre, ricco di tante promesse, l’avvenire e ai quali annualmente i popoli cattolici di Europa mandano un così largo contingente di emigranti di nazionalità diverse?

La domanda è semplice, ma non così la risposta; la quale per essere adeguata, deve essere varia e comprensiva a un tempo, generale e particolare; generale cioè, per la autorità da cui emana, particolare e varia a seconda degli ambienti in cui deve applicarsi, ai diversi bisogni, ai quali intende provvedere, alle leggi, ai costumi dei singoli paesi e, sarei per dire, delle singole collettività cristiane, che si vanno formando.

Procurerò di esser breve, esponendo il mio pensiero in forma sintetica.

 

 

II Parte                                         

(Gravità e urgenza del problema)

 

La Chiesa, fin dai primi tempi della scoperta, esercitò nell’America il suo Apostolato, frenando la cupidigia e crudeltà dei conquistatori e civilizzando gli indigeni. Valga per tutto la lotta sostenuta dal clero in difesa dei medesimi e le collettività cristiane create fra i Guarany nelle Missioni del Paraguay, vasto impero politico religioso, ammirato anche da scrittori poco teneri del cattolicesimo e non a torto chiamato la repubblica dei Santi.

Ma in seguito, colpa dei tempi, l’azione del clero si confuse troppo coll’azione politica, e il potere politico coloniale nell’America latina era tutto ciò che si può immaginare di sgoverno,  stoltamente tirannico e rapace non solo verso gli indigeni, ma anche verso le propagini europee americanizzate. Il detto che un ciabattino europeo aveva diritto di governare una colonia più di qualunque anche illustre creolo, diventò un assioma di quei governi coloniali, i quali parevano costituiti a bella posta per alienare dalla madre patria quelle nascenti popolazioni e destare un senso di ostilità per tutto ciò che sapesse di Europeo. E il divorzio morale si andò accentuando, finché degenerò in aperta ribellione. E questo stato di animosità e di ribellione politica si rifletteva sulla religione, poiché nella mente dei più il clero era confuso, e spesso lo era di fatto, col potere politico. Si aggiunga a questa causa la scarsezza delle chiese e del clero, e si dovrà necessariamente concludere che il cattolicesimo in quelle regioni era più di nome che di fatto con poco vantaggio morale e religioso sia dei governi sia dei popoli.

Colla emigrazione poi passarono l’Oceano anche molti sacerdoti, ma, purtroppo, salvo rare eccezioni, erano tutto ciò che il clero offriva di avariato in fatto di costumi e là, quasi senza freno colla vita scandalosa e col mercimonio delle cose sante, gettarono il discredito sulla religione e rovinarono popolazioni intere.

Ora si tratta di restaurare anche là ogni cosa in Gesù Cristo.

Molto si è fatto allo scopo; ma è ben poca cosa, di fronte al moltissimo che rimase a farsi. Le emigrazioni delle varie nazionalità hanno tutte bisogno, dal lato dei pericoli religiosi, delle cure vigili e materne della Chiesa. La emigrazione italiana però merita special riguardo poiché fra tutti quei popoli l’italiano è, si può dire perfettamente straniero.

Gli spagnuoli e i portoghesi trovarono negli Stati Uniti un largo territorio in cui si parla la loro lingua, gl’inglesi e gl’irlandesi hanno colà nei territori britannici una seconda patria, almeno per quanto riguarda l’assistenza religiosa. Solo gl’italiani vivono colà abbandonati a se stessi, e vi fu un tempo non lontano nel quale per intolleranza eran mal assistiti anche nelle chiese! così dicasi dei Polacchi, dei Ruteni e i Tedeschi.

Nei recenti miei viaggi per quelle regioni ho, torno a ripeterlo, assistito a spettacoli di fede che fanno piangere di commozione ed ho raccolto fatti e aneddoti che mi fanno arrossire in qualità di Vescovo al pensiero che l’abbandono in cui furono lasciati tanti anni abbia potuto verificarsi e che per moltissimi anche oggi perduri! Sono centinaia di migliaia i fratelli espatriati che domandano invano un sacerdote che parli loro di Dio nel linguaggio della patria lontana!

Tale è pure la condizione dei Polacchi tormentati dallo scisma, dei Canadesi, dei Tedeschi ove non vi sono i buoni P. Gesuiti come nello Stato di Rio Grande del Sud, dei Ruteni colle ardenti questioni del celibato pei loro preti, degli Italo-Greci e di altre nuove emigrazioni cattoliche sparse un po’ dappertutto (...).

 

 

III Parte

(Rimedi proposti e compito della Congregazione)

 

Secondo me, il primo rimedio sta, come sopra accennai, in una sapiente organizzazione del lavoro di apostolato appunto là nelle Americhe, e questa organizzazione dovrebbe emanare dalla S. Sede, autorità non solo indiscussa e indiscutibile, presso tutto il clero cattolico, ma di natura sua universale, e che abbraccia per conseguenza tutte le nazionalità.

Bisogna far in modo che ogni colonia o comunità, ove è densa la nostra emigrazione, abbia il proprio sacerdote il quale, vivendo nel centro urbano della colonia, possa opportunamente e periodicamente compiere il giro di insieme nel territorio assegnatogli, territorio che ben spesso si estende quanto una delle nostre più vaste provincie.

E questo lavoro religioso deve essere completato con quello della scuola, nella quale i figli degli emigrati possono apprendere, insieme ai rudimenti del leggere, dello scrivere e del conteggio, la lingua del paese che deve essere la loro nuova patria e la lingua della patria di origine, poiché un elemento attivissimo della conservazione della religione è appunto il sentimento delle origini opportunatamente coltivato nelle generazioni americanizzate.

La lingua è un arcano mezzo di conservare la fede. Non è facile spiegarlo, ma è un fatto che perdono la lingua, facilmente si perde anche la fede avita. Qual ne sia la ragione arcana è difficile determinarlo, ma l’esperienza ci dice che sino a che una famiglia conserva all’estero la propria lingua, difficilmente muta la propria fede.

Per le scuole si possono adibire le Suore ed io ho esperimentato con successo in tale ufficio le Apostole del Sacro Cuore in alcune colonie del Brasile sia in centri urbani.

E poiché, fra quelle giovani collettività il bene non deve mai essere scompagnato dall’utile, sarà buona cosa in molti punti, di supremo abbandono, stabilire accanto alla chiesa e alla scuola, un dispensario farmaceutico, esercitato dalla suore stesse o dal sacerdote, il quale al mite prezzo di costo fornisca i preparati farmaceutici, di uso comune, ai sofferenti.

Così si concentrerebbe intorno al clero la moltiforme azione dell’assistenza religiosa, civile e materiale, e la Chiesa di Dio passerebbe  benedetta fra quelle popolazioni, e una volta di più si avvererebbe che, a somiglianza del suo Divin Fondatore, ella pertransiit benefaciendo et sanando omnes.

Fin qui per l’America del Sud.

Per l’America del Nord, i pericoli di perdere la Fede sono ancora più grandi, poiché a quelli enumerati della mancanza di assistenza, si aggiunge il proselitismo delle sette protestanti, colà, più che altrove, attive e numerose.

Le perdite fatte negli Stati Uniti, per mancanza di assistenza religiosa, sono immense. Secondo calcoli statistici, due terzi della popolazione attuale di quegli Stati, cioè circa 48 milioni, proviene dalla immigrazione dalle diverse nazioni d’Europa, e, cosa dolorosa, benché una buona parte di tale immigrazione provenga da Paesi cattolici, attualmente il cattolicesimo non vi è rappresentato che da circa 10 milioni! Ora non v’ha dubbio che i cattolici degli Stati Uniti potrebbero essere più del doppio di quello che vi sono al presente, solo che si fossero conservati cattolici quelli che vi emigrarono, e questi si sarebbero conservati tali ove al loro arrivo avessero trovato e trovassero in seguito i necessarii soccorsi religiosi, poiché gli emigrati conservano tenacemente tutto ciò che ricorda loro la patria d’origine e la fede avita.

Ma purtroppo il clero Nordamericano, come quello del Sud, è insufficiente per numero, ed ha per giunta la difficoltà della lingua; difficoltà doppia: da parte degli immigrati, massime di stirpe latina, per apprendere l’inglese, e difficoltà del clero anglo-sassone di apprendere le lingue neolatine.

Ora i rimedi, oltre a quello già accennato dell’invio di preti nazionali numerosi e ben preparati, sarebbero:

1.      Istituzione di parrocchie a seconda delle singole nazionalità ogni qual volta le collettività cattoliche siano in grado di sostenere le spese inerenti ad una tale istituzione sia per il sostentamento del clero, sia per l’esercizio del culto. La legge degli Stati Uniti è altamente liberale e accorda i diritti civili a qualunque associazione parrocchiale senza distinzione di culto e di nazionalità. La esperienza poi fatta in alcune città della istituzione di parrocchie italiane, basterebbe a provare quanto valga questo mezzo semplicissimo a ravvivare la fede e il desiderio delle pratiche religiose anche in individui che ne parevano più alieni.

2.      Nei centri ove esistano diverse nazionalità, senza che nessuna di loro sia in grado di formare una parrocchia, si dovrebbe usare di un clero misto, collo stretto obbligo di impartire l’istruzione agli adulti e l’insegnamento catechistico ai fanciulli nella lingua di ciascuno.

3.      Che il clero sia possibilmente della nazionalità dei parrocchiani, o almeno ne parli la lingua.

4.      Che vi sia anche qui in ogni parrocchia una scuola ove insieme alla lingua inglese e agli elementi della istruzione si insegni la lingua nazionale dei parrocchiani. La istituzione di scuole parrocchiali, ove s’insegni coll’inglese la lingua nazionale è di prima importanza, non solo per valersi del sentimento patriottico, vivissimo negli espatriati, a beneficio del religioso: ma anche per sottrarre i giovani alla influenza della scuola americana la quale, per il suo spirito di perfetta indifferenza riguardo alla religione, assume il carattere di scuola ateistica...

E così io già ho tracciato gran parte di quello che dovrebbe formare lo studio e il lavoro della proposta Congregazione (Commissione ) centrale pro Emigratis Catholicis.

La necessità di tale Congregazione (Commissione) e i vantaggi che può apportare sono evidenti. A fenomeni nuovi organismi nuovi adeguati al bisogno. Le istruzioni e disposizioni isolate, per quanto si vogliano sapienti, non bastano, poiché è umano che le une e le altre senza organismo che le faccia eseguire e le mantenga alacri, contano poco. Infatti istruzioni e disposizioni in questo senso furono già emanate dalla S. Sede, e segnatamente dal Sommo Pontefice Leone XIII, ma la loro efficacia, per tante cause che qui è superfluo enumerare, non fu purtroppo quale avrebbe dovuto essere.

Il fenomeno emigratorio è universale, e universale per l’autorità e centrale per posizione vuol essere la Congregazione (Commissione) in parola. L’azione dei singoli Vescovi, ignari gli uni di quello che fanno gli altri, si può risolvere in un disperdimento di forze.

Tutti i Governi europei hanno sentito il bisogno di creare nuovi organismi amministrativi per disciplinare in patria la emigrazione, per seguirla all’estero nelle sue varie direzioni e più per proteggerla dagli agguati senza numero che la lotta degli interessi tende ai miseri espatriati. A più forte ragione, come ognun vede, deve la Chiesa pensare a dirigere e a tutelare i suoi figli, che, emigrando in Paesi protestanti o in Paesi affatto nuovi ove manca assistenza religiosa adeguata, perdono la fede.

Solo una tale Congregazione emanante dalla S. Sede potrà, senza gelosie dei Governi e dell’Episcopato americano, istituire le parrocchie per nazionalità, le sole che, a mio giudizio, possono efficacemente contrastare all’opera deleteria delle sette protestanti, massime nei Paesi ove queste hanno il predominio, ritornare con saggi provvedimenti i Polacchi scismatici al seno della Chiesa e preservare (?) le altre nazionalità.

Come dovrebbe essere costituita questa Congregazione?

Dovrebbe essere costituita, a parer mio, dai rappresentanti delle diverse nazionalità che danno il maggior contingente all’emigrazione; cioè da due italiani, da un polacco, da un tedesco, da un canadese, ecc.

La scelta di questi rappresentanti dovrebbe cadere su persone competenti, edotte delle condizioni e dei bisogni dei rispettivi connazionali, e che sappiano inoltre la lingua italiana, per facilitare la comunicazione dei singoli membri con chi fosse chiamato a presiedere la Congregazione e i rapporti con le altre Congregazioni affini. Ciò si potrebbe facilmente ottenere, rivolgendosi di preferenza alle Congregazioni religiose che si sono dedicate al servizio dei loro connazionali emigrati.

Quale dovrebbe essere lo scopo e il compito della detta Congregazione?

Suo scopo dovrebbe essere quello di provvedere all’assistenza spirituale degli emigrati,  specialmente nelle Americhe, e di tener viva così nel loro cuore la cattolica fede e il sentimento cristiano.

 

 

Suo compito

 

1.      Studiare il complesso e gravissimo problema della emigrazione, preparando anzitutto un questionario  intorno al medesimo e tenendosi bene informata sul movimento cattolico emigrante.

2.      Pur rispettando le lodevoli iniziative private sorte in questo campo, caldeggiare la istituzione di Comitati cattolici nelle parrocchie più importanti.

3.      Eccitare a favore dei medesimi per mezzo dei Vescovi lo zelo dei parroci e suggerire loro i mezzi pratici per aiutarli, specialmente al momento della partenza e dell’arrivo.

4.      Rispondere ai quesiti che le venissero fatti in ordine ai provvedimenti presi o da prendersi e appianare le difficoltà che potessero insorgere in ordine all’emigrazione tanto in patria che nei paesi lontani.

5.      Adoperarsi a vigilare sopratutto perché gli emigranti abbiano sacerdoti che li accompagnino durante il viaggio di andata e ritorno, e anche perché di buoni e zelanti missionari siano provvedute le varie colonie, e via dicendo.

 

 

IV Parte

(Commento ad alcuni punti)

 

Credo utili due parole di commento a questi tre ultimi punti.

Non tutti i sacerdoti che si dedicano alla cura spirituale degli emigranti, sono forniti delle doti necessarie di zelo, di pietà e abnegazione, quali si convengono ad un buon missionario. Molti anzi prostituiscono il loro ministero, mercanteggiando sulle cose sacre, diventando veri incettatori d’oro, anziché di anime. E questa forse è una delle ragioni per cui molti Vescovi provano una specie di antipatia pel clero forestiero che cerca d’introdursi nelle loro Diocesi, per assumere la cura dei propri connazionali e della determinazione in cui vennero alcuni Vescovi, di far studiare le lingue ai Sacerdoti indigeni, per assegnarli poi alle colonie straniere, residenti nelle loro Diocesi. Determinazione che praticamente non può dare buoni risultati; sia perché la cognizione delle lingue nazionali, in molti casi riesce insufficiente, quando non se ne conoscono anche i dialetti, parlati dalle diverse provincie, sia perché con la conoscenza di una lingua, non s’acquista il carattere del popolo che la possiede. Di qui appare quanto sia importante la scelta del clero, cui si deve affidare la cura spirituale delle colonie.

La Congregazione potrebbe facilmente provvedere a questo bisogno, se a lei ricorressero tutti i sacerdoti desiderosi di recarsi in Missione presso le colonie, ed i Vescovi i quali abbisognassero di missionarii per gli stranieri stabiliti nelle loro diocesi.

Alla Congregazione non riuscirebbe difficile l’assumere sicure informazioni sui soggetti aspiranti alla Missione, e il formarsi un giusto concetto delle loro attitudini, mentre i Vescovi richiedenti dovrebbero stimarsi fortunati di poter ammettere nelle loro Diocesi dei sacerdoti raccomandati e approvati dalla Congregazione (...).

È un fatto consolante il constatare come da qualche anno in qua i Vescovi si siano adoprati per provvedere gli emigrati di sacerdoti.

Ma è altrettanto doloroso il pensare come molti Vescovi abbiano per lungo tempo trascurato affatto gli interessi religiosi di tante centinaia di migliaia di poveri emigrati.

Lo sanno i valorosi missionarii, che primi accorsero a prestare l’opera loro alle colonie. Quante diffidenze dovettero vincere, con quanta freddezza vennero accolti, quante difficoltà ebbero a superare, quante volte l’opera loro fu respinta con sdegnoso rifiuto!

E anche oggidì, nonostante questo santo risveglio da parte dei Vescovi, se si pensa a quanto ancora resta da fare, ben si vede quanto poco si sia fatto finora.

Toccherebbe alla Congregazione il seguire le grandi correnti emigratorie, classificare le colonie, dalle più grandi che contano le centinaia di migliaia di membri, alle più piccole; numerarne le Chiese, i Sacerdoti addetti alla loro cura, ed esigere che si provveda dove non s’è provveduto; venendo in aiuto dei Vescovi col consiglio, con le esortazioni, con l’inviare loro buoni Sacerdoti, col sollecitare le Congregazioni religiose a portare il loro valido aiuto, con tutti quei mezzi che la Congregazione potrebbe trovare, con uno studio amoroso.

La Congregazione potrà mandare i suoi membri sui posti, per accertarsi de visu sul modo con cui si provvede ai bisogni spirituali degli emigrati: e non s’accontenti dei rapporti mandati dai Vescovi, che il più delle volte rivelano non già le reali condizioni delle colonie, ma soltanto le buone intenzioni di chi li ha compilati.

Quanto alle difficoltà che insorgono così spesso e dovunque, è da osservare come queste derivino quasi sempre dalla diversità delle lingue, dalla differenza di carattere, da usi e costumi diversi e da cento altre cause.

Difficoltà che non soppresse a tempo sono causa di attriti, soprusi, ripicchi, dissenzioni: tutto a scapito del bene delle colonie e delle Chiese, ed a vantaggio delle sette dissidenti, che se ne valgono come di arma per denigrare la Chiesa e il clero.

Ed anche in questi casi i membri della Congregazione, recandosi sul posto, potrebbero, con facilità e sicurezza, rendersi ragione della causa dei disordini, riferirne alla Congregazione e prendere dei provvedimenti immediati.

È vero che ci sono le Congregazioni incaricate per dirimere le questioni, che possono sorgere in simili casi. Ma la abituale lentezza con cui si suole procedere nel disbrigo di questi affari, dovuta in parte alle enormi lontananze, la solennità che assumono queste questioni, quando vengono portate davanti alle Congregazioni, la difficoltà di avere pronte e sicure informazioni, il non conoscere l’ambiente dove le questioni si svolgono, sono tutti incagli, che servono molte volte a mantenere a lungo uno stato di cose che pregiudica gli interessi delle parti contendenti.

La Congregazione dovrebbe anche studiare con grande cura i mezzi, per contrapporre un argine alla propaganda attiva ed insistente che i protestanti fanno, in modo speciale tra gli Italiani negli Stati Uniti, e non senza successo. Oh! quante cose dolorose si potrebbero metter in luce a questo proposito!

Un altro fatto doloroso che dovrebbe richiamare l’attenzione della Congregazione è il moltiplicarsi delle Chiese, così dette indipendenti nelle colonie polacche.

Da quanto si è fin qui esposto sommariamente, e dal molto che ancora si potrebbe scrivere, quando si volesse studiare la cosa con maggior profondità, è facile il comprendere quale vasto e pratico campo d’azione sia riservato alla Congregazione che si sta progettando.

E nessuno può dubitare della felicissima impressione che la costituzione di una simile Congregazione produrrebbe sull’animo di milioni di poveri emigrati, nell’animo dei quali oramai è entrata la scoraggiante persuasione, benché falsa, che il loro Padre, il Sommo Pontefice non si interessi della loro sorte.

 

 

V Parte

(Suggerimenti per l’attuazione pratica)

 

L’efficacia l’avrebbe già in sé, come dissi, per l’autorità che le verrebbe dalla Sede Apostolica, e l’aumenterebbe poi colla opportunità e sollecitudine dei suoi provvedimenti, coll’insistere presso i Vescovi perché facciano eseguire (occorrendo, con qualche sanzione penale) quanto verrà dalla Congregazione ordinato, col richiedere ogni anno il resoconto di quello si sarà fatto in ordine al fine inteso, col mandare sul posto a quando a quando qualche speciale incaricato, coll’accordare ai più operosi e benemeriti qualche distinzione ecc.

Si povrebbe poi ordinare una questua annuale in tutte le chiese delle varie nazionalità per costituire un fondo di cassa, prelevandone una parte per il retto funzionamento della Commissione stessa, e destinando il rimanente per l’assistenza degli emigranti.

Leone XIII la ordinò per la tratta dei negri, e non potrebbe il regnante Pontefice ordinarla per la tratta dei bianchi?

Per questa certamente darebbero tutti, e darebbero volentieri, perché qui il bisogno è più facilmente compreso e più sentito.

Sarebbe pur bene, secondo me, destinare per quest’opera di interesse generale, parte almeno dei proventi che si potrebbero ricavare dalle nuove edizioni riservate, per es. dei libri liturgici, del catechismo ecc. Nessuno ci avrebbe ragionevolmente a ridire.

Trattandosi di un’opera intesa unicamente alla maggior gloria di Dio e alla salvezza di tante anime, potrebbe Dio non aiutarla?

Conchiuderò con le seguenti importantissime parole di Teodoro Roosevelt, tolte dall’ultimo fascicolo della Revue di Parigi:

 «L’immigrante arriva quasi senza protezione: egli di regola ignora la nostra lingua, non è famigliare colle nostre istituzioni, abitudini di vita e costumi e col nostro modo di pensare; e vi sono, mi duole il dirlo, gran numero di imbroglioni che sperano di campare la vita con depredarlo ed a meno che qualcuno non sia sul posto per dargli aiuto, egli è letteralmente perduto. Nessuna opera maggiore si può compiere da una società filantropica o religiosa di quella di stendere un aiuto amichevole all’uomo e alla donna che vengono tra noi per divenire cittadini o genitori di cittadini. Se noi non prendiamo cura di essi, se trascuriamo di migliorarli, allora i nostri figli, senza fallo, ne pagheranno il fio. O essi risorgeranno o noi cadremo»[33].

 

 

«Sarebbe quel granum sinapis»

 

Perdoni se vengo di nuovo a importunarla in ordine al noto disegno Pro emigratis catholicis. La cosa mi sembra di troppo alta importanza. Nel Memoriale spedito testé a questo riguardo io scrivevo: «La Congregazione dovrebbe essere costituita, a parer mio, dai rappresentanti delle diverse nazionalità che danno il maggior contingente all’emigrazione ecc. La scelta poi di questi rappresentanti dovrebbe cadere su persone competenti, edotte sulle condizioni e sui bisogni dei rispettivi connazionali e che sappiano inoltre parlare la lingua italiana per facilitare la comunicazione dei singoli indirizzi con chi fosse chiamato a presiedere la Congregazione stessa e i rapporti con altre Congregazioni affini. Ciò, io aggiungeva, si potrebbe facilmente ottenere, rivolgendosi di preferenza alle congregazioni religiose che si sono dedicate al servizio dei loro connazionali emigrati».

Ora, per venire ancora più al pratico e agevolare massimamente la cosa, proporrei che venissero chiamati in Roma tre missionari della Congreg. di S. Carlo (due del Nord e uno del Sud) che si dedicassero al necessario lavoro di preparazione, valendosi a tal fine dell’esperienza e degli studi già fatti, come anche dei lumi di altri missionari residenti a Roma.

Se nell’odierno riordinamento di parrocchie si potesse avere costì una chiesa con annesso locale, la cosa potrebbe attuarsi ben presto, senza troppo chiasso, con pochissima spesa, e sarebbe precisamente quel granum sinapis che in seguito, come mi scriveva ultimamente l’E. V., colla benedizione del Signore potrebbe estendersi sempre più[34].


 

 

3. I MISSIONARI E LE MISSIONARIE DI SAN CARLO PER I MIGRANTI

 

Mons. Scalabrini, nel gennaio del 1887, si offre alla Santa Sede per iniziare subito un’associazione di preti per l’assistenza agli emigrati, nel febbraio presenta il primo progetto, nei mesi successivi lo perfeziona. Il 15 novembre Leone XIII approva la fondazione della Congregazione dei Missionari per gli emigrati, che si realizza il 28 novembre 1887.

Si avverte presto la necessità di completare l’iniziativa con una Congregazione femminile, che nasce di fatto il 25 ottobre 1895, con il concorso di Padre Giuseppe e Madre Assunta Marchetti.

Le due Congregazioni sono inserite nell’attività missionaria della Chiesa. La «missione» è conferita dal Papa e si svolge sotto la guida dei vescovi: nell’unione con i vescovi e con il Papa è assicurata l’unione con la Chiesa universale e con Cristo. La Chiesa particolare garantisce una metodologia pastorale adeguata alle particolari esigenze dei migranti.

I Missionari e le Missionarie, obbedendo al mandato missionario del Redentore, continuano la missione di Cristo, inviato a evangelizzare i poveri, nello stesso modo con cui il Signore l’ha compiuta: partecipano al suo «esodo» pasquale attraverso la Croce e alla sua incarnazione nell’ambiente sociale e culturale in cui visse, povero, casto e obbediente, in una comunità apostolica.

 

 

a) LA FONDAZIONE

 

«Una associazione di preti per l’assistenza degli emigrati»

 

Mesi sono fu da me, e più volte, un mio antico discepolo nel seminario di Como, ora sacerdote e professore, il quale avendo dovuto intraprendere il viaggio d’America per rivedere colà il padre suo e la sua famiglia, rimase profondamente commosso e addolorato al vedere l’abbandono religioso in cui vi si trovano centinaia di migliaia di italiani colà emigrati. Vi sono gruppi che formerebbero Parrocchie di parecchie centinaia di anime che vivono e muoiono senza vedere la faccia di un prete, senza udire una parola di religione, senza ricevere Sacramenti, che vivono e muoiono come bestie. E’ cosa che strazia l’animo a pensarvi. Il detto sacerdote visitò alcune di coteste piccole colonie e mi narrò delle accoglienze festosissime e del bisogno che sentono quei poveretti di avere almeno di quando in quando una visita di qualche ministro del Signore.

Oh, E.mo! non vi sarebbe modo di provvedere a tante povere anime? Si fanno tanti e generosi sforzi per la conversione degli infedeli e lasceremo perire i nostri connazionali già cattolici? Non sarebbe il caso, E.mo, di pensare ad una associazione di preti italiani, che avessero per scopo l’assistenza spirituale degli italiani emigrati nelle Americhe, che ne vegliassero la partenza e l’arrivo, e provvedessero al loro avvenire cristiano per quanto è possibile?

So che anni sono si trattò di qualche cosa di consimile dagli Arcivescovi di Genova e di Napoli, ma credo che nulla o ben poco siasi fatto in proposito. Da parte mia sarei pronto ad occuparmene e a iniziarla tosto, in minimissime proporzioni, ma iniziarla davvero[35].

 

 

«Progetto di una associazione allo scopo di provvedere ai bisogni spirituali degli italiani emigrati nelle Americhe».

 

Eccole il progetto, o meglio l’abbozzo di un progetto per venire in aiuto agli italiani emigranti nelle Americhe, da me steso, secondo il desiderio espressomi dal S. Padre per mezzo dell’Eminenza Vostra Rev.ma (...).

Qualora V.E. credesse valersi dell’opera mia meschinissima, sia per preparare l’appello ai Vescovi Italiani e la Circolare a quelli d’America, sia per altro, io mi terrò sempre onorato di poterla servire. L’iniziativa però di quest’opera nobilissima dovrebbe sempre partire dalla S. Sede, e tutti i documenti relativi dovrebbero portare la firma dell’Eminenza Vostra.

Il Clero italiano risponderebbe allora sicuramente all’invito e con trasporto. Ne ho già parlato io riservatamente, e come di una lontana possibilità, a parecchi Sacerdoti, e sono prontissimi a partire quandochessia (...).

 

 

Necessità di provvedere

 

Sulla necessità di porgere aiuto ed assistenza spirituale agli italiani, i quali emigrarono in America, non credo far lungo discorso, perché la S. Congregazione di Propaganda ne ha conoscenza piena, meglio di altri, per le relazioni date dagli Arcivescovi di New York, New Orleans, e dai Padri del terzo Concilio di Baltimora.

E simili relazioni, e fors’anco più sconfortanti, saranno state, senza dubbio, presentate anche dai Vescovi dell’America del Sud e dell’Australia (...).

Per tacere degli anni precedenti, l’emigrazione italiana, che nel 1881 era rappresentata dalla cifra di 28.217 e che parve allora una spaventevole enormità, saliva nel 1882 a 58.290 e nel 1883 a 62.704. Faceva una breve sosta nel 1884, limitandosi a 60.489; ma ecco nel 1885 scattare da capo e spingersi a 83.786. Fossero almeno quegli infelici tutti adulti! Ma ciò che amareggia l’animo ancor di più si è che a formare la cifra di 83.786 concorrono nientemeno che 15.642 fanciulli (...). Non sono compresi quelli che salparono da porti esteri, come da Marsiglia, da Tolone e da Havre.

Trovandosi adunque centinaia di migliaia di Italiani in America, sparsi nelle città e nelle campagne e perduti nelle boscaglie, privi di ogni assistenza religiosa, oltre a quelli che ancor vi andranno... è chiaro che bisogna provvedere agli emigrati, agli emigranti, ed ai loro figlioli.

 

 

Urgenza di provvedere

 

È necessario provvedere ai bisogni spirituali di tante centinaia di migliaia di nostri connazionali, ed è urgente provvedere al più presto.

Qualora si differisse più oltre, irreparabili ne sarebbero i danni.

L’incredulità, l’eresia, e soprattutto la framassoneria, che in America è potentissima, si adoprano attivamente per impadronirsi della mente e del cuore degli emigranti. Se quindi ora non si tratta che di richiamare sulla retta via cattolici derelitti, tra non molto saranno increduli, eretici, framassoni, atei, che si dovrà curare di convertire.

E quegli stessi infelici, che per miseria ed altre dolorose cagioni dovettero abbandonare il paese nativo, pregano e supplicano che si vada loro in soccorso.

Un gentiluomo italiano, reduce da un lungo viaggio di esplorazione in America, mi diceva di aver incontrato gruppi di famiglie delle montagne piacentine, che piangendo gli chiedevano del loro Vescovo e alla carità di lui, per mezzo del medesimo viaggiatore, si raccomandavano, affinché non si dimenticasse di loro; ma inviasse, almeno per qualche mese, un sacerdote. Era una scena commovente, narrava il gentiluomo, l’udire quei poveretti rimpiangere la felicità perduta, ricordare le loro feste, la loro chiesetta, le loro funzioni; pensasse il Vescovo, in qualche modo, anche al loro eterno avvenire; quanto a loro essere pronti a qualsiasi sacrificio, a spendere danaro per il viaggio del prete ecc. «Se non si muove lui a pietà di noi, gli dicevano, diventeremo peggiori dei pagani, e moltissimi, che è assai peggio, muoiono senza potersi riconciliare con Dio».

Queste semplici parole sgorganti da cuori ancor pieni di fede, esprimono al vivo la condizione tristissima in cui versano quasi tutti gli emigranti. L’urgenza di provvedere è manifesta. Oh, fiat, fiat!

 

 

Come provvedere

 

Innanzitutto parmi necessario che nelle regioni ove trovansi i nostri connazionali, vengano spediti sacerdoti senza sede fissa, i quali, d’accordo con gli Ordinari locali, abbiano a darvi missioni di 15 o 20 giorni, più o meno secondo che ne richiederà il bisogno; esortarli ad erigersi una cappella, a procurarsi i mezzi per il mantenimento di un prete; tener nota dei luoghi, delle condizioni dei medesimi, del numero degli abitanti ecc. e spedire tutto a chi verrà dalla S. Sede costituito Capo della Pia Associazione (...).

La S. Sede dovrebbe ordinare, o almeno raccomandare, ai Vescovi di lasciar libere queste vocazioni e di non opporvisi menomamente. I Vescovi italiani non dovrebbero e non potrebbero lagnarsi di vedersi tolto qualche idoneo soggetto, mentre si tratta di provvedere al bene spirituale dei loro diocesani lontani, e senza confronto più bisognosi degli altri, i quali anche nelle diocesi ove è massima la scarsezza di clero, trovano sempre, ove li vogliano, i mezzi di salute (...).

È ammesso a far parte di questa Pia Associazione qualunque sacerdote di qualsiasi diocesi italiana, purché approvato per ricevere le Confessioni ed abbia raggiunta l’età di anni 30, o almeno abbia esercitato il sacro ministero per 3 anni (...). È assolutamente indispensabile che gli aspiranti siano distinti per pietà, d’indole docilissima, di condotta intemerata, di zelo apostolico per la salvezza delle anime (...).

Non si obbligano i Missionari a rimanere nelle colonie italiane in America oltre lo spazio di un anno, ma è rimesso al loro arbitrio il rimanervi di più, e anche per tutta la vita, qualora si sentissero dal Signore ispirati a consacrarsi senza riserva alla nobilissima impresa.

Prima della partenza i novelli Missionari si raduneranno per un mese in luogo di sacro ritiro (...), per ivi ritemprare lo spirito nell’esercizio della meditazione e della preghiera, come già gli Apostoli nel Cenacolo prima di uscire ad evangelizzare il mondo (...).

Si obbligheranno i Missionari, prima della partenza, ad emettere il giuramento di non ritenere, come cose proprie, né danaro, né oggetti, che loro venissero offerti, e di consegnare tutto ciò al Superiore della Pia Associazione, ritornando alle rispettive diocesi nello stato in cui ne erano partiti.

I Missionari non potranno occuparsi che in catechizzare, predicare, istruire, amministrare Sacramenti ecc. e verranno immediatamente richiamati in Italia, qualora si permettessero di rivolgere la mente e l’azione in altre cose che non abbiano attinenza allo scopo proposto dalla S. Sede (...).

Ogni tre mesi, potendo, si raduneranno in gruppi di 5 o 6 a seconda delle distanze o difficoltà dei luoghi, e in un giorno che non sia festivo, per i bisogni spirituali propri e nel tempo stesso per scambiarsi consigli, aiuti e conforti.

 

 

Come dar principio all’opera?

 

Per l’Italia

 

Indirizzare un appello ai Vescovi italiani e per mezzo di loro al Clero, invitandolo a concorrere con l’opera alla santa impresa e facendo conoscere le intenzioni della S. Sede e le suaccennate condizioni (...).

Si istituiranno Comitati, specialmente nei porti di mare, i quali aiutino i Missionari, indirizzino loro gli emigranti, raccolgano mezzi materiali ecc.

 

 

Per l’America

 

  1. Ai Vescovi d’America convien spedire una Circolare latina, pregandoli di significare al più presto i bisogni degli emigrati italiani e come potrebbero provvedere ai sacerdoti, che fossero disponibili e venissero loro inviati.
  2. Eccitarli a coadiuvare l’opera col raccogliere offerte allo scopo, e principalmente per la fondazione di un Seminario italiano in qualche città d’America, per la formazione di un Clero italiano indigeno, che si consacri soltanto per gli Italiani.

Non sembra dover essere difficile avere vocazioni quando si pensi che nel 1885 si ebbe l’emigrazione, come venne di già notato, di 15.642 fanciulli italiani.

 

 

Mezzi di prevenire il guasto degli emigranti

 

Oltre alla guerra di riconquista, per così chiamarla, delle anime perdute nelle sterminate regioni del Nuovo Mondo, converrebbe pensare al modo di prevenire la rovina di tanti poveri cattolici italiani, che vanno esulando al di là dell’Oceano, spesso coi loro figliuoli.

Il primo mezzo per impedire il guasto degli emigranti dovrebbe essere lo zelo dei parroci nel combattere l’emigrazione, e nel tentare ogni via allo scopo di persuadere i loro parrocchiani a non spatriare. Ma purtroppo nel maggior numero dei casi non si riesce, e l’emigrazione bisogna subirla come una dolorosa necessità. O rubare o emigrare, è il terribile dilemma che udii più di una volta dalla bocca dei poveri operai e contadini.

Il parroco in queste distrette non deve lasciar partire alcuno all’estero senza munirlo di lettera commendatizia pel Clero del luogo, ove deve prendere dimora. Negli anni che io esercitai il ministero parrocchiale mi valsi costantemente di questo metodo e ne ottenni buoni risultati. Fatto Vescovo conobbi durante le Visite Pastorali ancor più i gravissimi mali dell’emigrazione (…).

Sarebbero d’immenso vantaggio le colonie cattoliche somiglianti a quelle già istituite negli Stati Uniti per gl’Irlandesi e per gl’Inglesi: le quali, a quanto mi sembra, non sono che una specie di Parrocchia cattolica, con sacerdoti e scuole cattoliche, e alle quali si inviano i loro connazionali, invece di lasciarli partire come pecore smarrite. Così gli emigranti verrebbero a trovarsi quasi nella loro patria, in mezzo ai cattolici, coi sussidi religiosi, almeno essenziali.

A conservare poi il frutto delle Missioni si dovrebbe in ogni gruppo di Italiani, che non hanno prete, raccomandare che non solo si attengano ogni giorno in casa alle pratiche dei buoni cristiani, ma che nei dì festivi si riunissero nella Chiesa, o cappella, a pregare in comune, a cantarvi le lodi del Signore, a farsi il Catechismo ai fanciulli, a leggervi il Vangelo delle domeniche; a compiere quegli esercizi religiosi che da laici possono eseguirsi. È in tal maniera  che nel Madagascar durante l’assenza dei Missionari per più anni, si conservò non solo la fede, ma anche il fervore religioso.

La lettura di opportuni libri e di opportuni periodici religiosi, accomodati agli speciali bisogni di quei fedeli, gioverà anch’essa a tenere le veci dei Sacerdoti[36].

 

 

« L’idea di accorrere in aiuto agli emigrati è matura»

 

L’idea di accorrere in aiuto agli emigrati è matura. La stampa va di continuo eccitando ora gli uni ora gli altri degli uomini che governano il paese a levare la voce perché si provvegga. Sarebbe un danno gravissimo che la massoneria prevenisse in questo campo la Chiesa e arrivasse a impadronirsi del campo.

Gli è appunto ad impedire che ciò avvenga che io, sebbene l’ultimo dei Vescovi, ho creduto bene di dettar poche pagine sull’importante argomento, anche per meglio disporre gli animi a favore del disegno di evangelizzazione da me presentato per espresso desiderio di Vostra Santità alla Sacra Congregazione di Propaganda, caso venisse approvato[37].

 

 

«Un Istituto di sacerdoti e per giovanetti delle colonie italiane»

 

Si continua a pregarmi da diverse parti di sollecitare l’attuazione del noto progetto relativo appunto agli emigrati italiani. Io ho tenuto sospeso finora ogni trattativa a questo riguardo, in attesa di una risposta che l’ottimo Mgr. Jacobini mi aveva fatto sperare nei primi del p.p. Agosto. Nulla ancora avendo ricevuto, amerei di sapere se posso intanto aprire qui, come sarebbe mia intenzione, un Istituto, che raccogliesse quei sacerdoti, i quali volessero dedicarsi all’evangelizzazione degli emigrati in America, come pure quei giovanetti delle colonie italiane, che mostrassero inclinazione allo stato ecclesiastico[38].

 

 

«Origine dell’Opera»

 

Una delle piaghe che io ebbi a deplorare, visitando per la prima volta le 366 parrocchie di questa mia diocesi, fu quella della emigrazione.

Dalle prese annotazioni mi risultò che ben 28.000 diocesani si trovavano all’estero in quel tempo! Alcuni di essi mi scrivevano non di rado lettere commoventissime nelle quali, dandomi relazione del loro deplorevole stato, specie dal lato religioso, mi scongiuravano caldissimamente di venir loro in aiuto. Io stesso più d’una volta ebbi ad assistere alla stazione di Piacenza alla partenza di emigranti, e confesso che, al vederne la miseria e il dolore, al pensiero dei mali gravissimi senza numero ai quali andavano incontro, all’idea dell’abbandono in cui sarebbero rimasti d’ogni spirituale aiuto, mi sentii stringere il cuore, e piansi sulla loro sorte, e fermai in animo di tentar qualche cosa.

Fu allora che io mi credetti in dovere di rivolgermi, come feci, all’Eminentissimo Card. Simeoni, allora Prefetto di Propaganda, per sentire come avrei potuto, in modo stabile ed efficace, provvedere a questo grave bisogno (...). Codesta S. Congregazione si occupò dell’importantissimo affare, ed il S. Padre, nell’udienza del 26 Giugno 1887, ne approvò le decisioni. Una di queste, la quarta, suonava così: Istituire in Italia uno o più istituti di sacerdoti, che si recassero in America, a fare le missioni tra gli emigrati, onde sostenere la loro fede, mettendosi a tal fine d’accordo coi Vescovi locali. Tale istituto verrà posto sotto la dipendenza dell’Ordinario, ma il regolamento sarà approvato dalla S.C. di Propaganda.

Dopo siffatta deliberazione, io venni chiamato a Roma, ed allora appunto fui autorizzato ad aprire in Piacenza l’Istituto dei Missionari e a provvedere quanto era possibile a tutti gli altri bisogni degli emigrati[39].

 

 

«Scopo della Congregazione e mezzi per raggiungerlo»

 

1.                  È istituita in Italia sotto l’alta dipendenza di Propaganda Fide, e sotto l’immediata direzione di un Superiore Generale, nominato dalla stessa Propaganda, una Congregazione di Missionari per le Colonie italiane specialmente in America.

 

2.                  Scopo di tale Congregazione si è quello di mantenere viva nel cuore dei nostri connazionali emigrati la fede cattolica, e di procurare quanto è possibile il loro benessere morale, civile ed economico.

 

3.                  Questo scopo la Congregazione lo raggiunge:

  • collo spedire Missionari e maestri ovunque il bisogno degli emigrati lo richiegga;
  • coll’erigere nei vari centri delle Colonie italiane Chiese ed Oratorii, e fondare Case di Missionari, donde possa diffondersi, mediante escursioni temporanee, l’azione loro civilizzatrice;
  • collo stabilire scuole, ove coi primi rudimenti della fede s’impartiscano ai bambini dei coloni gli elementi della nostra lingua, del calcolo e della storia patria;
  • coll’avviare agli studi preparatorii al sacerdozio quei giovanetti dei coloni che dessero indizio di essere chiamanti allo stato ecclesiastico;
  • coll’organizzare Comitati nei porti d’imbarco e di sbarco per soccorrere, dirigere e consigliare gli emigranti;
  • coll’accompagnarli durante il viaggio di mare, per esercitare a loro vantaggio il sacro Ministero, e per assisterli specialmente in caso di malattia;
  • col favorire e promuovere quelle associazioni e quelle opere che si giudicheranno più adatte a conservare nelle Colonie stesse la Religione cattolica e la Coltura italiana[40].

 

 

«L’impresa si può dire felicemente iniziata»

 

L’impresa che il Signore si degnò di ispirarci a favore dei nostri poveri connazionali emigrati in America, si può dire con l’aiuto di Dio felicemente iniziata. Appena ritornato da Roma, io mi posi all’opera.

Provvisoriamente ho preso a pigione una casa abbastanza comoda per ora, ed ho quasi terminato di fornirla del necessario, cioè di letti, biancheria, utensili ecc. ecc. Dodici persone vi potrebbero alloggiare anche subito.

Finora sono cinque: il superiore e l’economo, che rimarranno qui, e tre alunni, ammessi appunto di questi giorni. I preti che domandano d’entrare non mancano, specie dopo la pubblicazione del Breve direttomi dal S. Padre. Io però vado molto a rilento nell’esaudirli, per procedere sicuro, massime a principio (...).

A giudicare anche solo dal plauso onde la cosa venne accolta universalmente e dalle approvazioni che mi giungono anche da parte di egregi Vescovi, c’è veramente da ringraziare il Signore. Certo occorrerà una buona dose di pazienza, di coraggio e di spirito di sacrificio perché l’opera possa conseguire pienamente lo scopo. Dal canto mio la volontà almeno non manca. Dio farà il resto[41].

 

 

«Fondai nella mia Piacenza l’Istituto dei Missionari»

 

Fondai qui nella mia Piacenza l’Istituto dei Missionari, destinato appunto all’assistenza religiosa dei nostri emigrati, sotto il nome glorioso del grande italiano scopritore del nuovo continente, Cristoforo Colombo (...).

Nell’Istituto Cristoforo Colombo, al cui mantenimento provvede la carità pubblica, si trovano presentemente, tra preti, chierici e laici, 42 individui. Fra questi alcuni giovani di famiglie italiane stabilite in America, i quali si preparano a divenire anche essi Missionari pei loro connazionali emigrati.

Dal 28 novembre 1887, data della sua fondazione, esso ha visto partire per l’America 48 Missionari sacerdoti, sparsi presentemente in sedici missioni, delle quali 11 nel Settentrione e 5 nel Mezzodì (...).

In New York i missionari hanno fondato scuole parrocchiali, un orfanotrofio, un ospedale e il Barge Office (...), nonché la Società San Raffaele per l’assistenza e la protezione degli emigrati; a Boston una scuola industriale; dappertutto chiese e cappelle.

Per la direzione dell’orfanotrofio e dell’ospedale e per la fondazione di scuole femminili e di asili, furono spediti nel Nuovo Mondo numerosi drappelli di quelle ottime religiose che sono le suore salesiane missionarie del Sacro Cuore.

Si provvederà in seguito alla istituzione di speciali missioni anche nei principali porti del Brasile e del Plata. Frattanto si vanno costituendo comitati della Società San Raffaele in tutte le città degli Stati Uniti ove sono stabiliti i nostri missionari. Del pari sono iniziate trattative e con speranza di buona riuscita, per la istituzione di altre missioni (...).

I coadiutori laici o fratelli catechisti che accompagnarono i Missionari Sacerdoti sono a tutt’oggi 38 e, grazie a Dio, hanno fatto sin qui ottima prova.

Gli emigrati che partono dai porti italiani vengono, quando è possibile, accompagnati da un sacerdote, anche non appartenente alla suddetta Congregazione, il quale li assiste durante il viaggio (...).

I Missionari, nel breve periodo di tempo dacché esercitano la loro opera di cristiana e patria carità, hanno saputo guadagnarsi ovunque l’affetto dei connazionali emigrati e circondarsi della stima delle popolazioni in mezzo alle quali essi vivono[42].

 

 

«Un’opera nuova, ancora bambina»

 

Quali fossero le condizioni degl’Italiani al Nord d’America dodici anni or sono, si può rilevare dalla lettera già citata dell’Eminentissimo Simeoni, data il 9 febbraio 1887. «Sono anch’io, scrivevami quel sant’uomo, profondamente addolorato delle tristi condizioni in cui versano (gli emigrati italiani in America). Le relazioni rimesse a questa S. Congregazione dagli Arcivescovi di New York, New Orleans, e dei Padri del III concilio plenario baltimorese, danno un’idea molto scoraggiante del loro stato spirituale e religioso».

Basti il dire che a New York gl’Italiani non potevano frequentare che il basamento, o chiesa sotterranea, dell’Ascensione. Noto però, ad onore del vero, che non appena Mr. Corrigan, Arcivescovo di New York, ebbe notizia della nostra istituzione, mi scrisse lettere calorosissime chiedendomi missionari ed esibendosi a proteggerli nel miglior modo possibile.

I nostri missionari vi andarono; aprirono, per così dire, le porte alle missioni agl’italiani espatriati, e questi ora, in gran parte, se lo vogliono, possono soddisfare ai loro bisogni spirituali.

Ai missionari di S. Carlo si aggiunsero altre congregazioni, nei pastori si ridestò il sentimento di provvidenza verso i poveri emigrati; e così, se non si è fatto tutto quello ch’era da farsi per essi, si è però fatto molto.

In occasione della grandiosa festa della santificazione di Giovanni Battista La Salle e Rita di Cascia, ebbi l’occasione di vedere parecchi Vescovi del Nord d’America: tutti mi si mostrarono lieti, contentissimi del bene che operano colà i Missionari di S. Carlo. Tengo al riguardo una lettera assai lusinghiera dell’E.mo Card. Satolli, già Delegato Apostolico in America, e che fu spettatore davvicino dello zelo dei Missionari stessi. L’Arcivescovo poi di New York, recatosi qui, e rispondendo all’indirizzo del clero della città venuto ad ossequiarlo, fece in proposito un discorso tanto elogiativo dell’opera nostra, ch’io, pur ringraziandolo commosso, credetti, in omaggio alla verità, di doverlo attenuare. Osservai che si trattava di un’opera nuova, ancora bambina, la quale difficilmente può andare esente del tutto da difetti, mancanze di esperienza; aggiunsi che di questi difetti ve ne furono e di queste mancanze se ne commisero parecchie anche fra noi; ma che speravo che col divino aiuto il nostro istituto sarebbe andato sempre più perfezionandosi[43].

 

 

«Il bene immenso che stanno facendo in Brasile»

 

Appena i Missionari misero piede nel suolo brasiliano, lungi dal trovare aiuti, incontrarono mille ostacoli, mille opposizioni; ma da parecchi anni, grazie allo zelo di quei santi Vescovi, le cose cambiarono d’aspetto. Credo utile cosa trascrivere qui un brano di una lettera, in data Petropolis 14 Maggio 1900, scritta da Mons. Internunzio al superiore dei nostri missionari a S. Paolo:

«Ho appreso con vero piacere, egli dice, il grande sviluppo che va prendendo l’opera dei Missionari di S. Carlo in coteste regioni; ed il bene immenso che stanno facendo in mezzo a tanti coloni abbandonati, in luoghi affatto appartati e privi di soccorsi religiosi. Ne sono veramente edificato e ne ringrazio effusamente Dio ed i buoni religiosi, principalmente la S.V. Rev.ma che è alla loro testa e li sostiene colle parole e coll’esempio (...)».

Mentre al Nord i nostri emigrati sono raccolti in grandi masse nelle città, al Sud, specie in Brasile, sono dispersi a piccoli gruppi, in territori immensi. I nostri missionari quindi hanno avuto cura d’innalzare tra tutti quei gruppi delle piccole chiese, degli oratori, delle cappelle, ove si portano periodicamente per l’esercizio del sacro ministero[44].

 

 

«Necessità di avere delle Suore nostre»

 

Sottometto al vostro giudizio una cosa importante e intorno alla quale prego di portare tutta la vostra più seria attenzione.

Si è spesse volte parlato della necessità di avere delle Suore nostre, dipendenti dai nostri Padri; alcuni di questi me ne scrissero, mostrandosi persuasi che esse farebbero gran bene. Non si tratta di fondare dei conventi; ma come si usa, con immenso vantaggio, in tutte le Diocesi di Francia, le Suore dovrebbero vivere in una propria casetta, a tre e quattro insieme e fare un po’ di scuola, attendere alle nostre Chiese, a tener in ordine le cose dei Missionari, catechizzare le ragazze, assistere gli infermi, anche a domicilio, ove può farsi senza pericolo ecc.

Un certo numero di anime buone mi si è offerto allo scopo e aspettano ansiose di entrare nel noviziato, che dovrebbe essere regolarissimo. Ma io sono titubante, sebbene da alcune circostanze, che direi provvidenziali, parmi che Dio voglia impormi anche questa Croce, più pesante di tante altre.

Pregate, riflettete e poi manifestatemi il vostro avviso in proposito[45].

 

 

Una delle «circostanze provvidenziali»

 

A bordo della nave, su cui viaggiava un mio Missionario, il Padre D. Giuseppe Marchetti (già professore nel Seminario di Lucca), moriva una giovane sposa, lasciando un orfanello lattante e il marito solo, nella disperazione. Il Missionario, per calmare quel desolato, che minacciava di buttarsi a mare, gli promise di prendersi cura del bambino, e come promise fece. Giunse a Rio Janeiro, recando in collo quella innocente creaturina, e si presentò con essa all’esimio conte Pio di Savoia, allora Console Generale di quella città. Egli non poté dare al giovane Missionario che parole d’incoraggiamento, ma tanto bastò perché questi, bussando di porta in porta, arrivasse infine a collocare il povero orfanello presso il portinaio di una Casa Religiosa. Da quel momento l’idea di fondare a S. Paolo (dov’era avviato) un orfanotrofio pei figli degl’italiani gli balenò alla mente, e con ingenti sacrifici riuscì a fondarlo di fatto. Conta ora quattro anni di vita, con 160 orfanelli e un martire che prega per loro in cielo; poiché le grandi fatiche sostenute costarono al pio e zelante Missionario la vita[46].

 

 

«Andate fiduciose, figliole»

 

Andate fiduciose, figliole, vi manderò poi altre Consorelle, e voi ritornerete per formarvi e consolidarvi nello spirito religioso[47].

 

 

«Un regolamento ad experimentum»

 

Quanto alle Suore vi era un regolamento approvato ad experimentum; se non lo trovate scrivetemi subito. Si è voluto incominciare coi voti temporanei; vedremo quello che Dio vorrà. Intanto ricevete pure le giovani, delle quali mi scrivete, ma state attento che siano quali devono essere[48].

 

 

Un’altra «circostanza provvidenziale»

 

Dalle circostanze veramente provvidenziali, pare a me e ai Padri qui residenti che Dio voglia la cosa. Essa riuscirà certamente se colla preghiera fervorosa e col sincero desiderio di consacrarci interamente alla gloria di Dio, ce ne renderemo meritevoli e degni (...). Bisogna incominciare da principio e istituire un regolare Noviziato, che tutte, senza eccezione, devono compiere, formandosi così al vero spirito di Gesù Cristo. In aspettazione dell’ora di Dio, vivete con le sorelle, tutta in lui, con lui e per lui ed Egli, per sua misericordia, ci assisterà nell’opera grande che vogliamo intraprendere[49].

 

 

«Le nuove sorelle e le antiche»

 

Le Suore: ecco un argomento da considerarsi con tutta la serietà. Le nuove Apostole del S. Cuore sono formate seriamente alla vita religiosa: bisogna formare anche le buone figliuole che da tempo lavorano con impegno pei nostri orfanelli. Conosco da quanto mi scriveste voi e da quanto mi disse il Padre Marco, il loro spirito e il loro vivo desiderio di servire nel miglior modo a Gesù Cristo loro sposo, suggerite solo dal desiderio del loro maggior bene.

Dopo qualche giorno dall’arrivo, le nuove sorelle prenderanno la direzione della casa e le antiche si raccoglieranno per qualche mese a fare una specie di Noviziato. In questo tempo, senza lasciare il lavoro necessario per la Casa, a vostro giudizio e della Superiora, attenderanno con particolare attenzione alle opere di pietà e di perfezione religiosa che verranno loro suggerite, cercando di crescere nella cognizione e nell’amore di Nostro Signore, coltivandosi nella virtù dell’umiltà, dell’obbedienza e nello spirito di sacrificio, sicure di diventare così degni strumenti delle sue grazie più elette. Io le benedico tutte e ciascuna e prego Dio a colmarle delle sue grazie più elette. Anche la Madre del caro P. Marchetti, che dal Cielo prega per noi, se aspira, potrà essere accettata ed entrare con le altre in Noviziato. Terminato, quelle che saranno ritenute degne, e lo saranno tutte spero, rinnoveranno i voti[50].

 

 

«L’opera dei missionari sarebbe incompleta senza l’aiuto delle suore»

 

L’opera dei Missionari sarebbe incompleta, specialmente nel Sud d’America, senza l’aiuto delle suore. Ne chiesi perciò a varie congregazioni già esistenti, ma non riuscì a nulla. Le buone suore missionarie di Codogno, è vero, mi si offersero, ed io aprii loro le porte dell’America, dove fanno moltissimo bene, ma non è il bene avuto di mira dalla nostra congregazione.

Noi avevamo bisogno di suore simili a quelle sparse nelle diocesi di Francia, le quali si adattano a vivere anche in quattro sole, e senza pretese fanno le prime scuole, insegnano il catechismo, e, dov’è possibile, assistono gli ammalati con tutte quelle cautele che la prudenza e l’esperienza suggeriscono. Per quanto i Missionari insistessero e facessero violenza al mio cuore per avere di simili suore, io sempre mi vi opposi, sentendo un’estrema ripugnanza a mettere mano a questa nuova opera.

Ma anni or sono un cumulo di circostanze provvidenziali mi fecero conoscere essere questo il volere di Dio, ed ora abbiamo le Apostole del Sacro Cuore, destinate anch’esse all’assistenza degli emigrati, specialmente in America. Tra breve, dopo due anni di prova, ne partiranno dodici: sei, prima della metà di questo mese, per S. Paolo; le altre sei, alla fine di settembre, per Curitiba. Altre partiranno successivamente, ché in poco tempo abbiamo avuto più di cento domande.

Tutto questo ora si fa in via di esperimento. Se Dio benedirà, come spero, anche quest’impresa, a tempo debito si manderanno le regole a cotesta S. Congregazione[51].

 

 

«Opera di rigenerazione»

 

Vi accennai in altra mia che stavo combinando cose utilissime con questo pio e bravo Vescovo. Ora ecco quanto ci accordammo di fare:

a) raccogliere i sordomuti, fanciulli e fanciulle, e cominciare questa missione.

Letta pertanto questa mia vi recherete dalla Superiora Gen. delle Apostole Suor Marcellina e le direte a nome mio che tenga pronte due Suore, che furono istruite da Sr. Candida, per venire qua al primo cenno (...). È questa una istituzione di grande importanza, nuova affatto per questi Stati tanto vasti (...). il Vescovo accettò la proposta con vero entusiasmo e ne comprese tosto il valore morale. Domani ne parlerò al Presidente dello Stato e ne spero qualche aiuto. Per ora si comincerà nel locale che abbandoneranno le orfanelle e le suore, che andranno a Villa Prudente. Mgr. Vescovo mi promise l’appoggio morale e anche materiale per quanto gli sarà possibile. Se riesce anche solo quest’opera di rigenerazione, potrei essere soddisfatto del mio lungo viaggio.

b) Concedere ai Missionari la parrocchia di S. Bernardo, nella quale sorgono i nostri stabilimenti. Essa conta quasi 40 mila anime e si estende quasi da S. Paolo a Santos, cioè sino al mare, 80 miglia di lunghezza. Fu un pensiero gentile del Vescovo, allo scopo di procurare ai nostri Missionari, pei quali nutre grande stima e affetto, cinque o sei mila lire annue di rendita e così agevolare i loro gravissimi impegni. La Parrocchia è quasi tutta composta di Italiani.

c) Aprire, appena sarà possibile, due residenze nell’Interno dello Stato per l’assistenza degli Italiani che lavorano nelle Fazende. Queste sono più di 2000 e sino al presente vennero curate con immenso sacrificio dai nostri qui dell’Orfanotrofio.

In questo Stato e Diocesi vi è un milione e duecentomila italiani.

Stabilir bene le cose qui vale assai, perché si solleva il nucleo italiano più grande del Sud America[52].

 

«Se potremo col tempo formare sacerdoti tra i figli dei nostri emigrati…»

 

Voialtri Missionari siete un po’ curiosi! Considerate l’Istituto (o almeno si direbbe) come se contasse vent’anni di vita, e non ne ha che uno! I soggetti bisogna pure provarli alquanto, prima di spedirli (...).

Le vocazioni non sono molte, ma i preti che vi sono sembrano sicuri.

Domande non ne mancano, ma bisogna andar cauti nell’accettazione. Se potremo col tempo formare sacerdoti tra i figli dei nostri emigrati, avremo operai per l’abbondantissima messe[53].

 

 

«Un collegio italo-americano per i figli dei coloni»

 

Mi chiedi se D. Felice ha fatto bene ad acquistare la proprietà dell’isola di (Long) Island? Rispondo senz’altro, che ha fatto benissimo ed eccone il motivo.

Ai primi di questo mese pensavo molto sul come attuare l’idea vagheggiata dal Papa di fondare un Collegio Italo-Americano pei figli dei coloni che mostrassero vocazione allo stato ecclesiastico. Sarebbe per noi una vera provvidenza. In tal collegio i chierici farebbero le classi di latino e di filosofia, e qui nella casa madre la Teologia.

Parmi che quest’opera il Signore la voglia proprio, perché proprio di questi giorni, mentre stavo pensandovi, mi capitarono due ottimi sacerdoti, che furono già professori per varii anni nelle rispettive diocesi e che sarebbero smaniosi di dedicarsi di nuovo all’insegnamento. Un terzo sacerdote, pure professore, lo attendo. Inoltre hanno fatto domanda di entrare due giovani studenti, uno dei quali ha già fatto la quinta e l’altro filosofia. Ecco il personale già pronto e sul principio sufficiente (...). Se il locale c’è e tu puoi fornirlo almeno del necessario, ti mando presto questi nuovi apostoli e con essi i quattro o cinque giovanetti laici d’America, per iniziare l’opera con un certo numero d’alunni[54].

 

 

«I figli dei coloni italiani istruiti in America»

 

In quanto poi ai giovinetti, dei quali mi parli, ti faccio avvertire che è cosa molto seria tener nell’Istituto preti, chierici teologi e ragazzi; è un affare che, considerato bene da tutti i suoi lati, proprio non conviene. La esperienza ha dimostrato che l’arca noetica, che ha raggiunto il suo scopo, non è potuta essere che una; inoltre bisogna valutare anche il lato economico e tener conto della gravissima spesa che importa il dover provvedere i maestri; e finalmente di non perder di mira il più importante, che è il decoro e la riuscita.

La mia idea, e quella del S. Padre, era che i giovinetti, figli dei coloni italiani, i quali mostrano vocazione al sacerdozio, venissero istruiti nella lingua italiana e latina costì in America, e che quindi si mandassero in Italia quando fossero al caso di cominciare il corso teologico, o perlomeno quello filosofico. In tal modo potremmo assicurarci della loro vocazione, non far perdere ad essi tempo prezioso e non cagionare a noi dei gravi sacrifici senza ricavarne poi nulla. Cosa vuoi fare assegnamento sopra un ragazzo di 10 o 12 anni? Quelli che vennero qua anni sono, son tutti dei buoni figliuoli, ma riusciranno? Dio solo lo sa. Intanto li ho collocati in Seminario perché possano fare i loro studi regolarmente e, se non si sentiranno chiamati al sacerdozio, apprendersi ad altre carriere[55].

 

 

 

b) NELLA CHIESA E PER LA CHIESA

 

«La vostra sollecitudine di Pastore universale»

 

La Vostra lettera intorno a Cristoforo Colombo (...) ha richiamato un’altra volta la nostra attenzione sulla misera sorte di coloro che ogni anno dall’Italia migrano a torme nelle Americhe per cercarvi il sostentamento della vita.

Sì, Beatissimo Padre! Quella fede che allo spirito di Colombo rappresentava popolazioni sterminate avvolte in tenebre deplorevoli, perdute dietro cerimonie folli e superstizioni idolatriche, quella medesima fede rappresenta a noi uno spettacolo non meno lagrimevole: migliaia, cioè, e migliaia di poveri espatriati, quasi pecorelle senza pastore, erranti per sentieri aspri e scoscesi, ignari per lo più delle verità eterne e dei precetti della vita cristiana, esposti alle insidie dei malvagi e dei prepotenti ai quali si asserviscono, vittime infelici delle sette colà più che altrove attive e numerose.

Sappiamo che Voi, nella Vostra sollecitudine di Pastore universale, Vi affrettaste di venir loro in aiuto sia coll’eccitare in loro favore lo zelo dei Vescovi americani, sia col promuovere nella Sede episcopale di Piacenza la fondazione dell’Istituto Cristoforo Colombo, destinato appunto ad accogliere quei sacerdoti che volessero farsi loro guida, amorevolmente assistendoli con tutte le sollecitudini del sacro ministero e con tutte le industrie della cristiana carità.

La protezione che in tal modo Voi, Padre Santo, Vi degnaste accordare alla emigrazione italiana, non sarà certo una delle ultime glorie del Vostro fecondo e sublime Pontificato, come non saranno lievi né pochi i vantaggi che ne deriveranno alla Chiesa e a cotesta S. Sede Apostolica.

Essa, per tacere dei mille altri che non possono sfuggire all’alto senno di Vostra Santità, possiede ora, nella protezione degli emigrati delle diverse nazionalità d’Europa, il mezzo più facile e più sicuro per guadagnarsi la riconoscenza e l’affetto degli espatriati non solo, ma la riconoscenza altresì e l’affetto delle nazioni stesse alle quali esse appartengono[56].

 

 

«Date nuovo impulso all’opera per gli italiani dimoranti nelle Americhe»

 

Noi sottoscritti Metropoliti delle varie regioni d’Italia, interpretando i sentimenti del Vostro cuore paterno e dei nostri Ven.mi Confratelli suffraganei, osiamo pregarVi di voler dare nuovo impulso all’Opera già tanto benemerita delle Missioni per gl’italiani dimoranti nelle Americhe, togliendo appunto occasione dal IV centenario della scoperta del nuovo mondo.

E poiché i bisogni morali e materiali cui è necessario provvedere a questo riguardo, sono, come Vi è noto, immensi, continui, crescenti, osiamo supplicarvi, Beatissimo Padre, di voler stabilire che nella terza Domenica di Ottobre p.v., conseguentemente alla prevenerata Vostra Lettera, e in seguito ogni anno, nella terza Domenica di Quaresima, in tutte le chiese d’Italia sia fatta una Colletta in favore di detta Opera, la quale mira all’abolizione della tratta dei bianchi, come già credeste opportuno di stabilire per l’Opera che mira all’abolizione della tratta dei negri.

Le offerte così raccolte potranno, se a Voi piace, spedirsi al Card. Protettore della Congregazione dei Missionari per gl’italiani emigrati, avente in Piacenza la principale sua sede, e da esso amministrarsi e distribuirsi, secondo i bisogni della Congregazione medesima.

Oramai, Beatissimo Padre, le Diocesi, anzi, può dirsi, le parrocchie tutte d’Italia danno figli, più o meno numerosi, alla emigrazione. E’ perciò troppo giusto che tutte abbiano a contribuire ad un’Opera che ridonda a vantaggio di tutte.

Per tal modo, Padre Santo, l’Istituto Cristoforo Colombo, che verrebbe ad essere come un monumento vivo, innalzato in questa solenne occasione dai cattolici italiani al grande scopritore dell’America, avrebbe stabile e sicura esistenza, darebbe frutti sempre più ubertosi e Noi riposeremmo più tranquilli sulla sorte dei nostri figli lontani; avrebbero vita ed incremento moltissime altre opere di suprema necessità pei medesimi, come chiese, scuole, opifici, orfanotrofi, ospedali ecc.; non pochi sacerdoti e laici si sentirebbero, a quel periodico richiamo, ispirati a volare in loro soccorso; la stessa S. Congr. di Propaganda Fide ne sentirebbe vantaggi morali ed economici non indifferenti e l’avvenire del Cattolicismo tra le giovani nazioni americane sarebbe anche per questa parte assicurato[57].

 

 

«Sotto gli alti auspici del Sommo Pontefice e dell’Episcopato»

 

L’istituzione dei Missionari per gli Emigrati Italiani, sorta cinque anni or sono nella mia Piacenza, sotto gli alti auspici del Sommo Pontefice e dell’Episcopato, ha dato, grazie a Dio, frutti consolantissimi.

Vostra Eccellenza non ignora i pericoli spirituali, morali e materiali della nostra emigrazione (...). Tutte le Diocesi d’Italia danno un contingente più o meno largo a questo esodo doloroso, e perciò tutte, mi è caro il dirlo, hanno concorso all’opera di Redenzione, fornendo mezzi materiali e sacerdoti animati dal più alto spirito di sacrificio. Con tali aiuti si è potuto aprire in Italia e precisamente in questa città, un Istituto di Missionari e compiere altre opere di religione in diversi stati d’America, principalmente del Nord, in tutti i luoghi ove è più densa la colonia italiana.

Ma il fatto sin qui, se è molto, avuto riguardo alle ristrettezze del tempo e ai mezzi, è pochissimo in confronto al troppo che rimane a farsi, perché mancano mezzi materiali ingenti e numerosi operai da sostituire agli spossati e ai caduti, seppure non si vogliono intristire le intraprese opere. Altre sarebbero da intraprendersi assai urgenti, fra le quali l’impianto di uffici di sorveglianza e di direzione almeno nei principali porti d’imbarco e di sbarco tanto in America quanto in Italia. Di frequente poi mi pervengono domande di aiuti per nuove Missioni e non so come provvedere.

Eccellenza, voglia ella coadiuvarmi in una impresa tanto superiore alle mie deboli forze, facendola raccomandare alle orazioni e alla carità dei fedeli nella predicazione quaresimale, o in qualunque altro modo le parrà più opportuno. È una preghiera che le rivolgo in nome di tanti nostri figli lontani, i quali per mancanza di assistenza religiosa sono in continuo pericolo di perdere l’anima[58].

 

 

«Confido nell’aiuto dei miei Confratelli nell’Episcopato»

 

Mi rallegro nel vedere come anche a V.E. R.ma stia a cuore l’opera dei nostri poveri emigranti. Il favore che mi viene da un Prelato, per sapere e per virtù così distinto, mi è di non lieve conforto in un’impresa troppo, a dir vero, superiore alle mie forze. Per me, dopo Dio, confido appunto nell’aiuto dei miei Ven. Confratelli nell’Episcopato. Si tratta infine di un’opera che deve tornare di sommo vantaggio alla parte più abbandonata del loro gregge (...).

Si contano a milioni, Eccellenza, i nostri poveri connazionali disseminati là, nelle vaste pianure d’America, e tutti sicut oves non habentes pastorem. Quasi ogni giorno, si può dire, ricevo da essi relazioni commoventissime. Tutti conchiudono col domandare a mani giunte l’aiuto di qualche buon sacerdote.

Ne ho già spediti alcuni non è molto, e altri ne spedirò fra qualche mese. Non dimenticherò, ottimo Monsignore, la raccomandazione sua, ma ho bisogno di aiuto, specialmente di personale. Oh, se anche V.E. con l’influsso grande che esercita, facesse sentire di proposito una sua parola ai Siciliani, così ardenti di fede! Sono persuaso che qualche vocazione per l’assistenza dei nostri poveri emigrati si troverebbe anche in coteste parti[59].

 

 

«Si tratta di una causa di interesse comune»

 

Gli urgenti e gravissimi bisogni della nostra emigrazione ala quale ogni Diocesi d’Italia porta (più o meno largamente) il suo contributo, muovono ad indirizzare la presente.

Come vedrà dall’unita lettera dell’E.mo Card. Segretario di Stato di Sua Santità, io vorrei affidare ad uno dei miei missionari, e precisamente a P. Beccherini, l’incarico di tener nei principali Seminari una conferenza, e questa all’unico scopo di far conoscere l’opera di assistenza agli emigrati in America e di suscitare ove sia dato qualche vocazione a loro vantaggio.

Vorrebbe l’Eccellenza Vostra tanto buona permettere a detto Missionario di venire anche costà? Io gliene sarei obbligatissimo, e Dio certo la ricompenserebbe col rifiorimento sempre maggiore del suo clero. Per uno che io dono alle Missioni, diceva un santo Vescovo, Dio me ne manda due infallibilmente[60].

 

 

«Non tutti i Vescovi si trovano in questo all’altezza della loro missione»

 

Occorrerebbero soggetti, ma purtroppo sono scarsi al bisogno. Presentemente ho qui disponibili sette preti e 6 laici, più tre chierici, che compiono gli studi teologici. Gli aspiranti non mancherebbero, ma non tutti i Vescovi si trovano in questo all’altezza della loro missione, dimenticando tante centinaia di migliaia di anime, che periscono, tra le quali ciascuno ne conta buon numero, ed opponendosi a che qualche loro Sacerdote accorra in loro aiuto. Che è mai per una Diocesi, come le nostre, un prete di più o di meno! Oh, E.mo, quanta grettezza anche con Nostro Signore! Bisognerebbe proprio che si pensasse a togliere anche questo ostacolo. Vostra Eminenza renderebbe alla Religione un segnalato servigio se spedisse ai Vescovi dell’alta Italia e della centrale una lettera circolare, di cui, a risparmiarle tempo, mi permetto inviarle una specie di modulo. Sarebbe l’unico modo di svegliare i dormienti e farebbe un bene immenso[61].

 

 

«Mai intraprendere cosa alcuna senza il beneplacito del Vescovo»

 

Obbedienza prima di tutto ai Venerandi Pastori delle diocesi americane, dei quali più d’una volta esaltaste meco la dottrina,  lo zelo, l’attaccamento alla Sede Apostolica, ed ai quali tanto dovete.

Ricordatevi, o miei cari, che esercitate il sacro ministero nel campo riservato alla loro immediata giurisdizione, che essi solamente sono i giudici ordinari e legittimi delle opere che si riferiscono al bene spirituale dei fedeli alle loro cure commessi, nonché del tempo e del modo più opportuno per iniziarle e condurle a termine. 

Guardatevi bene perciò dall’intraprendere mai cosa alcuna senza il beneplacito di Colui che lo Spirito Santo pose a reggere la diocesi nella quale vi trovate. Umili e devoti riconoscete in Lui il vostro padre, colui che deve chiamare sulle vostre fatiche le benedizioni di Dio, e come tale circondatelo dell’amore più riverente e  del rispetto più affettuoso. A questo rispetto poi e a questo amore sia vostra cura d’informare gli animi dei nostri connazionali. Vi vedano essi docili in tutto agl’insegnamenti del Vescovo, osservatori esatti delle prescrizioni di Lui, pronti sempre ai suoi voleri ed anche ai suoi desideri, e più pronti saranno essi ai voleri e desideri vostri.

Nell’unione col Vescovo si farà più stretta e più forte l’unione che aver dovete col Papa, supremo ed infallibile Maestro, dal quale vi venne la missione dell’apostolato in codeste lontane regioni. Memori che dove è Pietro, ivi è la Chiesa, non lasciate sfuggirvi occasione  per farne conoscere le grandezze, per ricordarne i benefizi, per celebrarne le glorie, per guadagnargli i cuori di tutti; sottomessi voi stessi di mente e di cuore a quanto Egli insegna e comanda, od anche solo consiglia.

Grande annegazione di voi medesimi, grande amore alla disciplina, obbedienza grande, generosa, continua ai vostri superiori, e sopra tutto  al Romano Pontefice; ecco in una parola, ciò che farà la bellezza, l’onore, la forza dell’umile Congregazione alla quale voi per i primi appartenete[62].

 

 

«Piena obbedienza agli Ordinari del luogo»

 

Ho la chiara convinzione che questi Missionari non possono raggiungere il loro scopo se non nella piena sottomissione e obbedienza agli Ordinari del luogo, non soltanto per quanto riguarda la giurisdizione e l’osservanza delle leggi ecclesiastiche, ma anche per l’esecuzione della loro missione: e mia ferma volontà è che gli stessi Missionari non intraprendano nulla senza il consiglio e il permesso degli Ordinari.

È molto importante, Ecc. Rev.ma, che lei sappia tutto ciò, in modo da agire colla massima libertà e autorità con i Missionari, ammonendoli, correggendoli e, se è necessario, anche obbligandoli con pene ecclesiastiche: e in tutto ciò, per quanto sarà necessario, troverà d’accordo me e il Superiore Provinciale[63].

 

 

«È uno dei punti principali della Regola»

 

Io mi confermo sempre più nell’idea, che i Missionari debbano in tutto e per tutto dipendere dai Vescovi, che li ammettono nelle loro diocesi. Questo è anche uno dei punti principali della Regola, e il Morelli che non l’ha osservata ne porta e ne fa portare a noi tutti la pena. Sia fatta la volontà di Dio! Spero che ciò servirà di lezione agli altri, e che il P. Vicentini non farà mai nulla senza il di lei beneplacito. Del resto se non potranno i Missionari avere il basamento, basterà una stanza, una cappella in legno, se pure V.E. permetterà che proseguano in quella parte la Missione. Purché facciano del bene e salvino molte anime, ogni cosa deve bastare[64].

 

 

«Le diverse nazionalità abbiano nell’Episcopato americano un rappresentante»

 

Il buon marchese Volpelandi mi ha dato a leggere copia della lettera scritta da V.E. all’On. Cahensly.

Questi due Signori sono rimasti, a dir vero, molto mortificati al vedersi attribuite idee che non hanno mai avuto, e mi pregano di rispondere in vece loro, convinti che la mia parola possa riuscire presso V.E. molto più efficace.

Caro Monsignore, permetta Glielo dica: in questa faccenda si è suscitata una vera tempesta in un cucchiaio d’acqua. Oltrecché non era, né poteva essere nell’intenzione di codesti ottimi Signori di recare la minima offesa ai diritti dell’Episcopato Americano, essi, posso assicurarnela, non hanno mai sognato di chiedere alla S. Sede la doppia giurisdizione. Il loro disegno era semplicissimo: ottenere che le diverse nazionalità Europee avessero nell’Episcopato americano un rappresentante e questo non già straniero, ma cittadino d’America.

Non è forse ciò che già venne suggerito allo stesso Episcopato Americano da quell’alto senno e quella conoscenza pratica delle cose che tanto lo distinguono? Non è questo appunto il metodo che già si tiene? Non vi sono negli Stati Uniti Vescovi Tedeschi? Non vi fu in qualità di Vescovo anche Mons. Persico, il quale anzi è nato in Italia? E, se non erro, non ci è anche presentemente un Vescovo in qualche modo italiano?

Ridotta la questione a questi termini, come lo era difatto, ben vede V.E. che non poteva derivarne inconveniente di sorta. Ritengo anzi che ciò avrebbe giovato assai al Corpo Episcopale. Dovendo infatti i Vescovi provvedere a tutti indistintamente i cattolici soggetti alla loro giurisdizione, avrebbero avuto dai suddetti rappresentanti nozioni esatte e sicure dei costumi, delle aspirazioni, dei bisogni delle rispettive nazionalità, e il provvedervi sarebbe stato molto più facile, e le moltitudini sarebbero rimaste molto più soddisfatte e la Religione ne avrebbe avuto molto maggior vantaggio[65].

 

 

«Libertà di ministero, d’accordo con l’Arcivescovo»

 

Il sacerdote D. Francesco Zaboglio è autorizzato a trattare con Monsignor Arcivescovo di New York per lo stabilimento dei nostri missionari in detta città sulle seguenti basi:

I. I missionari devono avere libertà di Ministero, in quanto nella Chiesa od Oratorio o Basamento loro assegnato possano compiere per gli Italiani tutte le funzioni del ministero sacro, stando però alle condizioni che Monsignore Arcivescovo crederà opportuno di stabilire riguardo ai Matrimoni ed ai Battesimi.

II. I missionari devono avere alloggio libero e indipendente, fosse pure in casa di affitto, allo scopo di menare vita comune.

III. I missionari devono avere libertà di far collette, d’accordo sempre con Monsignor Arcivescovo, allo scopo di erigere una nuova chiesa per gli Italiani[66].

 

 

«Piena e intera libertà nel ministero»

 

Il Cardinal Rampolla, al quale V.E. si è rivolta, e la Sacra Congregazione di Propaganda Fide mi pregano di assecondare i desideri, che ella ha loro espresso al fine di avere a sua disposizione dei missionari per l’assistenza religiosa agli emigrati italiani.

Tengo nel più gran conto il pio desiderio espresso da V.E. e prenderò delle disposizioni per poter corrispondere a questa richiesta, ispirata dal suo zelo pastorale e dal suo amore per le anime. Spero dunque d’essere in grado di inviare i missionari fra qualche mese; ma ho bisogno prima di sapere: 1° Se i preti possono avere un’abitazione a parte, per quanto modesta essa sia, in modo che possano conformarsi alle regole approvate dalla S. Sede; 2° se avranno piena e intera libertà nel loro ministero per gli italiani, e se perciò sono destinati a essere sotto la sola e immediata dipendenza di V.E., di cui essi dovranno rispettare pienamente gli ordini e i piani. Questo principio è stato adottato nelle diocesi dell’America del Nord, dove io ho inviato missionari. I Vescovi hanno sottratto gli italiani alle giurisdizioni parrocchiali, sottoponendoli interamente ai missionari inviati dall’Italia per curare le loro necessità spirituali[67].

 

 

 

c) SPIRITO MISSIONARIO

 

«Andate, o novelli apostoli di Gesù Cristo!»

 

In mezzo alle gravissime prove, cui oggi è sottoposta la Chiesa, fra le tempeste ancor più gravi che la minacciano, è bello contemplare la calma, l’imperturbabile calma, ond’ella continua l’opera sua civilizzatrice nel mondo!...

Sicura di sé e dell’aiuto che le viene dall’alto, essa, dal pacifico esercito dei suoi soldati, quasi ogni giorno stacca alcuni drappelli, scelti fra i più coraggiosi, e il manda ai quattro angoli della terra, li lancia sui lidi più remoti, al di là dei mari, al di là di immensi deserti, più paurosi dei mari, per infondere nei nuovi la fede, per conservarla ed accrescerla in quelli che già la posseggono, per salvare le anime.

È questo un fatto unico al mondo, un fatto che ormai dura da 20 secoli, e del quale oggi noi stessi abbiamo qui sotto gli occhi una prova eloquente.

Sono anime generose che, disposate alla povertà di Cristo, abbandonati agi, onoranze, patria, dolcezze domestiche e quanto vi è nel mondo di più teneramente caro, volano anelanti in soccorso dei nostri connazionali emigrati al di là dell’oceano. Hanno sentito il grido di dolore di quei nostri lontani fratelli, e vanno!... Oh! andate o novelli Apostoli di Gesù Cristo: ite, angeli veloces... ad gentem expectantem... et conculcatam.

Andate in ogni parte del nuovo mondo, perché in ogni parte del nuovo mondo non vi è popolo più avvilito del nostro, perché là vi attendono anime che han bisogno di voi. I popoli, i popoli medesimi chieggono il pane dello spirito e non è chi loro lo spezzi! (...).

Andate, che l’Angelo degli Stati Uniti vi chiama mostrandovi oltre 500 mila italiani abbandonati. Andate che gli Angeli dei Paranà, del Perù, dell’Argentina, della Colombia e di altre provincie vi chiamano, mostrandovi un milione e trecento mila italiani sitibondi di verità e in pericolo continuo di cadere nel lacci dell’eresia (...).

Vasto senza confine è il campo dischiuso al vostro zelo. Là templi da innalzare, scuole da aprire, ospedali da erigere, ospizi da fondare; vi è il culto del Signore cui provvedere, vi sono fanciulli, vedove, orfani, poveri infermi, vecchi cadenti e tutte a dir breve le miserie della vita su cui far discendere gli influssi benefici della cristiana carità. Come sopperire a tanti e sì gravi bisogni?... Andate: ite! La Provvidenza, che veglia con tenerezza di madre sulle opere iniziate da lei, risolverà essa l’arduo problema. Solo studiatevi di rispondere ai suoi amorosi consigli.

Fate che gustino tutti quanto è soave il Signore (...).

Vi aspettano, lo so, immense fatiche, pericoli non pochi, contraddizioni molte, lotte e sacrifici continui, ma è ciò che deve assicurarvi dell’impresa alla quale vi accingete, ciò che deve aggiungere lena al vostro spirito. Il vostro conforto, la vostra guida, la vostra più sicura difesa sia in quella Croce che vi ho testé consegnato: la Croce! che, al dir del Crisostomo, è la luce degli umili, il sostegno dei deboli, il legno della vita, la chiave del cielo, il segnale della vittoria, il terrore di satana, la forza di Dio. Con questa spada in pugno (sento di potervelo dire) voi vincerete. Vincerete, parmi vi ripeta da quell’urna il Martire patrono di questo tempio, il glorioso Antonino. Egli che i primi germi dirò così del vostro istituto vide spuntar qui accanto alle sue sacrate ceneri, egli vi accompagnerà senza dubbio col favore del suo patrocinio[68].

 

 

«La Croce del missionario»

 

Vi sono momenti nella vita dell’uomo così solenni, così ripieni di soave e profonda commozione che è impossibile immaginare se non si provano, e provati una volta non si dimenticano più. E uno di essi fu quando in cui da questo tempio medesimo or sono pochi mesi benedicevo al primo drappello di quei generosi che disposati alla povertà di Cristo, abbandonato quanto avevano nel mondo di più caro, volavano anelanti in soccorso dei nostri connazionali emigrati ai di là dell’Oceano. Oggi quel commovente spettacolo si rinnova. Il palpito del cuore, ve lo confesso, mi sembra fatto dalla fede più vigoroso e forte, l’infinita carità di Dio mi allarga il petto, mi si sublima la mente alla vista e nel desiderio dell’apostolato e stringendo al petto la Croce d’oro del Vescovo, dolcemente quasi mi lagno con Gesù, che mi abbia negata un dì la Croce di legno del Missionario e non posso tenermi dall’esprimere a voi, o giovani Apostoli di Cristo, la più alta venerazione e sentire una santa invidia per voi, che con animo forte vi consacraste all’opera santa delle Missioni. E a chi non saranno comuni tali sentimenti ove si rifletta per poco alla grandezza e sublimità del cattolico apostolato, del quale oggi ne abbiamo qui una prova eloquente? (...).

«Io, dice il Signore, per bocca del suo profeta, rizzerò in mezzo ai popoli un segno di riscatto universale, e tra i viventi eleggendo i banditori della mia parola, li manderò ai popoli abbandonati al di là dei mari: ed essi annunzieranno la gloria mia e raccogliendo tutti i fratelli, li presenteranno in oblazione all’Altissimo».

Il segno di universale riscatto innalzato nel mezzo dei popoli è la Croce; la Società dei redenti è la Chiesa; la parola che vola di luogo in luogo, di popolo in popolo, annunziatrice di salute, è l’apostolato cattolico (...).

I ministri di questa parola nessun ostacolo, nessuna forza creata ha potuto arrestarlo (...). E voi oggi, o cari figli, potete gloriarvi di essere nel loro numero, dando il nome alla umilissima Congregazione, la quale fu salutata giorni sono dal grande Arcivescovo di S. Paolo di Minnesota, dei nostri giorni la forma più bella, più utile, più feconda del cattolico apostolato (...).

Oh benedetti i passi dei Missionari che recano la buona novella agli abbandonati fratelli! Quanto è preziosa l’opera loro al cospetto del Cielo! Quanto è bella e commovente al cospetto della terra! Come ci attrae la vista di questi catechisti, che legittimamente inviati impugnano la croce e partono affine di piantarla, simbolo di salute e di civiltà, in mezzo ai nostri fratelli, costretti finora a vivere e a morire privi di ogni conforto di religione (...).

Andate e non temete: siate fedeli, ve ne scongiuro, a questi santi altari, alla vostra vocazione; pazienti, prudenti, modesti, pieni di carità. A questo sono rivolte le mie povere preghiere, le preghiere di tante anime buone, dei vostri confratelli, dei vostri congiunti e specialmente delle vostre buone madri, le quali se ora piangono la vostra partenza, conosceranno un giorno la gloria di aver dato un Apostolo alla comune Madre, la Chiesa.

Ah! la preghiera, non lo dimenticate mai, è la efficacia e la fecondità della predicazione evangelica; è la parte più viva, più forte, più potente dell’Apostolato, come ci insegna Gesù Cristo, sovrano modello della vita apostolica[69].

 

 

«Andate, predicate il Vangelo ad ogni creatura»

 

Dal giorno che Gesù Cristo rivolto ai suoi discepoli disse: andate, predicate il Vangelo ad ogni creatura, non cessò più nella Chiesa di Dio l’apostolato cattolico (...). Oggi come ieri, come nei secoli passati, come nel primo giorno dell’umano riscatto, ai ministri del santuario suona dolce ed insistente la parola di Cristo: ite. E dove? per tutto il mondo: in mundum universum. E perché? per diffondere la verità: docete omnes gentes (...).

Ed è così che anche ai dì nostri vediamo partire da tutti i lidi dell’Europa cattolica i banditori della buona novella, i pionieri della civiltà, i messaggeri del perdono e della pace. Sono giovani leviti che nell’entusiasmo della loro fede, nell’ardenza della loro carità: Signore, esclamano, mi tarda di narrare il tuo nome ai miei fratelli: narrabo nomen tuum fratribus meis, e si strappano agli amplessi di una tenera madre che piange, danno un generoso addio ai congiunti e agli amici, rinunciano alle dolcezze della patria, a tutte le lusinghe della fortuna, a tutti i piaceri della vita, e, armati solo del Crocifisso, attraversano i mari fortunosi, affrontano mille pericoli, espongono la propria vita terrena, pur di trasfondere in altri la celeste (...).

Oh, generosi, salvete! Sento il dolore di vedervi partire, ora che avevo imparato a conoscervi e ad amarvi; ma sento altresì la grandezza e la sublimità del sacrificio che state per compiere. Dio lo registra in questo momento nel gran libro della vita. Egli promette di essere sempre con voi: ecce ego vobiscum sum omnibus diebus. Andate adunque lieti e fidenti.

Guardatevi dal confidare in altri che in Lui e nel soccorso della sua grazia. Non vi date pensiero del vostro avvenire e di quelli che abbandonate. Colui che nutre i piccoli uccelli dell’aria, che ha vestito la terra di erbe e di fiori, saprà altresì nutrire e vestire voi e con voi i vostri cari sino al giorno in cui tutti vestirà di eterno splendore.

Abbiate solo e sempre di mira la gloria di Dio e il bene delle anime.

Rendetevi degni dell’amore dei buoni, dell’odio e della persecuzione dei tristi. Mostrate sempre più che il vostro zelo uguaglia solo il vostro disinteresse, che in Dio e in Dio solo è riposta ogni vostra speranza, che da Dio e solo da Dio aspettate la ricompensa e che mai non cesserete dalle fatiche finché vi saranno infelici da consolare, ignoranti da istruire, poveri da evangelizzare, anime da salvare[70].

 

 

«Ogni spedizione di missionari è la continuazione di quella che fece il divino Maestro»

 

Ogni spedizione di missionari è una tacita ma eloquente apologia della divinità della Chiesa Cattolica. Non è altro che la ripetizione, o dirò meglio, la continuazione di quella che fece il divin Maestro allorché disse agli Apostoli: Andate, ammaestrate tutte le genti, battezzandole nel nome del Padre e del Figliuolo e dello Spirito Santo. Ogni spedizione di missionari attesta inoltre l’ammirabile fecondità e indefettibilità della Chiesa stessa.

Sono diciannove secoli e più, che siffatte spedizioni si succedono senza interruzione e tanto più sembrano moltiplicarsi, quanto più si moltiplicano le persecuzioni e le apostasie. E la Chiesa è qua sempre giovane e sempre bella come il giorno in cui nacque. Non basta. Ogni spedizione di missionari ci predica in modo commoventissimo la infinita misericordia di Dio e il valore infinito delle anime. Dio per salvarci discese dal cielo in terra, si fece uomo, subì la morte e la morte di Croce, ed eccolo il missionario cattolico, sull’esempio di Gesù Cristo, abbandonare quanto ha di più caro (...), esporsi a mille pericoli, abbracciare una vita di stenti e di sacrifici per salvare un’anima sola[71].

 

 

«Quando i missionari giungeranno presso gli Indii»

 

Il Card. Simeoni dicevami spesse volte: quando i Missionarii giungeranno presso gli Indii, dovrebbero pensare di far qualche cosa anche per loro.

Siamo nel caso. Me ne parlò il Presidente dello Stato assicurandomi di tutto il suo appoggio. Per ora 3 o 4 preti basteranno. Prendendo cura in prevalenza delle colonie italiane studieranno il modo di mettersi in comunicazione con quei selvaggi. Se Dio li assisterà e potranno ottenere la sua grazia, manderei i soggetti pronti a sacrificarsi, se no, si terrà conto del buon desiderio. Questi selvaggi sono i discendenti di quelli che i PP. Gesuiti convertirono; ma poi abbandonati e presi a cannonate fuggirono nei boschi. Conservano ancora, a quanto si dice, qualche traccia di cristianesimo nelle loro cerimonie. Padre Santo, una preghiera e una speciale benedizione per questa nuova opera di carità[72].

 

 

«La catechesi degli Indios»

 

Vorrei che diceste a codesto Ven. Vescovo, cui presenterete i miei ossequi, che se la S. Sede affida alla nostra Congregazione la catechesi degli Indios del Paranà, sarà necessario dar mano anche dalla parte di Guarapuava e che quando a lui piaccia di assegnare ai nostri una residenza in quella regione, io penserò a provvedere buoni Missionari a questo scopo[73].

 

 

«Italiani in Africa»

 

Il Colonnello Baratieri (giacché il tristissimo Governo attuale non vuol saperne di Missionari e di Missioni) mi ha fatto chiedere di nuovo se mi assumerei io di provvedere di sacerdoti i possessi italiani in Africa.

Ho risposto che non potevo prendere al momento nessuna risoluzione, ma che vi avrei pensato. Sottopongo pertanto la cosa alla ben nota saggezza dell’E.V. perché decida. Non Le nascondo, Eminentissimo, che io inclinerei ad esaudire la domanda, giacché per l’Africa sarebbe facile avere mezzi e quanto fosse necessario e si potrebbe fare un bene immenso.

Converrebbe però, secondo me, che la parte italiana venisse sottratta alla giurisdizione del Vicario Apostolico francese e che i Missionari dipendessero direttamente o da me o da V.E., stabilendo una specie di Prefettura Apostolica[74].

 

 

«La vostra vocazione alle Missioni viene da Dio»

 

Ho ponderato con tutta l’attenzione la vostra lettera, e parmi di non ingannarmi affermando che la vostra vocazione alle Missioni viene da Dio.

E se è così, Egli torrà via tutti gli ostacoli.

I nostri Missionari formano una Congregazione e gli aspiranti restano qui nella casa madre per il noviziato di qualche mese pei già sacerdoti, e poi, fatti i voti semplici, partono per la loro destinazione. Il campo è vastissimo: centinaia di migliaia dei nostri poveri fratelli vivono e muoiono come bestie per mancanza di assistenza religiosa. Beato chi è chiamato in loro aiuto e vi si dedica interamente![75].

 

 

«Dio vi chiama all’alto onore dell’apostolato»

 

Io vi aspetto sempre e credo che non dobbiate più oltre resistere alla voce di Dio, che vi chiama all’alto onore dell’apostolato. Nescit tarda molimina, vel ripeto, Spiritus Sancti gratia. Su dunque, con santo coraggio aprite l’animo vostro al venerando vostro zio e venite senz’altro.

Raccolto qui nella casa madre, vi preparerete ai S. Voti, e poi sicut gigas ad currendam viam andrete ove Dio vi destinerà[76].

 

 

«Una casa di Missionari ambulanti sarebbe la cosa più utile del mondo»

 

L’idea di Mgr. Satolli è l’antica nostra idea, e quando si potesse dal lato finanziario, una casa di Missionari ambulanti sarebbe la cosa più bella ed utile del mondo. Bisognerà pensarvi. Non sarebbe conveniente esporre la cosa all’Arcivescovo?[77].

 

 

« E’ un mio antico desiderio»

 

Il P. Vicentini mi scriveva come sarebbe desiderio di V.E. che si fondasse una Casa di Missionari ambulanti, i quali cioè non avessero altro impegno che quello di correre dovunque si trovino colonie di Italiani. È questo un mio antico desiderio, un desiderio espressomi anche dal  S. Padre, e l’avrei attuato di buon grado, qualora ne avessi avuto i mezzi.

Se l’Ecc. V. coll’alta influenza che meritatamente si è acquistata, potesse venirmi in aiuto, l’impianto di detta casa in luogo centrale potrebbe essere una vera benedizione[78].

 

 

d) VITA RELIGIOSA

 

«Si obbligano a vivere da veri religiosi»

 

Prima di partire per le Missioni, tanto i Missionari quanto i laici faranno i seguenti voti.

Di permanere nella Congregazione per 5 anni consecutivi qualunque sia la destinazione o la mansione che sarà loro affidata dai Superiori (...).

Voto di castità pei laici, di obbedienza more religiosorum al rispettivo Superiore e ai Superiori della Congregazione.

Di povertà, inquantoché nulla potranno possedere o acquistare o accettare di proprio (tranne quello che possedessero o potessero possedere in patria).

Per questo voto di povertà i Missionari ed i laici si obbligano a non far propria alcuna somma, oppure qualsiasi oggetto, o beni mobili ed immobili che durante il ministero potessero percepire sia a titolo di stipendio, sia di rimunerazione o anche di semplice dono personale o per qualunque servizio di officio prestato; ma tutto sarà devoluto alla Congregazione.

Similmente per questo voto di povertà i Missionari ed i Coadiutori si obbligano a starsene contenti al puro necessario, al vitto ed al vestito, conforme al detto di S. Paolo; perciò quando essi, sia in viaggio, sia nelle missioni abbisognassero di qualche cosa si obbligano a farsi le provviste nei limiti della modestia e parsimonia cristiana, evitando il lusso ed il superfluo, e cooperando all’economia in vantaggio della Congregazione (...). Tutti i proventi di qualunque specie verranno consegnati al rispettivo Superiore.

Tutti coloro che sono ammessi a far parte dell’Istituto devono esser ben penetrati dell’idea che per cinque anni si obbligano a vivere da veri religiosi, animati dallo zelo per la salvezza delle anime, dallo spirito di sacrificio e di distacco dai beni e dalla gloria mondana e penetrati da sentimenti di vivo amore e di ubbidienza illimitata al Romano Pontefice, ai Superiori dell’Istituto e agli Ordinari dei luoghi in cui eserciteranno il loro sacro ministero[79].

 

 

«Ho creduto necessario introdurre i voti perpetui»

 

Fu qui a dettare gli esercizi spirituali ai giovani aspiranti alle Missioni d’America il bravo P. Rondina gesuita facendo gran bene. Con esso mi consultai per la riforma del Regolamento e ho creduto necessario introdurvi i voti semplici, ma perpetui. Questa, ed altre importanti modificazioni, che io quanto prima sottoporrò nelle debite forme a Vostra Eminenza per mezzo dello stesso ottimo religioso, vennero già, con mia grande consolazione, accettate dai detti giovani senza difficoltà. È quindi del massimo interesse che siano richiamati quelli che già partirono senza aver fatto quei voti e che vengano sostituiti da altri i quali, per aver fatto il noviziato regolare, come si è ora stabilito, offrono morale garanzia di ottima riuscita[80].

 

 

«Un’intera fiducia nell’avvenire»

 

Fu qui a dare gli Esercizi Spirituali il P. Rondina, noto gesuita e uno degli scrittori della Civiltà Cattolica. Egli partì contentissimo e d’accordo ecc. ecc. Volli introdurre i voti semplici perpetui e un noviziato regolare. I nostri giovani quasi tutti vi aderirono con trasporto.

Il giorno 15 ottobre incominceranno una specie di noviziato e il giorno dell’Immacolata faranno i voti perpetui. Io li trovai tutti lietissimi della cosa. I nuovi che entreranno incominceranno un vero noviziato di un anno. È la prima volta che provo una profonda consolazione e un’intera fiducia nell’ avvenire.

Appena stampato il Regolamento così definito e approvato dalla S. Sede sarà comunicato agli antichi Missionari e così chi vorrà entrare, se sarà accettato, avrà i suoi legami perpetui; chi non ha vocazione se ne andrà anche subito e sarà sostituito da questi che il P. Rondina giudica ottimi elementi e santi giovani. Interessa pertanto tenere alla meglio i posti che abbiamo e quando Dio vorrà saranno occupati da elementi migliori e meglio formati. Che Dio ci aiuti[81].

 

 

«Vado a ricevere i voti perpetui dei Missionari»

 

8 Dicembre 1894 - Ore 7 antimeridiane.

Vado a ricevere i voti perpetui dei Missionari. Intendo che si debbano considerare come quelli che fanno i cappuccini nei primi 4 anni, cioè che gli individui restano obbligati alla Congregazione, ma la Congregazione può rimandarli e con ciò si annullano i Voti senza bisogno di dispensa.

Per gli individui deve bastare una causa grave, giudicata tale dai Superiori, per ottenere dispensa dai S. Voti. Anche se non si trovasse più bene per lo spirito, bisogno grave dei genitori, poca salute ecc.

O Maria Vergine Immacolata benediteci tutti[82].

 

 

«La consacrazione che Dio, per mano di Maria, si degna oggi concedervi»

 

La vostra presenza, dilettissimi figli, mi riempie l’anima di soavissima commozione. Quanto è fortunata un’anima che ha la grazia, che Dio concede a voi. Oggi, colla professione dei santi voti, voi rallegrate la Chiesa, i cori degli Angeli, dei Santi, dei martiri, dei confessori, degli Apostoli, di Maria SS. Immacolata, di Gesù Cristo, dell’Eterno Padre.

Un dì il grande Papa S. Clemente riceveva i voti di consacrazione di alcune anime fervorose. Ad un punto della sacra funzione il S. Pontefice fu rapito in dolcissima estasi (...). Rinvenuto: oh miei figli, esclamò, mi rallegro di cuore con voi, esultate, piangete di consolazione: benedite Iddio che vi ha chiamato a tanta gloria. Io vidi salire la vostra consacrazione al Cielo come un’onda luminosa che avvivò di nuova gioia ineffabile la corte celeste; vidi la Madre di Dio, l’Immacolata, presentare i vostri voti al trono di Gesù Redentore; vidi scendere sulle anime vostre una pioggia di misericordia, di perdono, di grazie.

Voi benedetti, esultate, piangete di consolazione, rinnovate tutte le promesse fatte a Dio e prostrati pregate Maria Santissima Immacolata e i santi che invocheremo, che suppliscano per voi.

Quando io in nome di Gesù Cristo e della Chiesa alzerò su di voi le mani e proferirò quelle sacrosante parole: Degnatevi, o gran Dio, di benedire, di santificare e di consacrare queste anime elette, voi pregate fervidamente perché si compiano in voi i disegni di Dio, perché vi faccia piuttosto morire qui se doveste per sventura perdere la benedizione, la santificazione, la consacrazione, che Dio, per mano di Maria Immacolata, si degna oggi concedervi[83].

 

 

«Sarete fedeli ai vostri voti»

 

Come rappresentante, benché indegno, di Gesù Cristo e successore degli Apostoli, accolgo questi voti che pronunziaste, queste vostre generose promesse, questi nobilissimi vostri sentimenti. Li accolgo con la più viva esultanza dell’animo mio, e per le mani della Vergine Immacolata, io li depongo su questo altare sacro alla gloriosa madre di lei, in questo dì lieto per noi e per lei; la prego anzi a deporli essa stessa nel cuore di Gesù, perché Egli fonte di ogni benedizione li confermi e in essi vi rassodi.

Voi, o cari figli, ne ho piena fiducia, vi sarete costantemente fedeli, coll’aiuto di Dio e colla benedizione della sua madre immacolata, alla quale voleste, con mia ineffabile consolazione, consacrare con divina ispirazione questo primo atto tanto solenne della vostra carriera, le primizie del vostro apostolato. Sì, voi sarete fedeli ai vostri voti costantemente, fedeli in mezzo alle fatiche, fedeli in mezzo alle tribolazioni, fedeli nei viaggi, fedeli in mezzo alle angosce della vostra sublime missione, fedeli sino allo spargimento del sangue, fedeli sino alla morte. È così che voi, o cari figli, procurerete la gloria di Dio, la salvezza delle anime, la vostra santificazione, la gioia della Chiesa trionfante, la gloria della Chiesa militante. È così che della chiesa, nostra tenerissima madre, tanto ai nostri dì perseguitata, sarete un’apologia vivente, mostrandone col fatto la santità, la divinità di magistero.

A tale scopo tenetevi cara la Croce che vi ho consegnata (…). Non dimenticate mai la divina sentenza: Vigilate omni tempore. Iddio ve lo conceda, o figli dilettissimi. Unitevi tutti a me durante l’incruento sacrificio e scongiurare l’Eterno acciò possiate uscire di qui trasformati come un dì uscirono dal cenacolo i Santi Apostoli; acciò vi tenga sempre nella sua santa custodia[84].

 

 

«Vita del Missionario nella Missione»

 

Il Missionario, come operaio evangelico, deve ricordarsi d’essere obbligato a diffondere colla sua vita il buon odore di Gesù Cristo, a predicare il Vangelo più con l’esempio che con la parola. Avrà cura pertanto d’osservare la propria regola sempre e dovunque; di praticare specialmente la temperanza, la mansuetudine, l’umiltà, la castità, la modestia, la carità, e di mostrare il massimo disinteresse; lo stesso dicasi dei Fratelli catechisti.

Porranno per fondamento delle loro proprie azioni la grande massima: di non applicarsi mai tanto all’esercizio dell’Apostolico Ministero da trascurare la vita interiore, e di non abbandonarsi mai tanto alle dolcezze della vita interiore da trasandare l’esercizio dell’Apostolico Ministero. Rammenti poi sempre il Missionario che trascurando l’orazione mentale e la preghiera difficilmente potrà mantenersi in grazia di Dio (...).

I Missionari avranno cura di conservare sempre e dappertutto l’unione più stretta coi compagni di Congregazione, trattandosi a vicenda con animo aperto e affetto sincero[85].

 

 

«Benché pochi, voi potete moltissimo quando siate animati dallo spirito degli Apostoli»

 

Grazie a Dio, la nostra umile Congregazione ha potuto affermarsi talmente da guadagnarsi l’amore dei buoni e la simpatia degli onesti di ogni partito. Il vostro zelo, o miei cari e venerabili fratelli, tenuto conto delle difficoltà immense che dovette incontrare a principio, ha fatto davvero prodigi. Voi, mi è dolce il dirlo, avete ben meritato della religione e della patria, e Dio saprà ricambiarvene in modo degno di Lui.

Ma non basta l’aver bene incominciato; bisogna perseverare, e perseverare usque in finem. Troppo più è quello che rimane a farsi, o miei cari. Siete ancor pochi al bisogno, lo so; ma benché pochi, voi potete moltissimo quando tutti siate animati dallo spirito ond’erano animati gli Apostoli; quando tutti siate ben penetrati della importanza e sublimità della vostra vocazione.

Certo, sì, è grande, ineffabilmente grande, o miei cari, l’onore che vi ha fatto Gesù Cristo col chiamarvi a parte dell’opera sua redentrice, annoverandovi tra i suoi apostoli. È a voi particolarmente che Egli ripete anche oggi quelle confortevoli parole: Ego elegi vos et posui vos ut eatis, et fructum afferatis, et fructus vester maneat.  Notate, o carissimi; non dice «siete stati chiamati» ma «io stesso vi ho chiamati», io che sono il figliuolo di Dio vivo, io re immortale dei secoli, io che ho fondato la Chiesa e la guido vittoriosa attraverso le battaglie e le bufere del mondo.  Ego elegi vos et posui vos.  Quale predilezione![86].

 

 

«Unione con Gesù Cristo»

 

Alla sua chiamata voi, o cari, avete risposto; siete andati, avete fatto del bene assai; ma non basta, ripeto; bisogna che questo bene sia durevole: ut fructum afferatis et fructus vester maneat.

Che cosa si richiede perché il tralcio dia frutto?

Che rimanga attaccato alla vite. Ora la vite è Gesù e i tralci, o dilettissimi, siete voi: Ego sum vitis, vos palmites. Lo ha detto Egli stesso.

Finché adunque rimarrete in Lui, vi sentirete pieni di sovrumana energia e il frutto che riporterete non potrà essere che ubertoso e duraturo. Tutto vi sarà facile anche di fronte alle più gravi contraddizioni. Staccati invece da Lui addiverreste come corpo senz’anima, sterili di ogni opera buona; sareste come rami, non atti ad altro che ad essere gettati nel fuoco: sine me nihil potestis facere.

Dunque unione, o dilettissimi fratelli e figli, unione con Gesù Cristo prima di tutto. E questa unione voi l’otterrete alimentando in voi, con esercizi continui di pietà, la fede, e mantenendo viva nel vostro cuore la grazia[87].

 

 

«Unione fra voi stessi»

 

Frutto di tale unione sarà poi l’unione fra voi stessi, quell’unione che Gesù Cristo tanto accesamente invocava per i suoi discepoli e che è pur tanto necessaria. Nessun ceto d’uomini, per quanto ricco di forze individuali, se alla gran legge dell’unità non si assoggetti, potrà mai far cose grandi, e molto meno lo potranno i Missionari i quali, operando sulle anime come semplici strumenti di Gesù Cristo, attingono da questo sovrano principio che li informa, tutta la loro efficacia. 

Per la qual cosa vi scongiuro, o miei cari, vi supplico per  l’amore di Gesù Cristo e per il bene dei nostri fratelli, di non disgregare le vostre forze impiegandole ciascuno per conto proprio, e senz’altra guida che la propria volontà: ma di essere tutti uniti e come una cosa sola: ut sint unum.

Uniti di pensiero, di affetti, di aspirazioni, come siete uniti per un fine medesimo: Obsecro autem vos, fratres, per nomen Domini nostri Jesu Christi ut idipsum dicatis omnes, et non sint in vobis schismata; sitis autem perfecti in eodem sensu et in eadem sententia.

E come potrete in ciò riuscire? Con ogni umiltà e mansuetudine e con pazienza sopportandovi gli uni gli altri. Il segreto è dell’Apostolo: Cum omni humilitate et mansuetudine, cum patientia supportantes invicem in charitate.

Lungi pertanto dal Missionario le vane gelosie, le parole ingiuriose, le contenzioni e le gare! Ciascuno sia calmo e tollerante nell’adempimento dei proprii doveri, ciascuno compatisca i difetti dell’altro, ciascuno si studi di conservare l’unità dello spirito mediante  il vincolo della pace[88].

 

 

«Pace in casa e fuori casa, pace con tutti»

 

Pace, o miei cari, non solamente fra voi, ma anche coi fratelli di ministero. Per condizione delle cose voi dovete venire sovente a contatto con sacerdoti e missionari di nazionalità diverse, dovete giovarvi dell’esperienza loro. Usate verso i medesimi la massima deferenza, amateli di cuore, rispettateli sempre. Pace in casa, e fuori di casa, pace con tutti.

Ma pace non è possibile senz’ordine, né ordine alcuno può darsi senza regola. E voi, fratelli e figliuoli miei, le vostre regole le avete, approvate dalla Santa Sede Apostolica. Siate esatti nell’osservarle sino allo scrupolo. Non basta. Allora solo vi è pace fra gli uomini, scrive Sant’Agostino, quando tutti e singoli si tengono fedelmente al posto assegnato loro dalla Provvidenza divina: Pax est in hoc, quod omnes teneant loca sua. Dunque  chi tra voi è destinato a comandare, adempia con fermezza, ed insieme con modestia, il proprio ufficio; chi poi deve obbedire, libenter, come dice San Bernardo, simpliciter, velociter, indesinenter obbedisca.

L’obbedienza ai legittimi superiori, sia come la vostra divisa[89].

 

 

«San Carlo, esempio meraviglioso»

 

Vi onorerete di chiamarvi d’ora innanzi i Missionari di San Carlo.

San Carlo! Egli era, come fu detto benissimo, uno di quegli uomini di azione che non esitano, non si dividono, non indietreggiano mai; che in ogni loro atto riversano tutta la forza della propria convinzione, tutta l’energia della propria volontà, tutta l’interezza del loro carattere, tutto quanto se stessi, e trionfano.

S. Carlo! Esempio meraviglioso di quell’impavida costanza, di quella generosa pazienza, di quell’ardente carità, di quello zelo illuminato, indefesso, magnanimo, di tutte quelle virtù che formano di un uomo un vero Apostolo di Gesù Cristo. Egli ha sete di anime. Non desidera che anime, non domanda che anime, non vuole che anime: da mihi animas, va dicendo, coetera tolle; e appunto per guadagnar anime a Gesù Cristo, mio Dio! Che non fece che non sopportò, che non disse?

San Carlo! È un nome questo che il Missionario cattolico non dovrebbe mai ascoltare senza sentirsi infiammato del più nobile, del più vivo entusiasmo, senza sentirsi  profondamente commosso (...).

Dilettissimi, specchiatevi in lui, raccomandatevi a lui, mettete in lui ogni vostra fiducia, e siate sicuri della sua protezione[90].

 

 

«Aiutatevi nel crescere nella cognizione e nell’amore di Gesù Cristo»

 

Mi rallegro con voi e col P. Vittorio del bene che fate: proseguite alacremente l’opera di Dio; aiutatevi nel crescere nella cognizione e nell’amore del Nostro Signore Gesù Cristo; siate santi e tutto rifiorirà nelle vostre mani. È il voto, la preghiera che faccio per voi e per tutti[91].

 

 

«Occuparsi seriamente, ma senza agitazione, nella pace di Dio»

 

Tu mi domandi quali sono i tuoi doveri? E io a te: Fa tutto quello che puoi pei nostri orfanelli, opera sempre in pieno accordo col Provinciale, cerca di mantenere tra i confratelli la concordia e la pace e avrai adempiuto al tuo ufficio.

Medita spesso le sapienti parole del Kempis: Si niteremur, sicut viri fortes, stare in proelio, profecto auxilium Domini super nos videremur de Coelo.

Certo che al tuo posto, giovane come sei, non ti possono mancare le croci, le contraddizioni, e sta bene che sia così, perché esse giovano all’umiltà e ci difendono dalla vanagloria.

Il campo che devi lavorare è bello e fecondo e ne avrai premio da Colui che disse: Sinite parvulos venire ad me. Occuparsi seriamente, ma senza agitazione, nella pace di Dio, tutto aspettando da Lui, ecco il segreto di ottenere vittoria nelle più gravi difficoltà[92].

 

 

«Tutto sia conforme alle nostre Regole»

 

Ti raccomando di introdurre le pratiche di pietà, per quanto è possibile, in comune, la meditazione, la lettura spirituale, la Visita al SS. Sacramento, il S. Rosario. Comincia costì a Boston se non ve ne è la pratica. Arrivando i nuovi, che tutto sia conforme alle nostre Regole. È un punto essenzialissimo. I nostri che partirono pel Brasile scrivono lettere consolantissime, da veri Missionari, pieni di fervore, di affetto per la Congregazione, di desiderio di santificarsi nell’esatta osservanza delle Regole e nel costante esercizio del sacro Ministero. Sono lettere che fanno bene al cuore e che faccio leggere in comunità per edificazione comune. Che Dio li benedica quei buoni figlioli, che si industriano in ogni modo di compensarmi le amarezze fattemi provare da altri. Preghiamo e facciamo pregare molto perché si compiano in noi e nei nostri gli adorabili disegni di Dio[93].

 

 

«Ravvivare lo spirito di pietà, di concordia, di obbedienza»

 

Ora voglio raccomandarti con tutte le forze le pratiche di pietà e specialmente la meditazione in comune secondo la Regola. Bisogna insistere opportune et importune, valersi del comando se l’esortazione non vale, ma far osservare assolutamente quanto è prescritto in proposito. La meditazione e gli Esercizi spirituali sono l’essenziale della vita sacerdotale e bisogna volerle ad ogni costo. Ti renderai altamente benemerito dell’opera nostra se, con l’aiuto di Dio, riuscirai a questo santissimo scopo.

Veggo con grande consolazione che Dio benedice la tua missione e la tua azione calma, ferma e prudente e nutro fiducia che saprai condurre le cose in modo da ravvivare nei nostri lo spirito di pietà, di concordia, di obbedienza[94].

 

 

«Si stabilisca l’osservanza»

 

Si mettano in pratica le regole e soprattutto quelle che riguardano le pratiche di pietà in comune, e assolutamente la meditazione (...). Credo richiamare su questo gravissimo argomento la tua speciale attenzione (...). Tu consiglia, veglia, esorta, e se occorre, comanda. È cosa tanto necessaria che per ottenerla qualunque sacrificio sarebbe poca cosa.

Come già ti dissi, il Signore benedice l’opera tua e si vede un’altra volta che vir obediens loquetur victorias. Ma la vittoria più grande, a parer mio, sarà l’osservanza introdotta nelle due case nominate per poi introdurla anche nelle altre, ove vi sono almeno due Padri. Siamo dunque intesi: labora sicut bonus miles Christi e Dio te ne ricompenserà[95].

 

 

«Mettere insieme quelli che hanno i voti perpetui»

 

L’anno che sta per finire fu per me pieno di croci, ma forse il più fecondo, grazie a Dio, di opere sante. E proprio vero che in Cruce vigor, in Cruce robur con quel che segue (...).

Come vanno le cose costì? Come va la tua salute? Come hai distribuito i Padri? Chi resta? Chi ritorna? Quanto alla distribuzione ti raccomando fervidamente una cosa: guarda di mettere insieme quelli che hanno i voti perpetui. Essi potranno cosi osservar meglio le regole e trovarsi a loro miglior agio (...).

Ora vi saranno i conti che ogni casa deve mandare a te, e tu a me. È importante che sia riveduta l’amministrazione e si possa sapere come si spende e con quali criteri si fanno le spese. Qui siamo in miseria, io più che la casa nostra. Bisogna dunque tener presenti le necessità della casa madre e spedire più che si può[96].

 

 

«Difficile conservare a lungo lo spirito della propria vocazione vivendo isolati»

 

Dal buon Sac. Marchetti ebbi la sua nobilissima del giorno 11 Novembre e non so dirle quanto mi sia giunta gradita. Per me è una vera consolazione ogniqualvolta mi è dato di incontrare uomini d’ingegno e di cuore i quali l’animo loro e tutte le loro forze volgono a sollevare le altrui miserie.

Ringrazio pertanto lei, egregio Sig. Console, delle sue ottime disposizioni a favore dei nostri poveri emigrati. Dal canto mio mi chiamerei ben fortunato di poter far pago il desiderio da lei manifestatomi. La difficoltà più grave per me sarebbe quella di dover lasciare divisi i Missionari l’uno dall’altro. Ella è uomo di esperienza e sa quanto sia difficile conservare a lungo lo spirito della propria vocazione, vivendo isolati, in mezzo ad elementi eterogenei coi quali bisogna più o meno combattere sempre. L’animo a lungo andare si affievolisce ed ha bisogno di confortarsi e ritemprarsi di tanto in tanto nella parola e nell’esempio dei compagni, nello spirito della propria regola.

Converrebbe pertanto che i Missionari fossero almeno due e che potessero anche far vita comune. Basterebbe all’inizio che avessero una chiesetta o anche un oratorio con una casa vicina. Uno dei due potrebbe venire nei baracconi degli emigrati, tornando poi ordinariamente alla casa[97].

 

 

«Siano almeno due insieme»

 

A un cenno di Mgr. Arcivescovo e tuo spedirò tosto a Boston due Missionari e un catechista. Bisogna insistere perché sieno due. La S. Congregazione di Propaganda ha, con insolita prestezza, approvato il nostro Regolamento, e vuole che almeno sieno in ogni casa due preti. Credo non vi sarà opposizione (...).

Parmi che sia una regola savissima: un prete isolato in mezzo ad un clero che, almeno da principio, non gli può essere amico, che vuoi che faccia? si perderebbe di coraggio. Sieno dunque almeno due insieme, andando alla festa dove vi sarà il bisogno[98].

 

 

«Mantengano forte lo spirito della loro vocazione»

 

Avrete già con voi o li riceverete presto i due nuovi Padri ed io ve il raccomando assai assai. Vogliate loro bene come padre a figli, esortateli, correggeteli e fate che mantengano forte lo spirito della loro vocazione.

A tal scopo vi raccomando di far osservare esattamente le Regole e soprattutto le pratiche di pietà, la meditazione assolutamente, in comune.

Bisogna dare alle vostre residenze forma di casa religiosa; se no, non potrete mai fare tutto quel bene che desiderate voi e che desideriamo tutti. Sono buoni giovani e saranno quali voi il vorrete. Incominciate subito: omnia secundum ordinem fiant. È un dovere di coscienza e per adempierlo è necessario imporsi ogni sorta di sacrificio[99].

 

 

«Affidarsi a Dio con tutta semplicità»

 

L’Istituto starà, non starà? Starà finché a Dio piacerà. Chi ha vera vocazione, caro Monsignore, vi entra senza punto preoccuparsi dell’avvenire, ben sapendo che questo è nelle mani di Dio. Affidarsi a Lui con tutta semplicità vale ben meglio che la ricerca di qualunque garanzia di morali, economiche e stabili condizioni intorno all’Istituto medesimo[100].

 

 

«Formiamo una piccola e umile congregazione, ma una congregazione»

 

Io mi rallegro con voi e con i vostri compagni del bene che fate; è certo che dobbiamo contentarci del bene con i difetti inevitabili delle nostre miserie; ma non possiamo disconoscere che del bene ne facciamo e molto; rendiamo quindi grazie infinite al Signore. Vi ripeto queste cose perché vi servano di conforto nelle vostre difficoltà e vi facciano animosamente attendere al bene con perfezione sempre crescente.

Un Santo fondatore di ordine religioso diceva che la Provvidenza gli aveva mandato da principio alcuni uomini di gran cuore, ma che qualche volta, dando mano ad imprese superori alle loro possibilità, e malviste dagli altri confratelli più prudenti, sembrava che andassero avanti alla cieca; in fine però dovette confessare pubblicamente che senza quegli uomini l’opera sua sarebbe morta o quasi morta.

Preghiamo il Signore, caro P. Domenico, che voglia nella Sua bontà fare altrettanto per noi, e lo farà se ci renderemo sempre più degni delle Sue benedizioni. Noi formiamo una piccola ed umile congregazione, ma una congregazione; è quindi giusto che quel poco che il Signore ci manda serva per essa; perciò quando il P. Morelli ha dei bisogni, e voi lo potete aiutare, aiutatelo pure in nomine Domini (...).

Quando vi riesca possibile ricordatevi della Casa Madre, ché la raccomando caldamente poiché è sempre povera e bisognosa. Attualmente sono in progetto di acquistare una nuova casa con la Chiesa e ci vorranno per lo meno un centinaio di migliaia di lire. E dove andarle a pigliare? Dio mi provvederà senza dubbio[101].

 

 

«Il nerbo e la vita di ogni comunità»

 

Dobbiamo insieme ringraziare il Signore del bene grande che la nostra Congregazione, non ostante immense difficoltà e i molti difetti, è venuta fin qui operando.

Desideroso tuttavia che sempre più ella prosperi, a maggior gloria di Dio e a vantaggio delle anime, tenuto conto, come già vi dissi a voce, dei voti espressimi da parecchi dei nostri missionari e dei bisogni della stessa Congregazione, invocato l’aiuto del celeste Patrono S. Carlo, ho ordinato e ordino quanto segue:

1.    Ogni giorno si farà da tutti, in comune, meditazione e lettura spirituale, e si reciterà il Santo Rosario.

2.    Ogni anno, od ogni due anni (secondo l’uso delle differenti diocesi), tutti faranno gli Esercizi Spirituali in unione col clero della diocesi in cui risiedono.

3.    Ogni anno si manderà al Provinciale l’attestato di confessione.

4.    Ogni anno i Superiori delle Case, previo avviso del Provinciale, converranno in una delle nostre Case, designata dal Provinciale stesso, per studiare e suggerire i mezzi più atti ad ottenere un progressivo miglioramento delle missioni (...).

8.    L’amministrazione delle Case sia tenuta con cura scrupolosa. Sul giornale si registrino quotidianamente le entrate e le uscite in modo distinto e particolareggiato, e ogni mese si faccia il bilancio.

9.    Ogni mese gli amministratori delle Case, levate dal bilancio le spese pel mantenimento delle Case, ed una somma conveniente per le spese impreviste, rimetteranno gli avanzi al Provinciale, il quale li trasmetterà al Superiore della Casa Madre. Nessuno si esima da questo grave dovere, per quanto esigui possano essere talvolta i risparmi (...).

Le presenti ordinazioni voi, Padre carissimo, le notificherete ai Missionari tutti della nostra Congregazione, appena giunto in America, e, quanto è da voi, ne curerete con ogni zelo e premura la esatta osservanza (...).

Voi ben sapete che il nerbo e la vita di ogni comunità è la concordia e la disciplina. E queste due cose voi raccomanderete ai vostri confratelli in modo al tutto speciale. Senza di esse, fossero anche un esercito, a ben poco riuscirebbero; con esse, anche se pochi, faranno prodigi.

Promovete poi e coltivate più e più nelle singole Case lo spirito di pietà e di orazione, fondamento e sostegno di tutto[102].

 

 

«Tutto ciò è necessario al buon andamento della Congregazione»

 

1.    Il Superiore Provinciale, almeno ogni sei mesi, ed i Superiori delle varie Case, almeno una volta all’anno, si metteranno in comunicazione diretta col Superiore Generale residente in Italia e daranno a lui un resoconto particolareggiato delle opere promosse o stabilite nelle singole Missioni di America, dei frutti riportati, e che se ne sperano, come anche delle condizioni economiche delle stesse Missioni.

2.    Il Superiore Provinciale, il quale ha, come sapete, l’alta direzione di tutte le case, e autorità di comando sopra tutti i Missionari residenti nella sua regione, veglierà all’esatta osservanza delle regole e comunicherà e farà eseguire gli ordini che gli pervenissero dal Superiore Generale.

3.    Visiterà periodicamente le singole Case della provincia, prenderà quelle disposizioni che fossero richieste da bisogni urgenti, e si procurerà un fedele rendiconto delle entrate riscosse e delle spese sostenute da ogni Casa.

4.    Egli sarà assistito, nel governo della provincia, da due Consultori (...); sentirà il loro avviso intorno a ciò che riguarda il buon andamento delle Missioni e il trasloco dei Missionari, come pure (che mai non debba avvenire) intorno all’applicazione di pene canoniche, quali sarebbero: gli Esercizi spirituali, la sospensione della facoltà di ascoltare le confessioni, e via dicendo.

5.    Il medesimo radunerà, una volta all’anno, i Superiori delle Case, allo scopo di conferire insieme circa i vari bisogni delle colonie e di intendersi per l’uniformità di azione. Quelli i quali per qualsiasi motivo non potessero intervenire a tali adunanze, manderanno le loro proposte in iscritto.

6.    I Superiori delle Case, oltre il vegliare perché omnia honeste et secundum ordinem fiant, procureranno di coltivare e di accrescere nei loro dipendenti lo spirito del Signor Nostro Gesù Cristo, spirito di umiltà e di sacrificio, di mansuetudine e di carità[103].

 

 

«Il superiore di ciascuna casa è vero effettivo superiore»

 

Con mio sommo dispiacere sono venuto a conoscere cosa che sembrami appena credibile, che cioè alcuni dei nostri missionari Sacerdoti considerino il Superiore di ciascuna casa, piuttosto come Superiore di titolo e di onore, che come Superiore effettivo.

Ad estirpare questo errore che tende nientedimeno allo scompiglio e alla distruzione della nostra piccola ed umile Congregazione, tengo altamente a dichiarare che il Superione di ciascuna casa è vero, effettivo Superiore di tutti i Missionari, Sacerdoti e fratelli che trovansi nella medesima casa, e che a lui devono in conseguenza soggezione ed obbedienza in ogni e qualunque cosa egli crederà di prescrivere od ordinare tanto alla famiglia quanto ai singoli individui e che mancando a questa loro obbedienza dovranno rendere gravissimo conto a Dio ed a me, sia per l’azione cattiva in sé medesima, come per lo scandalo dato. Confido che non vi sarà più nessuno che osi mettere innanzi questa falsa teoria[104].

 

«Prudenza e fortezza, ecco ciò che forma un buon governo»

 

Il governo degli uomini è difficile e la croce del comando è pesante.

È ciò che pensai al ricevere le tue ultime lettere. Ma è pur vero che omnia possum in eo qui me confortat e si verifica sempre quando ce ne rendiamo degni: Dominus astitit mihi et confortavit me. Coraggio adunque, calma e fiducia in Dio (...).

Tu hai fatto benissimo a rispondere a Vicentini quello che hai risposto. Sarebbe stata una dispensa nulla. Se lui avesse avuto un po’ più di forza in principio, le cose non sarebbero arrivate a questo punto. Ma il timore del peggio gli fece chiudere un occhio e forse ambedue, senza pensare al necesse est, con quel che segue. Chi è Superione deve essere forte, quando il dovere lo richiede, e non lasciarsi impaurire di ciò che potrebbe avvenire. Prudenza e fortezza, ecco ciò che forma un buon governo: ecco ciò che ti imploro ogni giorno da Dio[105].

 

 


 

4. I LAICI E L’EMIGRAZIONE

 

Dirigere e assistere l’emigrazione è anche compito dello Stato, che deve assicurare la tutela morale e materiale, con accordi internazionali e con una legislazione che difenda i diritti umani e civili degli emigranti, li protegga dall’ingorda speculazione degli arruolatori, impedisca il saccheggio dei risparmi inviati alle famiglie rimaste in patria.

Dato che «i bisogni cui vanno soggetti i nostri emigranti si possono dividere in due gruppi: materiali e morali», Mons. Scalabrini volle che l’opera per gli emigrati fosse «ad un tempo religiosa e laica, sicché a quel duplice bisogno rispondesse». Fondò perciò, oltre alle Congregazioni religiose, la Società San Raffaele per il patronato degli emigranti: per la tutela legale e sanitaria, per fornire informazioni e favorire il collocamento nei posti di lavoro, per l’abolizione della «tratta dei bianchi» da parte degli agenti d’emigrazione, per sostenere l’assistenza religiosa dal momento della partenza a quello dell’arrivo.

Comitati della Società San Raffaele dovevano perciò essere costituiti sia nei principali porti d’imbarco e di sbarco, sia nelle regioni che davano un maggior contributo umano all’emigrazione, con il concorso di tutti, ecclesiastici e laici, di qualsiasi partito, «di tutti coloro nel cuore dei quali vibra alto e sereno l’affetto di patria e che hanno un senso di pietà gentile per le sofferenze ed i bisogni dei fratelli i quali hanno abbandonato questa nostra patria comune».

Mons. Scalabrini si occupò soprattutto degli emigrati italiani, perché erano fra tutti i più poveri e abbandonati, e anche perché volle iniziare sul terreno dei fatti la conciliazione tra Chiesa e Stato: «quest’opera, cara al mio cuore, non solo perché in essa scorgo un mezzo efficace per compiere i miei doveri episcopali verso tanti infelici, moltissimi dei quali miei diocesani, ma anche perché religione e patria vi si danno la mano e questo è, a mio giudizio, un inizio di quella pacificazione delle coscienze, che è pur sempre uno dei voti più ardenti dell’anima mia».

 

 

a) IL COMPITO DELLO STATO E DELLE CLASSI DIRIGENTI

 

«Un Vescovo che si occupa di cose sociali e di disegni di legge»

 

Onorevole Amico,

Tra breve si discuterà in Parlamento il disegno di Legge ministeriale sulla Emigrazione, ed io non so tenermi dal comunicarti alcune osservazioni che feci, leggendo quel disegno, opportunamente modificato dalla Commissione parlamentare.

Mi rivolgo a Te, non solo per quella affettuosa stima che, incominciata sui banchi della scuola, continuò non interrotta per anni parecchi, ormai possiamo contarli a lustri; ma anche perché ti so amico non adulatore delle classi diseredate (e questo ai dì nostri è gran pregio), paziente e modesto, quanto intelligente indagatore dei fenomeni sociali.

E mi rivolgo a Te pubblicamente, non per fare del vano rumore, da cui rifuggo per principi e per indole, ma perché la questione che io ti propongo è di quelle, che hanno bisogno di discussione, e non ho trovato, all’infuori di questo, altro mezzo per attrarre l’attenzione del pubblico svogliato e distratto, che non legge se non è costretto per lo meno da un titolo che ecciti la sua curiosità. Ho pensato, che una lettera aperta di un Vescovo, il quale si occupa di cose sociali e di disegni di legge, diretta ad un Deputato, possa essere titolo sufficiente per iscuotere la morbosa indifferenza del pubblico e far sì che, una volta tanto, la discussione, noiosa se vuolsi ma proficua, di una legge, prenda il posto di un fatto diverso qualunque.

E mi pare anche un dovere di buon cittadino. Dal giorno che io pubblicai il mio lavoro sulla Emigrazione italiana in America, ho potuto raccogliere dati, e fare delle osservazioni, che possono tornare di qualche giovamento a tanti nostri infelici connazionali. Quei fatti e quelle osservazioni ho trascritto con tale intendimento in questa lettera. Che se io avessi sbagliato nell’apprezzarli e compiuta opera vana, presso te come presso tutti i buoni:

Valgami il lungo studio e ‘l grande amore[106].

 

 

«Emigrazione interna, politica, agricolo-commerciale»

 

La emigrazione di un popolo civile può essere interna, politica e agricolo-commerciale o di infiltrazione.

Per emigrazione interna io non intendo di significare quel flusso e riflusso di popolazione che si muove periodicamente per i diversi bisogni della vita civile e individuale in un determinato territorio, ma intendo bensì una vera e propria colonizzazione, entro i confini della patria, di terre incolte che possono sovrabbondare in una regione e scarseggiare in un’altra.

Quello che significhi e come si attui la emigrazione e la colonizzazione politica è a tutti noto, cioè: dare alla patria più ampia estensione, allargandone i confini della bandiera nazionale, sotto l’egida delle patrie leggi e dove la religione, la lingua, i costumi, tutto ciò insomma che forma la coscienza religiosa, civile e patriottica di un popolo serva a tener vivo, anche nei lontani nipoti, il pensiero e l’affetto verso la patria dei padri (...).

Le colonie agricolo-commerciali o d’infiltrazione sono quelle che mirano a stabilire in paese altrui nuclei di popolazione di una data nazionalità che esercitino il commercio, l’industria e l’agricoltura e vivano fra popoli stranieri, senza perdere il proprio carattere nazionale. Fu il modo di emigrazione e di colonizzazione preferito dalle nostre gloriose repubbliche marinare (...).

La colonizzazione interna pare a molti la forma idealmente bella di emigrazione, utilissima e, per noi tutti, di attuazione facile.

Costoro non sanno comprendere come il Governo non siasi  ancora deciso ad adottare questo sistema che deve renderci ricchi e potenti, intensificando la nostra popolazione, dando al lavoratore il pane quotidiano abbondante (...).

E sia dunque; si colonizzi pure all’interno, si tolga alla malaria tanta parte del territorio italiano, si renda più intensa e quindi più rimunerativa l’agricoltura; tutto quanto si farà in questo senso sarà ottima cosa, ma non facciamoci illusioni; colonizziamo pure nei limiti del possibile, ma, a scanso di disinganni, persuadiamoci che la cosa non è facile, come pare a prima vista, e che certamente non è possibile nella misura che richiederebbe il rapido aumento della nostra popolazione[107].

 

 

«All’Italia non resta che la terza forma di emigrazione»

 

Le colonie politiche sono altro dei modi con cui i popoli civili compiono le loro funzioni migratorie, forse quello che involve maggior numero d’interessi e maggiormente solletica l’amor proprio nazionale. La grande attività e gelosa cura spiegate ai dì nostri dalle varie Potenze nel difendere gli antichi possedimenti coloniali e nello acquistarne di nuovi, sono il commento più eloquente di questa mia affermazione. Ma pur troppo per il nostro Paese la speranza di una larga colonizzazione politica fu travolta e rimandata a chi sa quando dai disastri africani, il cui ricordo rattrista ogni cuore italiano.

Queste cifre e considerazioni ci portano a concludere, che all’Italia, per ora almeno, non resta che la terza forma di emigrazione; effondere cioè in altri popoli e in territori altrui il sovrabbondare della sua popolazione; forma più umile delle altre due, ma più conforme ai suoi bisogni immediati. Le funzioni migratorie quindi, come si compiono da noi, rispondono alle necessità attuali politiche, territoriali ed economiche del nostro Paese e non superano la sua potenza riproduttiva e come tali hanno il carattere di fenomeni permanenti, e sono fonti di benessere individuale e collettivo.

Ma quali sono le garanzie che la legge accorda ad una emigrazione siffatta? Come esercita lo Stato il suo dovere di tutela morale e materiale dell’emigrante? Come l’esercitiamo noi, classi dirigenti?[108].

 

 

«Una legge anche buona non basta»

 

Ma una legge anche buona non basta, perché il fatto generale e complesso della emigrazione risponda agli alti fini sociali a cui fu destinato dalla Provvidenza, se non è sussidiata da tutte quelle savie istituzioni pubbliche e private, da quell’insieme di opere religiose e civili, che hanno dato ottimi frutti a quei popoli che primi le sperimentarono. Quelle opere, non solo rianimano i poveri emigrati a proseguire per la loro via più fidenti, sentendosi protetti, ma dicono inoltre agli stranieri, che quegli infelici non sono dimenticati, non sono res nullius, ma parte di una grande Nazione, la quale conosce il dover suo e lo compie, protendendo l’ombra della sua bandiera sovra i suoi figli lontani, soccorrendoli nei loro bisogni materiali ed elevandone il carattere morale colla religione e colla istruzione[109].

 

 

«I nostri emigrati sono i meno tutelati»

 

Dalla più volte citata statistica, da relazioni particolari e dai fatti riferiti tratto tratto dai giornali, rilevo che i nostri connazionali all’estero sono i meno tutelati, che sono spesso vittime di infami speculazioni vuoi per ignoranza, vuoi per buona fede, e che sono quelli che meno si curano di ricorrere nei loro bisogni, o per far valere le loro ragioni, alle autorità consolari; cose tutte queste che possono derivare benissimo da spirito di indipendenza, o dal non essere avvezzo l’italiano a vedere nel Governo del proprio paese un naturale e valido tutore, ma che possono essere anche grave indizio di sfiducia, derivata dalla abituale trascuratezza o impotenza delle autorità, tanto che i nostri connazionali abbiano trovato miglior cosa cavarsi alla meglio d’impiccio da sé, piuttosto che attendere il tardo ed inefficace patrocinio della patria lontana.

Con questa osservazione io non intendo far rimprovero a chicchessia, e molto meno ad una intera classe di funzionari onorevolissimi, che io amo credere zelanti del proprio dovere e coscienti dell’alta missione di cui sono rivestiti, ma semplicemente di constatare un fatto e di deplorarlo.

Ora, date queste condizioni di cose, quali provvedimenti si sono presi, o solo tentati per migliorarle? Lo dico francamente, sebbene con dolore; dal Governo si è fatto ben poco, e dai privati nulla. Tratto tratto quando qualche tristo avvenimento viene a cognizione del pubblico vi è un po’ di agitazione, qualche interrogazione alla Camera, qualche articolo di giornalista; ma alle interrogazioni il Governo risponde che provvederà, alle grida giornalistiche qualche fremito di anima generosa e poi l’oblìo copre ogni casa e tutto rientra nella calma, la calma infida dell’onda, che nasconde ne’ profondi suoi gorghi la vittima.

Così si è andati innanzi di anno in anno, come se vi fosse nulla da fare pei lontani fratelli, all’infuori di molte chiacchiere, condite con un po’ di rettorica tanto per pascere di erba trastulla chi aspetta, e per distrarre l’attenzione di chi, obbedendo alle più nobili aspirazioni della vita umana e della cristiana carità vorrebbe mettere il ferro e il fuoco salutare nella piaga cancrenosa della società moderna, l’egoismo (...).

Ab Jove principium: ma il Governo ha ben pochi fatti da registrare su questo proposito che veramente lo onorino, tanto che si è radicata negli animi di tutti la opinione che i meno protetti degli emigranti sono gli italiani (...).

Dal Governo e dal Parlamento si è su questa vitale questione lungamente discusso; ma le interpellanze di qualche Deputato e relativi disegni di legge e le solite risposte ministeriali, e le circolari ai prefetti, e gli articoli dei giornali officiosi, sono rimedi inefficaci e lasciano il tempo che trovano quando non diventino savie leggi (...).

Spigolando gli atti parlamentari, gli archivi delle prefetture dei giornali, sarebbe facile raccogliere sulla emigrazione in generale dati, e cifre assai eloquenti, qualche provvedimento temporaneo efficace, molte osservazioni utilissime, ma si cercherebbe invano nel nostro codice una legge o nel paese una istituzione, che accennino d’aver fatto tesoro di quei fatti, di quelle cifre, di quelle osservazioni[110].

 

 

«Ingorda speculazione degli arruolatori»

 

Interroghiamo la sapienza legislativa dei popoli, che hanno fatto più larga esperienza di noi in materia di emigrazione. Vedremo che, o non ammettono l’opera dell’agente arrolatore o lo circondano di maggiori cautele, e che non sia nel disegno di legge italiano. E nota, amico, che l’emigrante inglese, francese, portoghese, spagnuolo lascia il proprio paese in condizioni ben migliori del nostro, sapendo di trovare al di là dei mari, nei vasti possedimenti del suo paese, viva e grande l’immagine della patria nella religione, nella lingua, nelle leggi. Quei governi quindi potrebbero, anche senza mancare ai loro doveri di tutela e di previdenza, concedere piena libertà di arruolamento,  poiché quelle non sono per loro attività perdute o indegnamente sfruttate, ma è una benefica circolazione che rassoda la loro potenza e ne aumenta la ricchezza.

Quanto diverse le condizioni dei nostri emigranti!

Essi, dalla ingorda speculazione degli arrolatori, sono di solito avviati in luoghi ove l’aria appestata uccide, o impiegati in lavori degradanti, poiché l’affare per l’agente si fa migliore a misura della scarsezza delle braccia e della difficoltà dell’arrolamento: e la mancanza della mano d’opera, sia per bonificare terreni, sia per compiere lavori pubblici, si verifica colà dove la morte dirada le file dei lavoratori, ed il terrore allontanando i sopravvissuti fa sì, che ci sia sempre bisogno di nuove vittime ignare del pericolo. In tutte le catastrofi di simile natura l’elemento italiano è sempre rappresentato largamente, troppo largamente, perché non si provveda una buona volta a questo supremo dovere di un Governo forte e rispettato: la efficace protezione degli infelici espatriati, dalle insidie e dalla prepotenza[111].

 

 

«Il nuovo disegno di legge sull’emigrazione»

 

Signori, facciamo voti e usiamo di tutta la nostra influenza, perché il nuovo disegno di legge sulla emigrazione presentato dall’on. Visconti Venosta e accettato dall’on. Canevaro, attuale Ministro degli Esteri, abbia presto l’approvazione del Parlamento. Si toglieranno così gravi abusi a danno degli emigranti e si colmerà una lacuna piena d’insidie della nostra legislazione.

Altro provvido disegno di legge, al quale non dovrebbe essere più a lungo ritardata la sanzione del Parlamento, è quello presentato dall’on. Luzzati, già Ministro del Tesoro, di concerto coi suoi colleghi Rudinì, Visconti Venosta, Sineo e Branca: Sulla tutela delle rimesse e dei risparmi degli emigrati italiani nelle due Americhe.

Nella copiosa relazione che precede quel disegno di legge, sono enumerati i fatti e i modi per cui i risparmi sudati e a lungo tesoreggiati dai nostri connazionali all’estero, sono sempre decimati dal cambio e dalla trasmissione, per opera di avidi e spesso disonesti pseudobanchieri. Purtroppo quei poveri risparmi non di rado vanno interamente perduti in uno di quegli atti di brigantaggio bancario non infrequenti laggiù (ove chiunque può improvvisarsi banchiere, anche senza capitale effettivo) e che consistono nel vuotare la cassa e prendere il volo per altro paese. In un solo anno, e in una sola città del Nord America, si verificarono quattro di tali fughe, e i risparmi perduti dai nostri poveri emigrati vi figuravano complessivamente per L. 200.000!

Basterebbero alcuni di questi fatti, e ve ne ha centinaia, per giustificare e dare carattere di urgenza al provvedimento legislativo escogitato dall’insigne statista padovano, che taglia netto dalle radici tutto il parassitismo che vive e ingrassa dei risparmi altrui, speculando indegnamente sulla ignoranza e buona fede dei lavoratori[112].

 

 

«L’opera delle classi dirigenti»

 

Per sanare le piaghe che affliggono l’emigrazione italiana, le leggi non bastano, perché talune di queste piaghe sono alla natura stessa della emigrazione inerenti, altre derivano da cause remote che sfuggono al controllo delle leggi, e anche colle migliori leggi del mondo e cogli agenti di essa numerosi e perfetti, non si arriverebbe ad estirpare quei mali. Del resto tutti sanno che i governi e i loro agenti sono vincolati da consuetudini e da riguardi internazionali e certi provvedimenti o non possono usarli, o, usandoli, non farebbero che inasprire le piaghe che si voglion curare.

È qui che deve incominciare l’opera delle classi dirigenti, qui dove quella delle leggi e del governo finisce. In qual modo? Studiando dapprima e discutendo il gran problema dell’emigrazione, facendo entrare (ed è questa la preghiera che rivolgo ai capi del movimento cattolico) facendo entrare, come parte viva dell’azione dei comitati regionali, diocesani e parrocchiali, questa che riguarda il bene religioso economico e civile di tanti nostri sventurati fratelli raccogliendo a loro vantaggio sussidi anche materiali, dissuadendo energicamente l’emigrazione quando si riconosce disastrosa, difendendola dagli agguati e dai contratti dolosi, circondandola insomma di tutti quegli aiuti religiosi e civili che valgono a renderla contro i nemici forte, compatta e quasi dissi invincibile, poiché la sicurezza di ciascuno in questo caso diventa la sicurezza di tutti[113].

 

 

«Rendere meno amaro l’esilio ai nostri fratelli»

 

È bella, o Signori, la causa per la quale siete qua convenuti. Essa è degna di tutta la vostra attenzione, perché degna dell’attenzione di tutti gli uomini di mente e di cuore.

Si tratta di tutelare e dirigere nel miglior modo possibile la nostra emigrazione; di rendere meno amaro l’esilio ai nostri fratelli espatriati; di volgere a beneficio dell’Italia nostra una forza che va troppo facilmente perduta.

Chi ama di verace amore la religione e la patria non può non sentire il bisogno di associarsi a quest’opera e di consacrare ad essa, sia pure modestamente, le proprie forze.

Lasciamo ad altri lo studiare il fenomeno emigratorio nella sua ricca varietà di forme. Che la emigrazione sia un diritto naturale inalienabile, come afferma lo statista; che sia fonte di benessere per chi va e per chi resta, come proclama il sociologo; che sia il naturale svolgimento delle cose o il progressivo perfezionamento delle razze, come sostiene il filosofo; tutto ciò poco interessa al caso nostro. Bisogna venire una volta a qualche cosa di pratico. E pratico vuol essere questo nostro convegno, o Signori; un’adunanza amichevole e famigliare; non un’accademia. Bando perciò alla retorica. Pensiamo che i mali che affliggono la emigrazione nostra sono innumerevoli e che urge il provvedere.

Quei mali sfuggono al controllo delle autorità, perché in gran parte sfuggono a quello della legge. Bisogna che all’una e alle altre supplisca l’azione dei privati.

All’opera dunque, o Signori. Abbiamo in mano una causa che ha con sé la benedizione degli uomini e di Dio. Sappiamo approfittarne. Studiamoci di stringere sempre più i vincoli di quella solidarietà fraterna che afforza i deboli ed i for­ti rende invincibili[114].

 

 

«La cooperazione laicale»

 

La proposta relativa agli emigranti temporanei, merita senza dubbio la più alta approvazione, ma io non vorrei che, per troppo zelo degli amici, avesse a pigliare l’aspetto di cosa politica. Se ciò può giovare da una parte, può nuocere non poco dall’altra. Se’ savio e intendi me’ ch’io non ragioni. Io avrei desiderato che faceste voi, voi solo, d’accordo con Roma, senza legarvi con persone che, pur essendo ottime e facendo del bene, hanno sempre contro di sé delle prevenzioni e molte. Parlo dal lato politico, s’intende[115].

Neppure io disdegno la cooperazione laicale, ma nelle cose strettamente religiose, non li amo i laici iniziatori, perché difficilmente si spogliano dei fini secondari, principalmente politici. Non si gridò tanto contro i Vescovi in cilindro? Amo l’equità e la coerenza con tutti. Quanto più vado innanzi negli anni e più mi persuado che il vero bene si fa quando ciascuno tiene il proprio posto[116].

 

 

b) LA SOCIETÀ SAN RAFFAELE

 

«Un comitato laico sotto la sorveglianza di un Vescovo»

 

Mi permetto di inviare all’Ecc. V. Rev.ma copia di un umile mio lavoro sull’emigrazione italiana, quale tenue attestato della stima che nutro vivissima verso di lei. So che questo argomento la interessa grandemente, spero quindi dalla sua intelligente operosità un valido aiuto in proposito.

L’idea venne accolta, si può dire, con entusiasmo dovunque, e già un numero di persone assai distinte del clero e del laicato mi si sono offerte per costituire un comitato apposito per raccogliere mezzi, pregandomi di assumerne la direzione.

Sono convinto, ottimo Mons., che si debba fare buon viso a siffatte disposizioni di animo e dar mano all’opera prontamente per non lasciarci prevenire da altri. Un comitato laico sotto la sorveglianza di un Vescovo ai cenni della Propaganda, lo ritengo necessario a preparare quell’ingente lavoro che deve precedere l’attuazione del progetto di evangelizzazione che va maturandosi dalla S. Congregazione.

Urge anzitutto liberare i nostri emigranti dalle mani degli agenti di speculazione, che gettano tante povere anime specialmente di fanciulle e di giovanetti alla perdizione. Ad ottenere tale scopo parmi indispensabile l’aiuto del braccio secolare, a cui potrà ricorrere più liberamente e con maggior speranza di essere esaudito un comitato laico, o quasi, che non un comitato ecclesiastico.

Parmi inoltre che il progetto laico, riguardante il lato umanitario, debba tenersi separato del progetto ecclesiastico riguardante il lato religioso; quello, come dissi, dovrebbe disporre tutto il lavoro preparatorio e i mezzi per facilitare l’attuazione di questo.

D’accordo con l’esimio Vescovo di Cremona, che entrerebbe esso pure a dirigere il comitato generale, io sarei disposto ad aprire una casa pei Sacerdoti, che Dio inspirerà di dedicarsi a quest’opera di carità, qui in Piacenza, non dubitando mi aiuteranno di mezzi materiali le persone che faranno parte del comitato e aderenti, confidando, più che altro, nella provvidenza di Dio.

Il progetto di Propaganda si troverà così aperta la via e non farà naufragio, com’è a temersi se, affidato a poche persone ecclesiastiche, trovasse intoppi e opposizioni[117].

 

 

«Un’Associazione di patronato ad un tempo religiosa e laica»

 

I bisogni cui vanno soggetti i nostri emigranti si possono dividere in due classi: morali e materiali, ed io vorrei che un’Associazione di patronato sorgesse in Italia, la quale fosse ad un tempo religiosa e laica, sicché a quel duplice bisogno pienamente rispondesse.

Il campo che si presenta all’azione, guardata la cosa dal lato religioso, è vasto assai; ma non è meno vasto se la si consideri dal lato economico.

Compito infatti di detta Associazione vorrebbe essere, come già indicai, quello di provvedere agli interessi spirituali e materiali dei poveri, che abbandonano il luogo natio per attraversare l’oceano; quindi:

      Sottrarre gli emigranti alle speculazioni vergognose di certi agenti di emigrazione, i quali, pur di guadagnare, rovinano materialmente e moralmente gli infelici che cadono nelle loro reti;

      Istituire un ufficio che prepari quanto occorre pel collocamento degli emigranti, sbarcati che sieno nei porti d’America, di  modo che ogniqualvolta un italiano si indirizzasse all’Associazione, questa potesse assicurargli un’utile occupazione, ovvero dissuaderlo dall’emigrare in caso contrario;

      Fornire soccorsi in caso di disastri o d’infermità, sia durante il viaggio, sia dopo lo sbarco;

      Muovere una guerra implacabile, mi si permetta l’espressione, ai sensali di carne umana, i quali non rifuggono dal ricorrere ai più sordidi mezzi, turpis lucri gratia;

      Procurare l’assistenza religiosa durante la traversata, dopo lo sbarco e nei luoghi ove gli emigranti andranno a stabilirsi.

In quanto al primo punto io vorrei che l’Associazione, oltre ai membri contribuenti, avesse ancora dei membri attivi. Le attribuzioni di questi dovrebbero essere varie e ben distribuite. Innanzi tutto dovrebbero fondare comitati in tutti i porti principali del Regno ed anche nei paesi esteri, ove si imbarcano gli emigranti, per riceverli, vegliarli, consigliarli, proteggerli, aiutarli. Altri comitati dovrebbero essere fondati nei porti ove si dirige l’emigrazione italiana, per impedire che ivi si rinnovino gli inconvenienti ed i pericoli, che si incontrano troppo spesso nei porti d’imbarco.

Ad attuare il secondo punto occorrerebbe che l’Associazione si ponesse in relazione non solo con il Governo italiano, ma anche coi varii Governi americani, per dare all’emigrazione nazionale una direzione logica e pratica, per impedire che i poveri contadini, quando giungono in America, si trovino incerti sul luogo ove recarsi e possano fare una cattiva scelta, foriera di guai interminabili per loro e per la loro povera famiglia. Così si otterrebbe inoltre che le nostre colonie agricole fossero più prospere, meglio organizzate e maggiormente in grado di ricevere aiuto e protezione dal Governo nazionale.

Il terzo punto ha pure molta importanza e si connette strettamente ai due precedenti. Dovrebbe l’Associazione aver cura che gli emigranti fossero o accompagnati durante il viaggio da un membro di essa od almeno raccomandati a persona di fiducia, che li soccorresse in caso di bisogno. Sui bastimenti poi vi dovrebbe sempre essere un Sacerdote, il quale prestasse i conforti del suo ministero a tutti, ma specialmente agli infermi.

L’Associazione dovrebbe pure cercare che nei luoghi ove fossero agglomerati i coloni italiani non si lasciassero gli ammalati in abbandono e si sollevassero coloro, che per un infortunio avesse ridotto all’indigenza. Ma per ottenere quest’ultimo risultato, è necessario che l’emigrazione venga meglio regolata, e che gli italiani non si disperdano in piccoli gruppi per l’immenso continente americano, ma si riuniscano in forti e ben ordinate colonie.

Il quarto punto si riferisce all’energica repressione della tratta dei bianchi. Per far cosa pratica in questo senso l’Associazione avrà senza dubbio bisogno dell’appoggio efficace del Governo, il che io credo non sarà per mancarle qualora si mettano a nudo le cose nefande che ora succedono e che, per la generale indifferenza, rimangono sconosciute.

Oggi infatti, come già ebbi a notare, troppo spesso accade che agenti di emigrazione senza coscienza e senza cuore, ingannino le famiglie e conducano via povere giovani, che destinano alla rovina morale e al disonore. Di questi casi veramente lacrimevoli, ne avvengono, si può dire, ogni giorno. La pubblica stampa che si occupa con tanto interesse dei minimi pettegolezzi delle cronache cittadine, tace su questi delitti abominevoli, li ignora, o finge ignorarli. Occorre quindi che un’Associazione, la quale è destinata a proteggere gli emigranti, si dia cura di combattere apertamente, costantemente, questo traffico iniquo e, ove non possa fare da sé, ricorra alla forza pubblica e in adunanze solenni se ne richiami alla coscienza popolare, denunziando gli abusi e gli orrori che si commettono in onta alle leggi divine ed umane.[118].

 

 

«Opera di redenzione religiosa, patriottica ed economica»

 

Fu allora che, in Dio fidando e nella sua Provvidenza, osai tentare qualche cosa. E poiché i guai della nostra emigrazione, a parte quei moltissimi inerenti alla emigrazione in se stessa, derivano dall’abbandono in cui è lasciata e si riassumano in questi: perdita della fede per mancanza di istruzione religiosa, oblio della nazionalità per mancanza di stimoli che tengano vivo quel sentimento, rovina economica perché facile preda alla speculazione, fondai due società che mirassero a diminuire e a distruggere, se fosse possibile, quei mali: due società, una composta di Sacerdoti, l’altra di laici; una religiosa, l’altra civile; due società che si aiutano e si completano a vicenda. È la prima una Congregazione di Missionari, che mira principalmente al benessere spirituale dei nostri emigrati, la seconda principalmente al loro benessere materiale. Quella raggiunge il suo scopo fondando Chiese, scuole, orfanotrofi, ospedali per mezzo di Sacerdoti uniti come in una famiglia coi voti religiosi di castità, di obbedienza e di povertà, pronti a volare dovunque sono mandati, apostoli, maestri, medici, infermieri secondo il bisogno. Questa dissuadendo l’emigrazione, quando sia avventata, vigilando l’opera degli agenti, perché non passi i limiti della legalità, consigliando agli emigranti e indirizzandoli a buona meta, quando altro non possono.

Impresa certamente colossale per chiunque, ma più per me, o signori, sfornito qual sono di mezzi e di capacità a tal scopo. Io pensavo - ed il fatto ha comprovato il mio pensamento - che l’indifferenza nostra era dovuta a mancanza di iniziativa, e ad ignoranza dello stato delle cose e, se si vuole, all’aver la patria nostra perduta l’abitudine di certe opere, più che a mancanza di buona volontà: pensavo, che se una voce, ispirata solo a sentimenti di Religione e di patria carità si fosse levata a scuotere i sonnolenti o gli ignavi, non avrebbe risuonato nel deserto; pensavo che una volontà risoluta contro tanti mali avrebbe trovato anime altrettanto risolute a lottare: pensavo, che l’Italia, che dà Sacerdoti eroici alle Missioni, che portano la luce del Vangelo e della civiltà fra le contrade più inospiti e chiamano a piè della Croce i popoli barbari; l’Italia che dà largamente l’obolo suo e la sua influenza alla abolizione della tratta dei negri, non poteva restare indifferente, o peggio sprezzante di fronte alla tratta dei bianchi e a quest’opera di redenzione religiosa, patriottica ed economica, dei nostri fratelli emigrati[119].

 

 

«La sola fondazione di un Istituto ecclesiastico sarebbe riuscita insufficiente»

 

La sola fondazione di un Istituto ecclesiastico sarebbe riuscita insufficiente alle provvidenze necessarie per la completa assistenza della nostra emigrazione (...).

Era mio intendimento di costruire una Associazione, conforme press’a poco a quella sorta nel 1868 in Germania, presieduta dal Principe Isemburg-Birnstein e consociata sotto il nome di Raphaëls Verein. Scopo della medesima si è, di difendere con un ben ordinato sistema di protezione gli emigranti dai numerosi pericoli che li circondano non appena abbandonano il paese nativo.

L’iniziativa mia trovò conforto ed aiuto nell’azione efficace di un considerevole gruppo di persone che più mi sono vicine; e nello scorso anno costituii qui in Piacenza il Comitato Centrale dell’Associazione di patronato per la emigrazione italiana, alla presidenza del quale venne assunto il Marchese Avvocato Giambattista Volpe Landi, che all’opera dedica tutta l’attività e lo zelo di cui è capace.

Di esso Comitato fanno parte cittadini d’ogni ordine, non tutti di opinioni conformi, ma tutti circondati dalla stima e considerazione universale e noti per caldo sentimento di verace amore alla patria e di carità illuminata.

Col concorso anche di personaggi residenti in altre città d’Italia fu redatto uno Statuto provvisorio, nel quale vennero designati e l’indole dell’associazione e lo scopo di essa. Questo consiste nel dare opportuno indirizzo e giovare a coloro che hanno deciso di espatriare, mediante opportune informazioni intorno ai paesi più idonei all’emigrazione per feracità di suolo, per facilità a trovar lavoro, per opportuna assistenza religiosa e civile; nel prestare gratuitamente i suoi servigi agli emigranti nei porti d’imbarco; nel raccomandarli ai Comitati nazionali costituiti nei paesi transoceanici e sopratutto al delegato e corrispondente che li riceve nel porto di sbarco e che ricomincia con loro nella terra straniera la stessa opera di carità resa, più che utile, necessaria dai nuovi pericoli ai quali si trovano esposti.

Il Comitato di Genova, che vanta a suo capo il degno Marchese Vittorio Del Carretto di Balestrino, incomincierà prima della fine del corrente anno ad esercitare la sua azione di efficace assistenza a pro’ degli emigranti che salpano da quel principalissimo fra i porti italiani. E a questo scopo ha deliberato l’apertura di uno speciale ufficio di assistenza e di informazioni a cui è preposto un suo delegato.

Inoltre ha provveduto perché col prossimo Gennaio 1892 una speciale funzione religiosa sia celebrata nella Chiesa di S. Giovanni di Prè, vicinissima al porto, per ogni partenza di piroscafo per l’America[120].

 

 

«Comitati nelle regioni che all’emigrazione forniscono più largo contingente»

 

Qui in Italia, oltre al Comitato Centrale e a quelli costituiti e costituendi nei porti d’imbarco, era necessario fondarne altri nei centri più importanti, sopratutto nelle regioni che all’emigrazione forniscono più largo contingente, i quali raccogliessero aderenti e coadiutori, affinché l’azione di tutela possa esercitarsi veramente a vantaggio di coloro che ne hanno principale bisogno.

E a ciò rivolge precipalmente le sue cure il Comitato Centrale, al quale ho dato vita in passato e mi propongo di coadiuvare in seguito col mezzo di speciali conferenze, intese a far conoscere l’indole e la natura dell’opera.

Nello scorso inverno parlai al pubblico buono e cortese di Genova, di Roma, di Firenze, di Torino e di Milano; e sorsero così i Comitati in queste ultime quattro fra le principali città d’Italia, a Genova essendosi già formato fino dal cessato 1890. Il Comitato di Roma, oltre all’ufficio, come agli altri Comitati, di raccogliere i mezzi pecuniarii indispensabili, ha pure quello di essere organo di comunicazione per tutto quanto possa interessare l’Associazione sia presso la suprema Autorità Civile, sia presso la Congregazione di Propaganda. Esso non è ancora completo, ma un nucleo di giovani intelligenti ed attivi, a capo dei quali sta il Principe D. Luigi Boncompagni Ludovisi, ne ha assunta volonteroso la rappresentanza. Mi lusingo che presto, col concorso di autorevoli persone le quali assistono non indifferenti al doloroso spettacolo dell’emigrazione e ne riconoscono i bisogni, possa il Comitato di Roma completarsi in guisa da rendere all’Associazione quei servigi che la medesima a ragione se ne ripromette.

Accettarono di onorare rispettivamente i Comitati di Milano e di Firenze col nome e colla autorità, loro conferita dall’alto ufficio che occupano nella Gerarchia Ecclesiastica, gli Arcivescovi delle stesse città, quel venerando prelato che è Mons. di Calabiana e l’insigne Cardinale Bausa che tanto illustra colla sua dottrina e con le sue virtù la sacra porpora. Questi anzi si degnò di assumere egli stesso del Comitato fiorentino la presidenza effettiva, mentre presidente effettivo del Comitato di Milano è uno dei rappresentanti di quell’antica aristocrazia piemontese che tanti servigi ha resi alla patria nelle imprese di guerra e negli ordinamenti civili, il generale Thaon de Revel. Il Comitato di Torino è anche esso presieduto da un patrizio che porta degnamente un nome caro ed onorato, il Barone Antonio Manno.

Altri Comitati sono tuttora in forma embrionale o stanno per costituirsi a Treviso, a Brescia, a Cremona, a Bergamo, a Lucca ed altrove[121].

 

 

«Le attribuzioni dei comitati locali»

 

Le attribuzioni dei Comitati locali saranno più specialmente determinate nello Statuto definitivo sottoposto alle deliberazioni di un Congresso dei rappresentanti i Comitati già costituiti o in via di formazione, tenutosi in Piacenza nel mese di Settembre di quest’anno e le cui disposizioni sta presentemente coordinando il Comitato Centrale a seconda dell’incarico avutone.

Conoscendo gli intendimenti del Comitato Centrale posso affermare, essere suo pensiero che i Comitati nelle diverse provincie siano come intermediarii e mezzo di più sollecita e facile comunicazione fra esso, nel quale si concentra il servizio d’informazioni, e gli emigrati, e ciò mediante delegati e sotto-delegati sparsi in tutte le terre che forniscono un contingente qualunque all’emigrazione.

È necessario che gli emigranti conoscano i paesi d’immigrazione nel loro vero aspetto; ma è necessario altresì che ognuno di essi riceva consigli secondo la condizione personale propria e della propria famiglia. Ora, moltiplicando i Comitati e, per mezzo dei Comitati, i delegati e sotto-delegati (ufficio che nelle campagne possono assumere i Parroci, i maestri, i segretari comunali ecc.), ogni emigrante troverà a sé vicino una persona di fiducia la quale potrà consigliarlo con perfetta cognizione di causa. I delegati e sotto-delegati a loro volta, mediante i Comitati, e questi per mezzo del Comitato Centrale, ricevono e chieggono istruzioni, notizie ed informazioni attinte alle fonti più sicure, e sopratutto per mezzo dei Missionari stabiliti in America, in modo da poterne autenticare la verità. Oltre a ciò i Comitati provveggono per ottenere all’Opera la somministrazione dei mezzi che le sono indispensabili coadiuvati in questo da Comitati composti di signore fra le più distinte, come a Torino, Milano ecc[122].

 

 

«L’Associazione ha bisogno del concorso di tutti»

 

Per raggiungere i risultati benefici che si ripromette, l’Associazione ha bisogno del concorso di tutti coloro nel cuore dei quali vibra alto e sereno l’affetto di patria e che hanno un senso di pietà gentile per le sofferenze ed i bisogni dei fratelli i quali hanno abbandonato questa nostra terra comune. Conviene che essi divengano aderenti e cooperatori, o coll’obolo modesto o colla prestazione personale, dell’opera di patronato; conviene che le accordino il loro appoggio morale o materiale, e che ne diffondano la notizia.

Un’opera così vasta, difficile e complessa non esige soltanto un lavoro perseverante, un’abnegazione a tutta prova per parte de’ suoi capi; essa deve inoltre poter disporre di risorse proporzionate.

Ho ferma fiducia che questo appello non rimarrà inascoltato[123].

 

 

«È fondata la Società di San Raffaele negli Stati Uniti»

 

E’ fondata da due mesi la Società di San Raffaele negli Stati Uniti d’America.

L’articolo 1° del suo Statuto indica quali ne sieno gli scopi, e così:

a)      Assistere agli Italiani immigranti nel loro primo arrivo in America e procurare che non cadano in mano di gente disonesta.

b)      Assicurare ai medesimi, per quanto è possibile, impiego e lavoro.

c)      Vigilare che non manchi loro l’assistenza religiosa dopo lo sbarco e nei luoghi dove andranno a stabilirsi.

d)      Provvedere al più presto una casa, dove possano essere alloggiati gli immigranti poveri, i fanciulli e le fanciulle fin che sieno collocati o consegnati ai loro parenti.

L’art. 6° ed ultimo stabilisce, che la Società Italiana di S. Raffaele si mantenga in istretta relazione coll’analoga Società costituita in Italia sotto il titolo di Società Italiana di Patronato per gli emigranti italiani.

Così l’opera incominciata in Italia si completa nel nuovo Continente e continua ad accompagnare l’emigrante agli Stati Uniti, ove soltanto, fra le diverse regioni americane a cui si rivolge l’emigrazione nazionale, si è potuto fin qui organizzarne praticamente ed efficacemente l’assistenza e la protezione[124].

 

 

«Assistenza dal porto di Genova ai porti d’America»

 

Uno dei grandi bisogni dei nostri emigranti era quello di procurar loro l’assistenza nel porto d’imbarco a Genova. Quella povera gente era trattata colà quasi merce vilissima e peggio. Anche là parlai in pubblico sull’opera di S. Raffaele, parmi nel 1888, e quel venerando Arcivescovo che era Mons. Magnasco e l’ispettore del porto, il Cav. Malnate, mi pregarono con le lagrime agli occhi a mandare a Genova qualche missionario perché si occupasse di quegli infelici, traditi iniquamente e sfruttati in tutte le maniere. Appena mi fu possibile soddisfeci quel santo desiderio, che era pure mio, e impiantai là una casa. Il bene che i missionari vi operarono è incredibile. Essi per questo, e più di tutto per far scomparire tanti soprusi e tanti inganni, dovettero, è vero, esporsi alle ire degl’interessati e dei giornali massonici; ma colla grazia di Dio trionfarono di tutto. Ora la loro opera è universalmente apprezzata, ed il nome di P. Maldotti, il primo missionario inviato a Genova, e benedetto da tutti.

Appena si conobbe l’istituzione dei Missionari di S. Carlo e l’opera di S. Raffaele per i nostri connazionali emigranti, mi si scrisse da varie parti d’Italia, segnalando il grave bisogno di procurare l’assistenza agli emigranti durante la traversata del mare. Io feci tosto appello alle varie società di navigazione chiedendo l’andata ed il ritorno gratuito per quei sacerdoti che volessero prestarsi ad un’opera di tanta carità; ma una sola, la Veloce, rispose a tale appello volonterosa. Nondimeno erano dieci o dodici i sacerdoti che partivano ogni anno dal porto di Genova e accompagnavano i poveri espatriati. Sul piroscafo celebravano, predicavano, confessavano, assistevano infermi, che mai non mancavano. In una sola traversata morirono 18 persone. Fortunatamente il pre­te era sul piroscafo; potè assistere i moribondi e confortare colla parola e coll’esempio i superstiti. Così si continuò per quattro anni; ma la Veloce decadde dalla sua floridezza, ed anch’essa, purtroppo, dovette restringere la concessione, limitandola ai soli missionari di Genova. Se si avessero mezzi, oh, quanto maggior bene si potrebbe fare!

Un cenno speciale merita la Missione del Porto. I Missionari addetti vi sono riconosciuti come rappresentanti legali della emigrazione italiana presso il Labor Bureau o Ministero dei Lavori pubblici. Risiedendo essi così nel Barge Office o ufficio di immigrazione stabilito nel Porto, prestano assistenza pronta a tutti gli emigrati italiani che vi sbarcano, a quelli specialmente che sono loro raccomandati e che arrivano muniti di speciali tessere, rilasciate loro dai Comitati dell’Associazione di Patronato istituita in Italia[125].

 

 

Torna all’Introduzione

 



1 L’emigrazione italiana in America, Piacenza 1887, pp. 3-6.

2 I conferenza sull’emigrazione (AGS 5/3), tenuta a Roma 1’8.2.1891.

3 Ibid.

4 L’emigrazione italiana in America, Piacenza 1887, pp. 7-8.

5 Ibid., pp. 8-10.

6 Il disegno di legge sulla emigrazione italiana, Piacenza 1888, pp. 8-11. L’opuscolo ha il sottotitolo: «Osservazioni e proposte di Mons. Gio. Batt. Scalabrini Vescovo di Piacenza» ed è indirizzato «all’Onorevole Paolo Carcano Deputato al Parlamento Nazionale», già compagno di scuola dell’Autore, che tenta invano di contrastare il varo della legge del 1888, più favorevole ai proprietari terrieri che agli emigranti.

7 Ibid., pp. 32-33.

8 L’Italia all’estero, Torino 1899, pp. 10-11 (conferenza tenuta a Torino nel settembre 1898). «Simoun» o simùn è il vento violento e torrido del deserto sahariano.

9 L’emigrazione italiana in America, Piacenza 1887, pp. 29-31.

10 L’emigrazione degli operai italiani, Ferrara 1899: è il titolo convenzionale della Relazione letta dallo Scalabrini al Congresso Cattolico Nazionale di Ferrara nell’aprile 1899 e pubblicata in Atti e documenti del XXV Congresso Cattolico Italiano, Venezia 1899.

11 Ibid.

12 L’emigrazione italiana in America, Piacenza 1887, pp. 45-46.

13 L’emigrazione degli operai italiani, Ferrara 1899.

14 I conferenza sull’emigrazione (AGS 5/3).

15 L’Italia all’estero, Torino 1899, pp. 7-8.

16 Discorso al Catholic Club di New York, 15.10.1901 («L’Araldo Italiano - The Italian Herald», New York, 24.10.1901, p. 1).

17 Ibid.

18 Ibid.

19 Discorso a Curitiba, in Brasile, 28(?).8.1904 (AGS 3018/3).

[1] L’emigrazione italiana in America, Piacenza 1887, p. 50.

[2] Ibid., p. 53.

[3] L’emigrazione degli operai italiani, Ferrara 1899.

[4] Il disegno di legge sulla emigrazione italiana, Piacenza 1888, pp. 47-48.

[5] L’emigrazione italiana in America, Piacenza 1887, pp. 47-48.

[6] L’emigrazione degli operai italiani, Ferrara 1899.

[7] L’emigrazione italiana in America, Piacenza 1887, pp. 21-22.

[8] Lett. al Card. G. Simeoni, 4.4.1889 (AGS 3/4).

[9] L’emigrazione italiana in America, Piacenza 1887, pp. 28-29.

[10] L’Italia all’estero, Torino 1899, p. 23.

[11] L’emigrazione italiana in America, Piacenza 1887, pp. 53-54.

[12] Il disegno di legge sulla emigrazione italiana, Piacenza 1888, pp. 51-53.

[13] Ai Missionari per gl’Italiani nelle Americhe, Piacenza 1892, pp. 11-12.

[14] Lett. a Mons. J. Ireland, 12.3.1889 (AGS 3/1) (trad. dal francese). Mons. Ireland, arcivescovo di St. Paul, Minnesota, fu il principale interlocutore statunitense della S. Sede sui problemi dell’emigrazione.

[15] Lett. a Mons. M. A. Corrigan, 27.2.1888 (Archivi diocesani di New York). L’arcivescovo di New York fu il primo a sollecitare l’invio di missionari scalabriniani in America. P. Marcellino Moroni era stato inviato dallo Scalabrini a New York per prepararvi l’arrivo dei primi missionari.

[16] Lett. a P.G. Marchetti, 26.12.1884 (AGS 3023/2). «La missione di Nova Mantova ecc.» era stata aperta nel 1888 dagli scalabriniani nello Stato di Espirito Santo. P. Pietro Colbachini aveva dovuto abbandonare le «colonie» italiane di Curitiba nel 1894 per motivi politici. P. Giuseppe Marchetti, confondatore delle Suore Scalabriniane, fondò l’Orfanotrofio Cristoforo Colombo di San Paolo.

[17] Lett. al Card. G. Simeoni, 4.9.1889 (AGS 3/1).

[18] Memoriale sulla necessità di proteggere la nazionalità degli emigrati — A Leone XIII — Abbozzo del 1891 (AGS 3014/1). Nel marzo 1891 lo Scalabrini fu incaricato da Leone XIII di stendere un memoriale «sulla necessità di proteggere le varie nazionalità» degli emigrati. Il memoriale fu scritto dal march. G.B. Volpelandi sotto ispirazione, se non sotto dettatura, di Mons. Scalabrini.

[19] Ibid.

[20] Ibid.

[21] Ibid.

[22] Ibid.

[23] «Il Progresso Italo-Americano», 7.8.1901, p. 1.

[24] Lett. agli italiani di Boston, 28.10.1891, cit. da V. Gregori, Venticinque anni di Missione tra gli Immigrati Italiani di Boston, Mass., 1888-1913, Milano 1913, p. 246.

[25] Lett. al Card. A. Agliardi, 1898 (AGS 3020/2).

[26] Lett. a E. Schiaparelli, 30.1.1888 (AGS 2/1). L’egittologo Ernesto Schiaparelli era segretario dell’Associazione Nazionale per soccorrere i missionari cattolici italiani, di Firenze, e fu il primo segretario dell’Opera Bonomelli.

[27] Lett. al Card. G. Simeoni, 12.10.1890 (AGS 4/1). Il Cardinale rispose affermativamente.

[28] Lett. al Card. M. Ledóchowski, 17.2.1902 (AGS 9/2). Il Card. Miecislao Ledóchowski succedette al Card. Giovanni Simeoni come Prefetto di Propaganda Fide.

[29] Lett. a Pio X, 22.7.1904 (AGS 3019/3).

[30] Lett. a un comitato italiano di New York, 10.12.1890 (AGS 3023/2). L’Ospedale Cristoforo Colombo fu aperto da P. Felice Morelli e poi acquistato da S. Francesca Saverio Cabrini.

[31] Lett. al Card. G. Simeoni, 16.2.1887 (AGS 1/1).

[32] Lett. a Pio X, 22.7.1904 (AGS 3019/3).

[33] Lett. al Card. R. Merry del Val, 5.5.1905 (AGS 3020/1). Il testo integrale del memoriale fu pubblicato da M. Francesconi, Un progetto di Mons. Scalabrini per l’assistenza religiosa agli emigrati di tutte le nazionalità, «Studi Emigrazione», N. 25-26, marzo-giugno 1972, pp. 185-203.

[34] Lett. al Card. R. Merry del Val, 17.5.1905 (AGS 3020/1).

[35] Lett. al Card. G. Simeoni, 11.1.1887 (AGS 1/1). Il sacerdote ex-discepolo dello Scalabrini era P. Francesco Zaboglio, primo vicario generale dei missionari scalabriniani.

[36] Lett. al Card. G. Simeoni, 16.2.1887 (AGS 1/1)

[37] Lett. a Leone XIII, 13.6.1887 (AGS 1/1). Lo Scalabrini presenta al Papa il suo primo opuscolo sull’emigrazione: L’emigrazione italiana in America, stampato a Piacenza nel giugno 1887.

[38] Lett. al Card. G. Simeoni, 21.9.1887 (AGS 1/3). Mons. Domenico Jacobini, poi cardinale, era Segretario di Propaganda Fide.

[39] Relazione dell’Opera dei Missionari di S. Carlo per gli emigrati italiani, 10.8.1900 (AGS 7/5).

[40] Regolamento della Congregazione dei Missionari per gli emigranti, 1888 (AGS 127/2).

[41] Lett. al Card. G. Simeoni, 16.12.1887 (AGS 1/5). La prima sede provvisoria degli scalabriniani fu un locale dell’edificio parrocchiale annesso alla basilica di S. Antonino. I «tre già ammessi», che fecero la «prima professione» il 28 novembre 1887, erano P. Giuseppe Molinari, P. Domenico Mantese e il can. Domenico Costa, prevosto di S. Antonino, primo superiore.

[42] Dell’assistenza alla emigrazione nazionale e degli Istituti che vi provvedono, Piacenza 1891, pp. 4-10. Le «suore salesiane del Sacro Cuore» erano quelle fondate dalla Madre Cabrini.

[43] Relazione dell’Opera dei Missionari di S. Carlo per gli emigrati italiani, 10.8.1900 (AGS 7/5). Chiesa «dell’Ascensione»: più  precisamente: «della Risurrezione», la prima cappella officiata dagli scalabriniani a New York.

[44] Ibid.

[45]Lett. a P. P. Colbachini, 15.2.1899 (AGS 3023/22). La storia della fondazione delle Suore Missionarie di S. Carlo Borromeo (Scalabriniane) appare complicata, perché la documentazione presenta dei vuoti. Qui e altrove lo Scalabrini parla di «alcune circostanze provvidenziali» che lo portarono alla fondazione delle Suore. Una gli fu offerta dalle Apostole del  S. Cuore di Gesù, in procinto di fallimento, alle quali pochi giorni prima di scrivere a P. Colbachini il vescovo propose di «salvarle» purché si dedicassero agli emigrati. La «circostanza» più importante e determinante, però, fu l’iniziativa di P. Giuseppe Marchetti, che presentò a Mons. Scalabrini sua sorella, Madre Assunta Marchetti, la mamma Carolina e altre due giovani. Le quattro, destinate all’Orfanotrofio Cristoforo Colombo di San Paolo in Brasile, emisero i primi voti privati nelle mani di Mons. Scalabrini che le «inviò» in Brasile, consegnò il velo e diede le indicazioni per le prime Costituzioni, il 25 ottobre 1895. Questa è la data della «fondazione morale» delle Suore Scalabriniane. La «fondazione giuridica» fu fatta dal vescovo di Piacenza il 10 giugno 1900, con il titolo di Apostole Missionarie del S. Cuore: il nuovo Istituto comprendeva sia le suore raccolte da P. Marchetti, sia le Apostole fondate da Madre Clelia Merloni. La fusione dei due gruppi, però, non riuscì, e i due Istituti si separarono nel 1907 (cfr. Biografia, pp. 1067-1107). Si tenga presente, nelle seguenti citazioni, che per «Apostole del S. Cuore» lo Scalabrini intende la Congregazione composta dai due gruppi.

[46] L’Italia all’estero, Torino 1899, p. 22. La fondazione dell’Orfanotrofio Cristoforo Colombo fu all’origine della fondazione delle Suore Scalabriniane.

[47] E. Martini, Memorie sulla fondazione della Congregazione delle Suore Missionarie di S. Carlo (AGS 103/8). Queste parole furono dirette alle prime quattro Suore Scalabriniane il 25 ottobre 1895.

[48] Lett. a P. F. Consoni, 12.3.1897 (AGS 103/2). P. Faustino Consoni successe a P. G. Marchetti nella direzione dell’Orfanotrofio Cristoforo Colombo.

[49] Lett. a M. C. Merloni, 22.2.1899 (Archivio Generale delle Apostole del  S. Cuore di Gesù, Roma).

[50] Lett. a P. F. Consoni, 8.8.1900 (AGS 103/2).

[51] Relazione dell’Opera dei Missionari di S. Carlo per gli emigrati italiani, 10.8.1900 (AGS 7/5). Le «suore missionarie di Codogno»  sono le Missionarie del S. Cuore fondate da  S. Francesca  S. Cabrini.

[52] Lett. a C. Mangot, 14.7.1904 (AGS 3022/22). Il «Vescovo» di San Paolo era Mons. José de Camargo Barros. Suor Marcellina Viganò fu la seconda superiora generale delle Apostole del S. Cuore di Gesù. Suor Candida Quadrani, Figlia di S. Anna, era la direttrice dell’Istituto Sordomute fondato da Mons. Scalabrini.

[53] Lett. a P. F. Zaboglio, 9.11.1888 (Archivio del Seminario di Como).

[54] Lett. a P. F. Zaboglio, 20.1.1891 (ibid.). P. Felice Morelli aveva comprato un terreno a Long Island, N.Y., in vista di un seminario scalabriniano, ma dovette presto rivenderlo per pagare i debiti della parrocchia di S. Gioacchino.

[55] Lett. a P. F. Zaboglio, 4.3.1892 (ibid.).

[56] Lett. a Leone XIII, luglio 1892 (AGS 6/3). La lettera, redatta dallo Scalabrini, fu sottoscritta da 6 cardinali, 7 arcivescovi e 37 vescovi.

[57] Ibid. il primo «Cardinale Protettore» dei missionari scalabriniani fu Agostino Bausa, arcivescovo di Firenze.

[58] Circolare ai vescovi d’Italia, 14.1.1893 (AGS 7/1).

[59] Lett. all’arcivescovo di Monreale, 17.10.1888 (AGS 3024/4).

[60] Circolare ai vescovi d’Italia, 22.2.1904 (AGS 9/4).

[61] Lett. al Card. G. Simeoni, 7.12.1888 (AGS 2/1).

[62] Ai Missionari per gl’Italiani nelle Americhe, Piacenza 1892, pp. 7-8. La «lettera aperta» porta la data del 15.3.1892.

[63] Lett. a Mons. W. H. Elder, 21.6.1893 (trad. dal latino) (Archivio diocesano di Cincinnati, Ohio).

[64] Lett. a Mons. M. A. Corrigan, 9.9.1893 (Archivi diocesani di New York). P. Felice Morelli fu il primo superiore provinciale degli scalabriniani negli Stati Uniti. Suo successore fu P. Domenico Vicentini.

[65] Lett. a Mons. M. A. Corrigan, 10.8.1891 (Archivi diocesani di New York). Per il «Memoriale di Lucerna», che domandava rappresentanti dell’emigrazione nell’episcopato Americano, e per il «cahenslysmo», cfr. Biografia, pp. 969-974.

[66] Istruzioni per P. F. Zaboglio, 4.6.1888 (AGS 3023/1).

[67] Lett. a Mons. Thiel vescovo di Costarica, 20.3.1889 (302 1/9) (trad. dal francese).

[68] Discorso ai missionari partenti, 12.7.1888 (AGS 3018/2).

[69] Id., 24.1.1889. L’arcivescovo di St. Paul, Minn., era Mons. J. Ireland.

[70] Id., 10.12.1890.

[71] Id., 9.9.1891.

[72] Lett. a Pio X, agosto 1904 (AGS 3019/3). «II Presidente dello Stato»: del Paranà, in Brasile.

[73] Lett. a P. M. Simoni, 31.3.1905 (AGS 3023/2). P. Marco Simoni e altri scalabriniani curarono la parrocchia di Tibagi, PR, nella quale vivevano alcune tribù di indios, dal 1904 al 1911.

[74] Lett. al Card. G. Simeoni, 4.10.1890 (AGS 4/1) (cfr. Biografia, pp. 1032-1033).

[75] Lett. a P. M. Rinaldi, 21.4.1900 (AGS 3023/2). P. Massimo Rinaldi, missionario in Brasile dal 1900 al 1910, fu poi procuratore generale degli scalabriniani fino al 1924 e quindi vescovo di Rieti. Morì in concetto di santità nel 1941.

[76] Id., 29.8.1900. Rinaldi era segretario dello zio, vescovo di Montefiascone.

[77] Lett. a P. D. Vicentini, 9.9.1893 (AGS 3023/2). Mons. Francesco Satolli, poi cardinale, fu il primo Delegato Apostolico negli Stati Uniti.

[78] Lett. a Mons. F. Satolli, 14.9.1893 (ASV, Deleg. Apost. USA, 1, Varie, Documenti, 2-159-4-1).

[79] Regolamento della Congregazione dei Missionari per gli emigranti, 1888 (AGS 127/2).

[80] Lett. al card. M. Ledóchowski, 26.9.1894 (AGS 7/2).

[81] Lett. a P. D. Vicentini, settembre 1894 (AGS 3023/2).

[82] Fogli del diario autografo (AGS 3027/2).

[83] Appunti per la prima professione dei voti perpetui, 8.12.1894 (AGS 7/2).

[84] Appunti del discorso per la professione dei PP. Sovilla e Bertorelli, 8.12.1891 (AGS 3018/2).

[85] Regola della Congregazione dei Missionari di S. Carlo per gli italiani, Piacenza 1895, pp. 73-74.

[86] Ai Missionari per gl’Italiani nelle Americhe, Piacenza 1892, pp. 3-4.

[87] Ibid., pp. 4-5.

[88] Ibid., pp. 5-6.

[89] Ibid., pp. 6-7.

[90] Ibid., pp. 13-14.

[91] Lett. a P. O. Alussi, 26.8.1893 (AGS 3023/2).

[92] Lett. a P.C. Pedrazzani, 16.5.1905 (AGS 357/2).

[93] Lett. a P.F. Zaboglio, 31.8.1895 (Archivio del Seminario di Como).

[94] Id., 21.9.1895.

[95] Id., 23.9.1895.

[96] Id., 11.12.1896.

[97] Lett. a Gherardo Pio di Savoia, 26.12.1894 (AGS 7/2). Il conte Gherardo Pio di Savoia fu console generale d’Italia a Rio de Janeiro e a San Paolo.

[98] Lett. a P.F. Zaboglio, 17.10.1888 (Archivio del Seminario di Como).

[99] Lett. a un missionario, s.d. (AGS 3023/2).

[100] Lett. al Can. A. Valdameri, luglio 1891 (AGS 3022/32).

[101] Lett. a P. D. Vicentini, 5.3.1892 (AGS 3023/2). La «nuova casa con la Chiesa» è l’Istituto Cristoforo Colombo con annessa chiesa di S. Carlo, casa madre degli scalabriniani, acquistata nel 1892.

[102] Lett. a P. P. Novati, 2.4.1905 (AGS 3023/2). P. Paolo Novati fu superiore provinciale negli Stati Uniti dal 1901 al 1905.

[103] Ai Missionari per gl’Italiani nelle Americhe, Piacenza 1892, pp. 9-10.

[104] Circolare ai superiori locali, 15.2.1893 (AGS 7/1).

[105] Lett. a P. F. Zaboglio, 29.11.1895 (Archivio del Seminario di Como).

[106]  Il disegno di legge sulla emigrazione italiana, Piacenza 1888, p. 6-7.

[107] L’Italia all’estero, Torino 1899, pp. 8-9.

[108] Ibid., pp. 9-10.

[109] Il disegno di legge sulla emigrazione italiana, Piacenza 1888, pp. 34-37.

[110] L’emigrazione italiana in America, Piacenza 1887, pp. 24-28.

[111] Il disegno di legge sulla emigrazione italiana, Piacenza 1888, pp. 29-30.

[112] L’Italia all’estero, Torino 1899, p. 15. I due disegni di legge furono approvati dal parlamento nel 1901.

[113] L’emigrazione degli operai italiani, Ferrara 1899.

[114] Appunti per una conferenza sull’emigrazione (AGS 3014/6).

[115] Lett. a G. Bonomelli, 2.3.1900 (Carteggio S.B., p. 357). La presidenza dell’Opera di assistenza agli italiani emigrati in Europa, fondata dal Bonomelli nel 1900, fu affidata a laici.

[116] Id., 24.4.1900 (ibid., p. 359). «I Vescovi in cilindro» erano i laici «intransigenti», dirigenti dell’Opera dei Congressi, ai quali i vescovi di Piacenza e di Cremona rimproveravano la tendenza a scavalcare i vescovi.

[117] Lett. a Mons. D. Jacobini, 2.7.1887 (AGS 1/1).

[118] L’emigrazione italiana in America, Piacenza 1887, pp. 41-44.

[119] I conferenza sull’emigrazione (AGS 5/3).

[120] Dell’assistenza alla emigrazione italiana e degli Istituti che vi provvedono, Piacenza 1891, pp. 13-16. La Raphaelsverein fu fondata da Peter Paul Cahensly.

[121] Ibid., pp. 18-20.

[122] Ibid., pp. 20-22.

[123] Ibid., pp. 22-23.

[124] Ibid., pp. 16-17.

[125] Relazione dell’Opera dei Missionari di S. Carlo per gli emigrati italiani, 10.8.1900 (AGS 7/5). La missione del Porto, di cui si parla nelle ultime righe, era quella di New York. Per questa e per la missione al porto di Genova, cfr. Biografia, pp. 1133-1147.