PARTE III

 

UOMO DELLA PAROLA E PER LA PAROLA

 

 

 

Lo Scalabrini dichiara esplicitamente che le sue iniziative apostoliche più caratteristiche (catechesi, visite pastorali, emigrati, sordomuti) non sono che adempimento del mandato missionario di Cristo: «Andate e insegnate». È l’uomo del kerigma, dell’annunzio missionario del Vangelo.

Nella diocesi di Piacenza adotta un nuovo stile pastorale, contrassegnato dall’amministrazione intensa della Parola e dei Sacramenti, guidato da un’ardente «sete delle anime» e caratterizzato dal contatto diretto con tutto il popolo, di tutte le classi, in tutti i luoghi.

Cinque visite pastorali condotte personalmente in oltre 300 parrocchie, tre sinodi diocesani, settanta lettere pastorali sono una prova concreta della sua aspirazione a farsi tutto a tutti per guadagnare tutti a Cristo.

Convinto che l’istruzione religiosa è il gran mezzo dell’educazione cristiana, ridà alla catechesi il primato nell’evangelizzazione e nella ricristianizzazione di una società in rapida scristianizzazione per l’anticlericalismo, il razionalismo e il materialismo. Si fa quindi pioniere del nuovo movimento catechistico, chiamando al ministero della catechesi migliaia di laici, mirando a fare dei genitori i primi catechisti dei figlioli, in seno alla famiglia, «chiesa domestica» in cui si prega e si legge il Vangelo.

Il «guai a me se non evangelizzo!» trova espressioni realistiche nell’istruzione dei sordomuti, nell’ideale evangelico, non limitato agli handicappati fisici, di ridare l’udito ai sordi e la parola ai muti, e nel ricupero della sacralità della festa, giorno della celebrazione gioiosa e comunitaria del banchetto della Parola e del Pane eucaristico.

 

 

 

 

1. PASTORE

 

«Il bene delle anime soprattutto» è l’obiettivo dell’azione e dell’attività sacerdotale ed episcopale: alla salvezza degli uomini sono subordinati scelte e comportamenti. L’apostolo non può rimanere chiuso nel tempio: come il Buon Pastore esce dalla tenda, esce dalla sagrestia, va in cerca delle pecore disperse nei piani e sui monti, per «predicare a tutti Gesù Cristo e questi crocifisso», pronto a dare la vita, prodigo di tutte le forze fisiche e morali.

Fides ex auditu, auditus autem per Verbum Christi. Cristo è il Verbo; «la parola di Cristo non è meno del corpo suo». «La Chiesa senza predicazione sarebbe un’utopia, il sacrificio senza la parola sarebbe una commemorazione inefficace».

L’istruzione senza l’educazione è sterile. Papa, vescovi, sacerdoti e genitori hanno il diritto e il dovere inalienabile di educare. La famiglia, seconda anima dell’umanità, è il luogo della prima educazione cristiana. Il giorno festivo è il tempo dell’istruzione e dell’educazione nella fede: il momento in cui tutte le famiglie diventano una sola famiglia e anticipano la Gerusalemme celeste.

 

 

a) UNA NUOVA PASTORALITÀ

 

«Quelli che mi desti li ho custoditi»

 

Pregate anche per me che in questo dì, vigesimo anniversario della mia consacrazione a Vescovo delle anime vostre, sento più che mai il carico della responsabilità che ho per voi innanzi a Dio. Pregate, o miei buoni e carissimi figli, perché Egli mi conceda la grazia di amarvi sempre come vi amo, e che giunto all’estremo della mia vita, nel riconsegnarvi a Lui, io possa dirgli con serena fiducia: Padre, quelli che mi desti ho custoditi, e niuno di essi è andato perduto!1.

 

 

«Guadagnar tutti a Cristo, ecco la costante, la suprema aspirazione dell’anima mia»

 

Sei lustri ormai sono scorsi, dacché questa eletta porzione del gregge di Cristo veniva alle mie cure affidata, e di questa a Lui dovrò un giorno, che non può essere lontano, rendere strettissimo conto. Potrò io dirgli con serena fronte: Signore, quelli che mi desti li ho custoditi e nessuno di loro si è per mia colpa perduto?

Pensiero terribile che mi sta del continuo innanzi alla mente, e che mi stringe, mi sprona a riparar con una visita generale, diligentissima, alla mancanza e ai difetti del mio non breve governo episcopale.

Vi annunzio pertanto, fratelli e figli miei, che ho stabilito di intraprendere personalmente la sesta Visita pastorale di tutte e singole le parrocchie della diocesi.

Se dovessi guardare alla mia età, dovrei certo andarne sgomento; ma è così vivo in me il desiderio di rivedervi ancora una volta e di indirizzarvi ancora una volta la mia parola di pastore e di padre, che ogni difficoltà mi par nulla, e leggiera mi sembra ogni fatica.

Del resto non in me stesso confido, conscio qual sono della mia pochezza, ma nell’aiuto del supremo Pastore Cristo Gesù; di Lui che recavasi attorno per le città e per i villaggi, evangelizzando e sanando ogni infermità fra il popolo, e che, dopo aver bagnato dei suoi sudori la terra, diede per le sue amate pecorelle il sangue e la vita.

Nel nome di Dio adunque verrò a voi, dilettissimi; e verrò per annunziarvi i suoi voleri, per richiamarvi le verità eterne, per premunirvi dal veleno dell’errore, per correggere, se mai vi fossero, abusi, per ricondurre all’ovile la pecorella smarrita, per chiamare sul capo dei vostri figli le benedizioni del cielo, per pregare con voi l’eterno riposo ai vostri cari defunti, per recare a tutti i conforti dello spirito e animarvi al bene.

Me felice, se al termine della visita potrò in verità ripetere coll’Apostolo: Mi sono fatto tutto a tutti per guadagnar tutti a Cristo.

Guadagnar tutti a Cristo, ecco la costante, la suprema aspirazione dell’anima mia2.

 

 

«Il bene delle anime soprattutto»

 

Avete però fatto benissimo a dire chiare le cose come sono, e non mi offende punto che abbiate spedito qualche mia lettera là, dove credeste opportuno spedirle, giacché voi sapete che io ho nulla di secreto coi superiori. L’amor proprio soltanto se ne risente un pochino, trattandosi di lettere confidenziali ad un amico del cuore qual siete voi, e quindi buttate giù proprio, come suol dirsi, alla carlona.

Del resto, la verità, la giustizia, il bene delle anime soprattutto, ecco la mia, come la vostra ambizione.

Non ci perdiamo di coraggio, caro amico; calma, fortezza e preghiera; fisso lo sguardo a Gesù Cristo e fidenti in Lui solo3.

Ho, a chi ci intendiamo, scritto e più volte e sempre forte e alto, forse troppo alto. Gli ho detto perfino che presto dovrà trovarsi innanzi a Dio, al quale dovrà rendere conto dell’esercito di anime, che si va perdendo, e dei dolori ineffabili causati ai Vescovi, i quali non hanno ormai più libertà né di parola, né di azione, perché sopraffatti dalla inframettenza dei laici, incoraggiati e premiati da chi dovrebbe infrenarli; e più dal solito partito farisaico, tollerato, e più favorito nell’atto che va scomponendo l’ordine gerarchico istituito da G.C. ecc. ecc. (...).

Io seguo la mia strada profondamente persuaso che i Vescovi fedeli ed ossequiosi non sono già coloro che, per malinteso rispetto, fomentano certi inganni e forse se ne valgono, ma coloro, e sono pochi, poveri minchioni! che sacrificano la loro pace, il loro avvenire e tutto, perché il Santo Padre sia fatto accorto dell’inganno e sia libera la Chiesa dalle disastrose conseguenze degli errori4.

Pur troppo le cose vanno male e male assai. Tutti lo veggono, e nessuno pensa al rimedio! Non c’è proprio da sperare più che in Dio. Ora che neanche le trombe più sonore bastano a scuotere dal sonno i dormienti, e a far crollare le ultime illusioni, lasciamo un po’ fare a lui. Noi tiriamo innanzi tranquilli e pensiamo a salvar il maggior numero di anime che possiamo. Non può mancarci l’amore dei buoni e la ricompensa di Dio5.

Per me... non est salus nisi a Domino. Farci frati, diventare Savonarola? Sarebbe buona cosa la prima per chi ha vera vocazione; gloriosa la seconda per chi si sente da tanto; ma sarà miglior cosa, forse, non ne far niente; attendendo col maggior impegno possibile a promuovere la gloria di Dio e il bene delle anime, sicuri che si scimus tacere et pati videbimus auxilium Domini.

Lavoriamo intanto, preghiamo e speriamo tempi migliori6.

 

 

«Signore, abbi pietà del Pastore, pietà del gregge!»

 

Figliuoli miei dilettissimi, ascoltate la voce di chi non cerca, non desidera, non vuole altro che il vostro bene. Più volte vi dissi, e m’è dolce ripeterlo, che incessante oggetto di consolazione e di gioia mi è la vostra fede, la vostra pietà, il vostro devoto e sincero attaccamento alla Chiesa; pure io non posso dissimulare, devo dirvelo per dovere di coscienza, guai a me se tacessi! il male è anche fra noi, ed assai grave. O Piacenza! o città prediletta, pensa alla fede dei tuoi padri; vedi come sei scaduta dall’antica grandezza! Chi ti tradì? chi ti ridusse a tale? Giacché molti io vedo fra le tue mure i quali vivono dimentichi d’ogni dovere che loro impone la fede, che la oltraggiano con sataniche bestemmie, che offendono continuamente Dio con una vita affatto pagana, che profanano i suoi giorni santi, che si danno alla lettura di libri e giornali blasfemi, che osteggiano la Chiesa e i suoi fedeli ministri, che si lasciano trasportare come fanciulli da ogni vento di dottrina, solo che venga annunziato loro con ciarlatana gravità e con ignorante orgoglio da uomini astuti e turbolenti. Deh, che fate, figli miei? Sono queste adunque le opere della vostra fede? è così che rispondete ai benefizi, dei quali vi fu largo il Cielo? Vergogna vostra, vergogna della vostra città! Non vedete che operando in questa maniera vi rivoltate con matta superbia contro l’Onnipotente, che contristate i Santi vostri Patroni e l’istessa Madre di Dio e madre vostra, Maria Santissima? Deh, Signore, ascolta il gemito dell’anima mia profondamente amareggiata! Perché mi serbasti tu in questo tempo di aberrazione e di delitto? Quando avranno fine questi giorni di turbamento e di profanazione sacrileghe? Deh, Signore, abbi pietà del Pastore, pietà del gregge!

Non mancano però, in mezzo ai dolori, i conforti. È conforto, o miei cari, il pensiero che c’è lassù chi tien conto di tutto ciò che soffriamo, e che prima di Noi fu sofferto dal Nostro divino Duce e Maestro. È conforto, anzi è balsamo soavissimo, la coscienza di patire per la giustizia, e di patire senza odio, anzi con amore di chi ci perseguita, perché si converta e viva7.

 

 

«Tali pastori si richiedono ai giorni nostri»

 

II parroco poi, come ben sapete, e il debitore di tutti, sempre pronto ad aiutare tutti. Si devono tuttavia evitare due eccessi opposti.

Parliamo praticamente, come conviene ad un padre.

Alcuni si dedicano cosi intensamente alla salvezza degli altri, da perdere a poco a poco lo spirito, finendo col perdere se stessi senza guadagnare gli altri. Si ricordino che potranno giovare agli altri solo nella misura in cui gioveranno a se stessi. Perciò anzitutto coltivino la pietà, perché «pietas ad omnia utilis est», ma specialmente alle opere del ministero. Meditino le parole di Cristo Signore: «Sicut palmes non potest ferre fructum a semetipso nisi manserit in vite, sic nec vos nisi in me manseritis» (Jo. 15, 12). Perciò non trascurino mai se stessi, ma siano solleciti della propria santificazione (...).

Altri, invece, si stabiliscono nella loro casa parrocchiale, come i negozianti nelle loro botteghe. Se sono richiesti, sono subito a disposizione, né trascurano l’istruzione dei fedeli presenti; ma per il resto non sono mossi da nessun zelo. Non pensano alle necessità e ai pericoli delle loro pecorelle: trascurano per prudenza intempestiva, pusillanimità o indolenza i mezzi necessari. Questi uomini si possono paragonare alle bandiere, issate bene in vista sui torrioni, che non sventolano né si increspano per soffiar di venti. Ne parla il Profeta: «Nihil patiebantur super contritione Israel» (Amos 6, 6). Non dev’essere così la vita di un pastore. Ricordate bene che cosa abbia comandato il padre di famiglia al suo servo:«Exi in viam et saepes et compelle intrare» (Luc. 14, 21-24).

Tali pastori, pieni di zelo, assolutamente si richiedono ai nostri giorni8.

 

 

«Uscite di sagrestia, ma uscite per santificare»

 

Voi primieramente, venerabili fratelli e cooperatori miei dilettissimi, ritempratevi ognor più nello spirito della vostra vocazione. Proseguite animosi nelle vostre parrocchiali fatiche, ché non debbono esser premiate dal mondo, ma da Colui che vi ha chiamati all’onore inestimabile di rivestire la sua divina Persona nell’opera di salvare le anime. Raddoppiate di operosità e di vigilanza, parlate chiaro e parlate alto, affine di premunire i vostri greggi dalle arti dei seduttori. In questo tempo massimamente, promovete con tutto zelo nel popolo la istruzione e la pietà. Uscite pure, come oggi suol dirsi di sagrestia, ma pieni la mente e il cuore dello Spirito Santo, uscite per santificare. I sacrifizi del vostro santo ministero sono grandi, grandissimi oggi ch’egli è tanto attraversato da ogni maniera di ostacoli, ma essi, infino al più lieve, sono tutti contati lassù. Pazienza adunque e coraggio!9.

 

 

«Usciamo dalle nostre tende!»

 

Oggi, come si esprime benissimo un insigne letterato moderno, non è più consentito starcene neghittosi nelle nostre case sospirando o piangendo, quando il fuoco della miscredenza e della immoralità si dilata e minaccia di distruggere (come umano fuoco può fare) l’arca della fede nelle nostre contrade. Usciamo dunque dalle nostre tende; e innanzi tutto ricordiamoci che non abbiamo altre armi che la fede e la carità. Con queste armi entriamo, secondo che le leggi civili e la coscienza di cattolici consentono, nella vita pubblica, senza guardare a parti politiche; pronti a morire anziché venire a patti mai col falso e l’ingiusto. Entriamo nella vita pubblica, non come nemici del potere costituito, ma come instancabili avversari del male, ovunque esso sia; entriamoci come uomini d’ordine che sappiano, seguendo l’esempio di Cristo e della sua Chiesa, tollerare anche il male; ma approvarlo o farlo essi stessi, non mai10.

 

 

«La Visita Pastorale e la celebrazione del Sinodo»

 

Voi siete il Nostro gaudio e la Nostra corona, né pericolo di catastrofe, né violenza di circostanze inopinate, né tribolazioni di sorta alcuna, varranno mai a separarci da voi; e deh, con Gesù Cristo, Pastore eterno delle anime Nostre, possiamo Noi dire con verità quando sarà tempo: Padre, quegli che mi desti ho custoditi, e nessuno di essi si è perduto (...).

La tristezza dei tempi, lo scompiglio delle passioni, l’audacia dei partiti (che giova illuderci?), produssero altrove gravissimi mali e non lasciarono intatta la Nostra Diocesi (...).

Un certo spirito di egoismo e d’interesse si sforza d’invadere anche le classi meno agiate e spingerle a illeciti guadagni. Che più? la crescente generazione è affascinata da ridenti menzogne e studiasi ogni via per strapparla, se fosse possibile, ad ogni giogo, tranne a quello delle passioni. Ah, noi varchiamo un periodo di storia, che potrebbe riuscir fatale alla salvezza di molti! e ci preme nel più vivo dell’anima che tutti i Nostri buoni figliuoli abbiano a scampare da ogni laccio in questo secolo tenebroso, abbiano a tenersi costantemente nella via della verità e della giustizia.

Ciò accadrà senza dubbio, o Dilettissimi, se la fede non cesserà di regnare nel vostro cuore; se in ogni occasione vi manterrete docili alle materne cure e prescrizioni della Chiesa; se penserete sempre che un giorno a nulla varranno gli applausi del mondo, a nulla la protezione dei grandi, a nulla le ricchezze accumulate, a scapito della carità; ma che solo un’anima senza peccato, una coscienza retta e giusta innanzi a Dio, una vita rassegnata e piena di buone opere avranno diritto di ricompensa eterna (...).

A voi, Ven. Fratelli, pupilla degli occhi Nostri e sostegno della Nostra debolezza, altra raccomandazione non faremo che questa: leggete e meditate assiduamente, senza stancarvi mai, tutto ciò che di vostro comune accordo abbiamo prescritto nel Sinodo, venuto testé alla luce, essendo Nostra intenzione che esso entri pienamente in vigore, per tutta la Diocesi, col giorno 15 del prossimo Ottobre.

Quanto più a questo codice uniformerete la vostra condotta, tanto più santificherete voi stessi e santificherete gli altri, e sopra voi stessi e sopra gli altri attirerete le benedizioni di Dio (...).

La sacra Visita Pastorale e la celebrazione del Sinodo, ecco pertanto, V.F. e D.F., due gravissimi e importantissimi obblighi del Nostro Pastoral Ministero, coll’aiuto del Dio, felicemente compiuti11.

 

 

«Senza perderci nel passato, bensì preparando l’avvenire»

 

Grazie mille della cortese ed edificante sua lettera. Parmi che lo Spirito Santo le abbia concesso il sensum Christi per conoscere sì presto e sì bene lo stato della sua Diocesi.

Il clero che vive isolato sulla montagna, in generale, è buono, senza pretese, devoto al Vescovo. Più che di correzioni e di atti autoritari, abbisogna di incoraggiamento e di spinte amorevoli a fare il bene secondo i tempi. Non avrà pene dal suo Clero, parlo, ripeto, in generale.

Sì, ven. confr., bisogna, senza perderci nel passato, bensì preparando l’avvenire, ridestare nella generazione crescente lo Spirito cristiano, mezzo rovinato in gran parte degli adulti. Cosa non troppo difficile, se Dio le concederà la grazia di fare quello che medita. L’onda religiosa di spirito cristiano, per mezzo dei giovani raccolti negli oratorii, potrà far penetrare nelle famiglie. Queste sono sempre sensibilissime al bene che si fa ai loro figliuoli. Aver cura dei fanciulli e degli infermi, ecco i due mezzi per guadagnar tutto a Dio. È ciò che ripeto ai Parroci della mia Diocesi12.

 

 

«Instaurare omnia in Cristo»

 

È assolutamente necessario riporre Iddio alla testa della società; ricondurre gli uomini a Gesù Cristo, via, verità e vita; richiamarli alla Chiesa, madre, maestra, tutrice e vindice d’ogni diritto e d’ogni legittima autorità; è necessario educare cristianamente la gioventù, santificare la famiglia, ristabilire, a norma delle prescrizioni e costumanze cristiane, l’equilibrio fra le diverse classi sociali, camminare nella professione franca ed aperta della fede, esercitarsi in ogni opera di carità, senza verun riguardo a se stessi ed a vantaggi terreni; è necessario, in una parola, ristorare ogni cosa in Cristo. Qui è il rimedio ai Nostri mali; qui, qui solo è riposto il segreto di quella grandezza e di quella forza che valgono ad assicurare la pace e la prosperità così delle famiglie come delle nazioni13.

 

 

«Sarei disposto anche al sacrificio della vita»

 

Non abusate più oltre della bontà, pazienza e longanimità divina, non vi illudete più oltre. Scuotetevi dal vostro sonno di morte, rientrate in voi stessi, ritornate a coscienza, riconciliatevi con Dio. Questa è la preghiera del vostro pastore e padre che sinceramente vi ama. Abbiate, o miei cari, pietà di voi stessi. Temete, oh! si, temete che venga dì, in cui per vostro infortunio estremo cerchiate tempo a penitenza, senza poterlo trovare. Se oggi udite la voce del Signore, fate e fate tosto. Vi spaventa forse il numero e la gravità delle colpe? O temete che Dio, da voi tanto offeso, non sia per accogliervi amorevolmente? Ah! se io, misera creatura, sfornito qual sono di ogni virtù, adesso tanto mi struggo per il desiderio del vostro bene, che parmi sarei disposto al sacrificio anche della vita, pur di vedervi ritornare alla casa del Padre vostro celeste, come non arderà egli di stringervi al suo seno, egli che è il Dio buono, clemente e misericordioso, egli che si protesta di non volere la morte del peccatore, ma che si converta e viva? Coraggio adunque! Vincete ogni timore, o carissimi, e siate certi dell’aiuto divino. Ridivenuti amici di Dio, eredi del paradiso, gusterete in questa vita la pace dei giusti, e nell’altra la gioia degli eletti14.

 

b) LA VISITA PASTORALE

 

“Verremo a predicarvi con tutta semplicità Gesù Cristo e questo crocifisso”

 

No; non v’aspettate da Noi sublimità di eloquio, artifizii di umano sapere; verremo a predicarvi con tutta semplicità Gesù Cristo e Questi crocifisso; Gesù Cristo che è la Via, la Verità e la Vita; Gesù Cristo, senza la cognizione del Quale indarno ci affaticheremmo per giungere a salvamento; Gesù Cristo, la sua im{12}mensa Carità, i suoi Misteri, la sua Dottrina, il magistero infallibile della sua Chiesa, ecco ciò che verrà ad animare, ad accrescere la vostra fede. Oh la fede! Quanto, o Dilettissimi, non deve starvi a cuore! Imperocché nel possedimento solo di essa, come dice S. Agostino, può l’umano intelletto aver riposo, essendo essa che ci rende sicuri di quanto speriamo ottenere e che ci mette qui in terra in un possesso anticipato del Cielo. Noi quindi Ci studieremo, come è Nostro dovere, di ridestarla in tutti voi questa fede; quella fede viva e operosa per cui i Santi vinsero il Mondo salirono al regno, quella fede che annienta i prestigi della carne e del sangue, che dissipa colla sua luce le tenebre dell’umana ragione, che fa vedere le cose non quali appariscono, ma quali sono in realtà; quella fede che ci è scudo e lorica per resistere e per combattere da forti contro i principi delle tenebre e contro le spirituali nequizie; quella fede insomma che, a guisa di quotidiano alimento, corrobora nella grazia le potenze tutte dell’anima e forma, al dire di San Paolo, la vita del giusto: justus ex fide vivit (Galat. III. 11)[1].

 

“Nel nome di Dio verremo a voi”

 

Nutriamo pertanto ferma fiducia, che la rugiada del Cielo scenderà copiosa a fecondare le umili Nostre fatiche e le vostre, o Venerabili {17}Fratelli; sicché nell’illustre Chiesa Piacentina si veggano in breve rifiorire di novella bellezza, la purità de’ costumi, la modestia, la religione, la pace, e voi specialmente dobbiate spargere intorno il buon odore di Cristo. Sì, o V. F. e F. D., una saldissima speranza Ne sorregge e Ci promette, dalla Visita che siamo per intraprendere, il risvegliarsi del sentimento Cattolico, l’osservanza dei giorni festivi, il rispetto dovuto a’ sacri Templi, la frequenza alle solennità della Chiesa, a’ SS. Sacramenti, alle Scuole della Dottrina Cristiana; l’attaccamento alla gloriosa e Infallibile Sede di Pietro e al suo degnissimo Successore, il Grande, l’Angelico, l’Immortale Pio IX; finalmente la Carità, vincolo di perfezione, anima dell’anima, germe e fondamento di ogni cristiana virtù.

Nel Nome di Dio adunque, nulla fidando nelle Nostre deboli forze, ma tutto attendendo dalla grazia del Santo suo Spirito; Noi verremo, o Figli desideratissimi, sperando ogni bene per la vostra salute dal Signor nostro Gesù Cristo, il quale è il sostegno dei Vescovi della sua Chiesa; è la fiaccola che Li illumina; è il fuoco che Li riscalda, che comunica Loro la parola di vita, che Li anima ad annunziarla ai popoli, senza esitazione, senza tema, con tutta franchezza.

{18 }Felici Noi, se Ci verrà fatto di poter consumare in tal guisa la nostra carriera e di poter rendere così testimonianza all’Evangelio della grazia (Act. XX.), santificandovi tutti e vivendo frattanto in continua paurosa aspettazione del tremendo Giudizio di Dio![2].

 

“La più dolce delle consolazioni”

 

Per disporre poi convenientemente i fedeli a questa sacra Visita, ordino che la medesima sia preceduta in ogni parroc­chia da un corso di spirituali esercizi, o almeno da un triduo di predicazione straordinaria.

Nulla risparmiate, miei venerabili cooperatori, perché io venendo possa a tutti i miei figli dispensare il pane degli an­gioli, a tutti, dai giovanetti della prima Comunione a coloro che stanno sulla soglia della eternità, a tutti, senza eccezione.

Sarà questa, fratelli e figli miei, la più cara, la più dolce delle consolazioni che voi potrete procurare al vostro Vesco­vo in mezzo alle cure incessanti e alle gravi preoccupazioni del suo pastoral ministero.

Raccomandandomi di nuovo alle vostre preghiere e affret­tando coi voti più fervidi il momento di abbracciarvi tutti in Gesù Cristo, v’imparto con l’effusione del più tenero affetto la pastorale benedizione[3].

 

“Sono qui per farmi tutto a tutti”

 

Andate, disse G.C. ai suoi Apostoli, ammaestrate tutte le genti, insegnando loro di osservare tutte le cose che vi ho prescritto: docentes eos servare omnia quaecumque mandavi vobis. E gli Apostoli, obbedienti a quella voce, andarono, passando di città in città, di borgata in borgata, di paese in paese, ovunque si trovassero seguaci del Crocifisso, per reca­re a tutti la luce del vero e la vita della grazia.

Successore, benché indegno degli Apostoli, eccomi un’al­tra volta in mezzo a voi, figli carissimi e desideratissimi. Oh come volentieri vi riveggo dopo tanti anni! Ricordo ancora con viva compiacenza le prove che mi deste della vostra bontà la prima volta che posi piede in questa vostra insigne borgata e queste prove avete volute rinnovarle salutando il mio arrivo tra voi coi segni della più viva allegrezza. Ve ne ringrazio, cari figli, e ve ne ringrazio in nome di G.C. del quale io non sono che l’umile rappresentante. Non guardate in esso l’uomo, ché troppo è debole e infermo, ma sí appunto Colui che egli rappresenta e nel cui nome egli parla, nel cui nome egli opera, e le cui grazie egli è pronto a dispensarvi at­tingendole dai tesori della Chiesa (...).

Io sono qui venuto per recarvi la pace, per benedire le vo­stre famiglie, i vostri commerci, i vostri campi, la tomba dei vostri morti. Sono qui per farmi tutto a tutti: per parlare agli adulti col cuore pieno di paterno affetto; per invocare lo Spirito Santo sul capo dei fanciulli nella Confermazione: per consolare gli afflitti, per promuovere in ogni modo la gloria di Dio e la salvezza delle anime[4].

 

“Le anime vostre mi sono tanto care, quanto mi è cara l’anima mia”

 

Con la coscienza resa tranquilla, con la ricuperata pace del cuore, corroborati alla Mensa dell’Agnello divino, vi sarà dolce, o figli miei cari, unirvi al vostro Vescovo nelle sante funzioni ch’egli andrà celebrando. Noi ci recheremo insieme là dove riposan le ceneri dei vostri cari genitori, dei fratelli, delle spose, dei figli, dei parenti, degli amici, di tutti i vostri compaesani, e, prostrati su quelle sacre zolle, tra il mesto e il sublime silenzio delle tombe, imploreremo da Dio l’eterno riposo ai vostri poveri morti.

Voi, o genitori, mi condurrete poi nella chiesa i vostri fi­gli, perché io segni le loro tenere fronti col sacro Crisma e faccia discendere in essi lo Spirito Santo che li ricolmi dei suoi molteplici doni, affinché non siano dalla corruzione con­taminati e guasti.

Interrogati da me, o genitori, i vostri figliuoli sulle cose che ogni cristiano deve sapere per esser degno del nome che porta e per salvarsi, vi sarà grato udirli rispondere con soddisfazione, come spero, alle mie domande. Che se qualcuno dei figli vostri mostrerà di aver bisogno di maggiore istruzione, voi farete in cuor vostro alla presenza di Dio il santo proposi­to di vegliare in seguito con maggiore sollecitudine alla loro istruzione religiosa, accompagnandoli sempre al Catechi­smo...

Oh che santa giornata sarà per tutti voi, o miei cari, quella che passerete in compagnia del vostro Vescovo qualora, e non voglio dubitarne, la passiate nell’allegrezza del Signore e nella preghiera. Deh fate, o dilettissimi, che abbia poi a con­fortarmi il pensiero che anche questa volta la mia Visita ha fatto un po’ di bene alle anime vostre: alle anime vostre che mi sono tanto care, quanto mi è cara l’anima mia. Io non cer­co che le anime, non voglio che le anime dei miei figli, e che nessuna di esse si perda![5].

 

“Conosco le mie pecore e le mie conoscono me”

 

Posti Noi dallo Spirito Santo, avvegnaché immeritevoli, al governo di questa, per tanti titoli, illustre e gloriosa Diocesi Piacentina, d’altro più non Ci demmo pensiero, Venerabili Fratelli e Dilettissimi Figli, che di voi e della salute delle anime vostre ad ottener la quale, Dio Ci è testimone, daremmo ben volentieri, se fosse d’uopo, il sangue e la vita.

{4}Fu appunto pel desiderio della vostra salute, e per l’amore che vi portiamo ardentissimo in Gesù Cristo, che ci affrettammo di dar principio in mezzo a voi, come sapete, alla sacra Visita Pastorale.

Tardava troppo al cuore amoroso del padre il vedere cogli occhi propri l’aspetto de’ suoi figliuoli; tardava troppo alla sollecitudine del pastore il conoscere da vicino tutto quanto il suo gregge. Sia lode al Signore! I Nostri voti sono alfine compiuti.

Ora possiamo dire non esservi parte, benché remota, di questa mistica vigna, che non Ci sia nota appieno; possiamo, ad esempio del principe e modello dei pastori Gesù Cristo, ripetere con tutta verità: conosco le mie pecorelle e le mie conoscono me; possiamo affermare ciò che S. Paolo desiderava poter dire ai fedeli di Roma: con gaudio io venni a voi per volontà di Dio, e con voi tutto mi confortai[6].

 

“Abbiamo trovato in voi le consolazioni della fede”

 

Ci confortammo, e grandemente Ci confortammo, al vedere come lo spirito di religione, tanto combattuto dalla moderna empietà, viva ancora ed operi potentemente nel {5}cuore delle Nostre buone popolazioni, talmente che noi stessi pur ci gloriamo di voi nelle chiese di Dio.

Ci confortammo alle tante splendide significazioni e testimonianze filiali di riverenza e di affetto, che da ogni ordine di persone Ci vennero spontaneamente tributate dovunque, come se Cristo accogliessero e ciò lodavamo, non per veruna importanza che Noi intendessimo dare alla persona Nostra indegnissima, sibbene perché grandissima importanza Noi davamo, come sempre daremo, a quel sentimento di sommessione e di rispetto del popolo fedele, nel riconoscere l’autorità di Gesù Cristo, comunque meschinamente rappresentata nel Pastor Diocesano.

Ci confortammo insomma, per aver trovato in voi, o Dilettissimi, quelle consolazioni cui tanto apprezzava l’Apostolo, le consolazioni della fede di quella fede che fu mai sempre il più grande ornamento, la gloria più bella della patria nostra; l’oggetto più caro dei pensieri e delle sollecitudini dei nostri maggiori; che formò la loro vera felicità {6}in questa vita, e nel cui seno tranquillamente spirarono, a noi, come il tesoro più prezioso, raccomandandola.

Argomento di questa fede fu anzitutto il vedere accorrere ai tribunali di penitenza e accostarsi a ricevere dalle Nostre mani l’Eucaristico Sacramento, persone di ogni sesso, di ogni condizione, di ogni grado, giovanetti e fanciulle che per la prima volta accoglievano nel verginale loro cuore il mistico pane degli Angioli, con devota attenzione, con pio fervore, con dolci e commoventi melodie, con cantici di letizia e di ringraziamento.

Argomento di fede l’impegno vivissimo che misero tutti nell’intervenire a tutte le pubbliche preci, lasciando volentieri i loro lavori e i loro traffichi; nell’assistere devotamente alle sacre funzioni; nell’ascoltare con religiosa avidità la divina parola, cui più volte il giorno, e nelle parrocchie e nei pubblici oratorii e in qualsivoglia propizia occasione, non omettemmo di annunziar loro con libertà evangelica e con tutta semplicità, paternamente ammonendoli a star saldi nella fede e a camminare in maniera degna di Dio, piacendo a {7}Lui in tutte le cose, producendo frutti di ogni opera buona e crescendo nella scienza di Dio.

Argomento di fede la paziente solerzia che scorgemmo in tutti, si può dire, i Maestri e le Maestre della Dottrina Cristiana, nell’istillare in seno ai fanciulli, coi primi rudimenti della fede, il timor santo di Dio; la saggia premura de’ buoni genitori nell’inviarli per questo fine alla chiesa; il condurli che essi facevano dinanzi a Noi con trasporto di viva allegrezza, perché fossero col santo crisma segnati del segnacolo dei forti.

Argomento di fede l’aver Noi trovato le chiese generalmente o restaurate o abbellite, o in via pur anco di costruzione, per la splendida liberalità e per le pie elargizioni dei fedeli, che uniti ai loro degni pastori, zelanti e solleciti del decoro della casa di Dio, non perdonando a sacrificii, le providero anche di suppellettili, di sacri arredi, di preziose opere, di nobili lavori.

Argomento di fede finalmente il venirci incontro a gran festa di ogni popolazione che andavamo volta per volta visitando; il prostrarsi devote al Nostro passaggio per esserne benedette; l’accompagnarci che esse facevano per lunghissimo tratto {8}alla Nostra partenza, non ostante, il più delle volte, l’asprezza e difficoltà dei sentieri, l’imperversar delle piogge, il gonfiar dei torrenti, le intemperie e le molestie della stagione.

Oh quanto la rimembranza di queste cose Ci riempie di consolazione, o Carissimi! Potremmo noi dimenticarle? Non mai. Che anzi impresse Ci staranno continuamente nell’animo come un soave ricordo, in mezzo alle angustie e fatiche del formidabile Nostro Ministero.

Sì, ricorderemo sopratutto, con vera soddisfazione, i varii membri del Rev.mo Nostro Capitolo, che tanto, e con tanta abnegazione di sé medesimi, Ci coadiuvarono durante la lunga e faticosa peregrinazione.

Ricorderemo, con singolare compiacenza, la cordiale ospitalità ricevuta dai Nostri ottimi Vicarii Foranei, e da tutti in generale i Nostri amatissimi Parrochi, dei quali, nella massima parte, abbiamo dovuto encomiare l’amor dello studio, l’attività dello zelo, lo spirito di sacrificio, il desiderio del bene.

Con grato animo infine, ricorderemo l’aiuto efficacissimo, che, nella loro ammirabile operosità e sommessione, Ci prestarono del continuo gl’instan{9}cabili figli di S. Vincenzo de’ Paoli, precedendoci, quasi in tutte le trecento sessanta cinque parrocchie della Diocesi, come Angeli di Dio, a prepararci la strada, per dare al Nostro popolo la scienza della salute per la remissione de’ loro peccati. Il frutto veramente copiosissimo, che dalla Sacra Visita raccogliemmo, ad essi lo dobbiamo nella massima parte; lo dobbiamo a questi degni operai dell’Evangelo: come lo dobbiamo pel resto a quelli del Nostro Clero sì regolare che secolare, i quali esercitarono nella stessa fausta occasione il santo ministero della parola[7].

 

“Per la terza volta ho visitato la Diocesi

 

Per la terza volta, secondo la possibilità, ho visitato la Diocesi, ispezionando 308 parrocchie; ho amministrato più volte all’anno il Sacramento della Confermazione, ho predi­cato la Parola di Dio, e ho compiuto tutti i doveri del Vesco­vo.

Durante questa terza Visita Pastorale sono salito sul Mon­te Penna, che s’innalza a 1700 metri sul livello del mare. Quei gioghi alpestri sono abitati per nove mesi dell’anno da circa trecento operai, estremamente poveri, che segano la le­gna, cuociono il carbone, e fanno altri lavori del genere; abi­tano al riparo di elci secolari, proteggendosi dalle intemperie sotto i loro rami, e non godono mai o quasi dell’assistenza spirituale di un sacerdote. L’unica casa rustica ivi esistente si è trasformata in quel tempo in palazzo episcopale e cattedra­le. Dimorandovi per quattro giorni, confortai con la parola e le opere di pietà quella porzione abbandonata del mio greg­ge, che mi rallegrò assai con la semplicità della fede e dei co­stumi. Veramente, Eminentissimi Padri, dove manca l’opera degli uomini, sovrabbonda la grazia di Dio in favore dei fe­deli che cercano Dio con cuore puro e buona volontà.

Consacrai 28 chiese, alcune delle quali del tutto nuove, al­tre restaurate e abbellite. Benedissi inoltre 18 concerti di campane, salendo il più delle volte sui campanili.

C’era urgente necessità di provvedere molte parrocchie rurali di cimiteri adatti e decorosi secondo le prescrizioni della legge. Tutte le volte che si presentò l’opportunità, non tralasciai di raccomandare la cosa alla competente autorità civile in pubblico e in privato: e non invano, poiché in que­sto triennio ho benedetto 35 cimiteri nuovi, adatti e disposti secondo le prescrizioni canoniche e sinodali[8].

 

“Un lavoro superiore alle mie forze”

 

Ritornato dalla Visita Pastorale, dopo l’assenza di parec­chie settimane, trovo qui la vostra carissima. La sospiravo da gran tempo e potete immaginare quanto mi abbia fatto piacere. Sono lieto che stiate bene. Io pure, grazie a Dio, godo buona salute, nonostante le continue fatiche. In tre settima­ne ho visitato 20 parrocchie della più alta montagna, facendo a cavallo parecchie centinaia di miglia. Come si sta bene in mezzo a quella gente piena di fede, lontani da frastuoni e dai pettegolezzi del mondo!

Ripartirò in settimana per Borgotaro e continuerò le visite per tutto il mese di Luglio[9].

È questa la 123a Parrocchia che visito in quest’anno; è co­sa quasi da matto; ma voglio ricuperare il tempo perduto nell’anno scorso. La salute mia, grazie a Dio, è sempre otti­ma. Mi dicono che ringiovanisco: sì, la giovinezza del fiore, che nasce al mattino bello e pieno di vita e la sera è bello e spacciato. Ma poco importa, purché si arrivi dove siamo incamminati[10].

Pretendere di non aver incomodi alla nostra età, è un po­chino troppo. L’organismo si logora e ci avviciniamo a gran­di passi all’ultimo passo. Intanto si parla, si predica, si scrive, si cavalca, si gira, si suda, si lavora per renderci propizio al­meno il Signore[11].

Con gioia vivissima ricevo qui, ove mi trovo in Visita pa­storale, la vostra gentilissima del 2 corrente e vi ringrazio del vostro memore affetto corde magno et animo volenti. Questi guasta mestieri di giornalisti mi dipinsero quasi morente, mentre la mia indisposizione non fu che una febbriciattola di 24 ore, che mi sorprese proprio nel ritorno da una visita faticosissima alle parrocchie dell’alto Appennino. Furono stra­pazzi di ogni genere, che pagai con tre o quattro giorni di ri­poso e poi ripigliai le mie corse. Non so moderarmi, né mi posso adattare al pensiero di cambiar sistema, eppure dovrò farlo.

Gli anni crescono, 64, le fatiche si fanno sentire, i bisogni diventano ognora più gravi, la marea socialistica monta e tut­to mi persuade e mi spinge ad un lavoro superiore alle mie debolezze fisiche e morali e avanti in nomine Domini sin che potrò[12].

 

c) PREDICAZIONE DELLA PAROLA

 

“Il Verbo divino si fece uomo e venne, ineffabile parola, a parlare agli uomini”

 

La parola di Dio, figliuoli carissimi, noi dobbiamo anzitutto ascoltarla. E perché? Appunto perché parola di Dio; perché parola di lui che è il nostro creatore, il nostro legislatore, il nostro{5} sovrano, il nostro maestro, il nostro padrone, il nostro padre; perché la sua parola è sopratutto verità, verità per essenza, verità assoluta, verità suprema, immutabile, eterna; perché, dopo la Ss. Eucaristia, nulla vi ha sulla terra che agguagliar possa la eccellenza, la nobiltà, la santità, la grandezza di questa parola medesima.

Da tutta la eternità, ci dicono i libri santi, Dio, contemplando sé stesso, pronuncia una parola, e questa parola, vasta come la sua immensità, infinita come il suo essere, efficace come la sua onnipotenza, è l’espressione viva, sostanziale, adeguata di tutto ciò ch’egli è; è il suo Verbo, è la seconda persona dell’augustissima Triade. Questo Verbo divino si fece uomo e venne, parola ineffabile, a parlare agli uomini la parola di eterna vita[13].

 

“La parola di Dio è di eguale necessità che la fede”

 

La fede, o miei cari, è il più prezioso di tutti i tesori, la sorgente di tutte le grazie, il fondamento di tutte le virtù, la radice della nostra giustificazione, la porta del cielo. Ma come questa fede si può averla?{8} Mediante la parola di Dio. Lo insegna espressamente l’Apostolo, dicendo: «Chi è che, invocando il Signore, giungerà a salvamento? Quegli che in prima avrà creduto. Ma e come crederà le verità della fede, se non venga istruito? E come verrà istruito, senza chi predichi?» Dunque la fede di Cristo si ha dall’udirla, e l’udirla viene dalla parola predicata di Cristo: Fides ex auditu, auditus autem per verbum Christi. Siegue da ciò, che se la fede si ha dall’udire la parola di Dio, la parola di Dio è di eguale necessità che la fede.

Sì, miei cari, questa e questa sola è la strada che, di legge ordinaria, Dio ha stabilita a salvare i credenti. Poteva salvarli (qual dubbio?) per altre vie: per via di apparizioni celesti, per via di superne ispirazioni, per via di miracoli, e andate dicendo. Ma il fatto si è che a lui è piaciuto il contrario. A lui è piaciuto di salvarli per mezzo della predicazione: Placuit Dio per stultitiam praedicationis salvos facere credentes[14].

 

“La parola di Gesù Cristo non è meno del corpo suo”

 

Dobbiamo ascoltarla, accogliendola appunto, non come parola dell’uomo, ma come parola di Dio. Ditemi, fratelli, chiede s. Agostino, quale di queste due cose vi pare di maggior dignità, la parola di Dio o il corpo di Gesù Cristo? Se volete dire il vero dovete certamente convenire che la parola di Gesù Cristo non è agli occhi della vostra fede punto meno pregevole e degna di stima del corpo suo: Non est minus verbum Dei quam corpus Christi.. Ora se è così, come è di fatto, se cosa non meno grande, non meno salutare, non meno divina del corpo di Cristo è la parola di lui, è facile il capire che da noi va udita con attenzione, con rispetto, col fermo proposito di praticarla.

Va udita con attenzione, in maniera che, al dire dello stesso santo dottore, la diligenza che usiamo quando ci vien dispensato il corpo di Cristo, affinché niente di esso cada in terra, dobbiamo usarla verso la divina parola, badando bene che, mentre pensiamo ad altro o parliamo di altro, alcun che di essa {32}non si perda e cada dal nostro cuore. Né questo è un vano scrupolo, perché (conchiude il Santo con termini che fan tremare), perché non è men reo chi ascolta negligentemente la parola di Dio, di chi lascia per sua negligenza cadere in terra una minima particella del corpo di Cristo. Non dimentichiamo poi, o carissimi, che mentre il predicatore ci parla dal pergamo o dall’altare, Gesù Cristo ci parla dal cielo; il suono delle parole percuote le orecchie di fuori, ma il maestro è dentro; e però più ancora che le orecchie del corpo, aprir dobbiamo alla sua parola le orecchie dello spirito. Egli ci farà intendere in modo arcano, ma chiarissimo quello che vuole da noi[15].

 

“L’efficacia della parola è attaccata alla divinità del ministero”

 

la parola di Dio nulla perde del suo valore, e rimane sempre parola di Dio, anche sul labbro dell’infimo dei sacerdoti, purché legittimamente mandato. Solo che egli non travalichi i limiti della ortodossia, solo che non abbia rinunziato alla fede, il Verbo di Dio si obbliga di passare per la sua bocca, come sull’altare si obbliga di passar per le mani del ministro anche più imperfetto.

Dio, così un celebre oratore, ha scelto l’uomo per illuminare, evangelizzare, istruire, santificare gli uomini, ma non ha voluto che l’efficacia di questi ministeri affidati all’uomo dipendesse dalla virtù, dalla santità dell’uomo, altrimenti gli uomini sarebbero obbligati all’uomo della loro santificazione e della loro salute. L’efficacia della parola di Dio, notatelo bene, o carissimi, è attaccata non alle doti personali, non all’ingegno, e nemmeno alla santità del ministro, ma alla divinità del ministero, alla parola dell’uomo, in quanto esso parla di Gesù Cristo e in nome di Gesù Cristo, o piuttosto in quanto Gesù Cristo parla nell’uomo[16].

 

“La parola evangelica è come una lettera speditavi dal Padre”

 

La parola evangelica è come una lettera speditavi dal vostro Padre celeste. Ora un figlio affezionato non si ferma a considerare se la carta sia buona o cattiva, se nitidi o macchiati sieno i caratteri; corre senz’altro a quello che il padre gli dice. Dunque anche riguardo alla sacra predicazione, non attenzione a chi parla o al modo con cui parla, ma unicamente alle verità che annunzia. Non potrà fare allora che l’animo vostro non sia compreso dal rispetto più affettuoso e profondo.

La parola di Dio finalmente va udita col fermo proposito di praticarla. Quale intatti, o dilettissimi, ne è lo scopo? Quello di renderci cristiani buoni, cristiani di mente, cristiani di cuore, cristiani di opere. Deve renderci cristiani di mente? Dunque dobbiamo meditarla. Udir la parola di Dio, e poi non più pensarci è, secondo l’apostolo s. Giacomo, come chi guarda il proprio volto nello specchio e passa oltre. Quale impressione gliene rimane? Nessuna. E solo colla riflessione che l’uomo impara a conoscere ciò ch’egli è e ciò che dev’essere, a pensare e giudicare in ogni cosa cristianamente. Deve la parola di Dio renderci cristiani di cuore e di opere? Dunque primieramente va trasformata in affetto. Non solo dobbiamo intendere la verità, ma dobbiamo amarla, e non solo dobbiamo amarla, ma dobbiamo altresì praticarla: Veritatem facientes in cha{34}ritate, come insegna l’Apostolo. Il segno che la parola divina ha portato in noi il suo frutto, sono le opere; perché se la fede senza carità è morta, la carità senza le opere non è carità. Iddio, quando parla, ne fa conoscere ciò che dobbiamo praticare, ma nel tempo medesimo ci fa praticare quel che conosciamo»[17].

 

La Chiesa senza predicazione eucaristica sarebbe una società di utopisti”

 

Ecco il significato della vostra predicazione. Qui sta tutta la salvezza e la prosperità della Chiesa. Frutto di questa pre­dicazione e il lasciar indietro l’infanzia, vivere e camminare per la via della prudenza. Che cosa sarebbe la Chiesa senza la predicazione eucaristica?

Una religione senza sacrificio, una società di utopisti, una casa fondata sulla sabbia: Cristo stesso diventerebbe una fa­vola, un mito[18].

 

“Il sacrificio senza la parola sarebbe una commemorazione inefficace”

 

Cristo nell’Eucaristia è la forza e la sapienza di Dio: e noi predichiamo Cristo virtù di Dio e sapienza di Dio. Riflettete sul concetto di predicazione. Cristo, istituendo il sacrificio e consacrando i sacerdoti, disse: Hoc facite in meam commemo­rationem (I Con. XI). Col suo stesso modo di agire congiunse la predicazione al sacrificio: il sacrificio senza la parola sareb­be una commemorazione inefficace. Sapete con quale subli­me e divina eloquenza Cristo ha parlato agli Apostoli nell’ul­tima cena prima e dopo l’istituzione dell’Eucaristia. Gli Apostoli ne hanno continuato la predicazione (...). Si dedica­vano alla predicazione della parola e i fedeli, ascoltandoli, perseveravano nel partecipare in comunità alla frazione del pane (...).

Il Fondatore divino della Chiesa ha comandato agli Apo­stoli e, in loro, a noi il ministero della predicazione: predica­te il Vangelo a tutti. Dopo l’istituzione della Eucaristia or­dinò: Fate questo in mia memoria. Quello che vedete fare da me, ricordatelo con la rinnovazione del sacrificio, e tenete viva la mia memoria nel cuore dei fedeli con la vostra predi­cazione. Il regno di Cristo si perfeziona mediante l’Eucari­stia, e voi, eletti a cooperare a questa azione divina, dovete applicarvi incessantemente alla predicazione eucaristica per dilatare e consolidare il regno di Dio. Mai fu necessaria que­sta predicazione come ai nostri giorni, dei quali il profeta po­trebbe dire: “la mensa del Signore e stata disprezzata”.

Perché? Perché il dono di Dio è poco conosciuto: la gran­dezza di Cristo in questo Sacramento è grandezza d’amore: in altre parole, perché raramente si predica Cristo nel suo Sa­cramento. Qualcuno forse incolperà i tempi, gli errori che si diffondono, gli scritti empi, i nuovi scandali che si moltipli­cano ogni giorno; chiamerà in causa le profanazioni, la crassa indifferenza, la diminuzione della fede in molti. Ma donde nascono questi mali, se non dalla mancanza della predicazio­ne? Sentite 1’Apostolo Paolo: Fides ex auditu, auditus autem per Verbum Christi (Rom. X, 17)[19].

 

“La predicazione e il sacrificio eucaristico: i due poteri di cui Cristo vi ha investiti”

 

Ponderate la profezia della Sapienza: “Annuncerò il tuo nome ai miei fratelli; ti loderò in mezzo all’assemblea” (Ps. XXI). Cristo adempie la profezia non con la sua bocca, ma con la nostra: con la vostra predicazione e con il sacrificio eu­caristico. Sono i due poteri di cui Cristo vi ha investiti (...). Mediante il sacerdozio e il convito eucaristico, lo splendore di Cristo sarà come una luce: “Ristette e squadrò la terra, guardò e le nazioni si dileguarono, le montagne secolari si squarciarono, s’inchinarono le vette del mondo” (Ibid. III, 6). Ecco la vittoria e la conquista della terra, promessa da Cristo. Non vediamo ancora conquistato il mondo: ma alzate gli occhi e guardate i campi che già biondeggiano per la mes­se[20].

Cristo in questa mensa ha mescolato l’utile col dolce: uti­le, perché, come dice il poeta, ristora l’uomo, perduto dalla dolcezza del frutto proibito, con un cibo più alto; e sconfigge il veleno del serpente col sacro sangue. Dolce, perché, escla­ma la sposa: “fructus eius dulcis gutturi meo”.

Unite i due aspetti nella vostra predicazione: l’utile con una spiegazione adeguata del mistero eucaristico, secondo l’analogia della fede, confermandola con l’autorità dei Padri e dei Dottori; il dolce, appoggiando i vostri argomenti anche su ragioni fondate, desunte dalle scienze.

Non dovete lasciarvi scoraggiare dal timore che i fedeli non capiscano. La comprensione dei misteri non risulta dall’intelligenza naturale, ma dalla luce della fede, che Dio infonde, in occasione della predicazione, aprendo lui i cuori. Poi, a forza di sentire, diventano intelligibili anche quei pun­ti che, in principio, sembravano meno accessibili, appunto perché si predicavano raramente.

A tale impegno siete stati iniziati fin dalla giovinezza: ma pochi forse hanno fatto progresso in questo campo, non ba­dando alle parole del Cristo Signore: “Haec est vita aeterna:ut cognoscant Te, solum Deum verum et quem misisti lesum Christum” (Joan. XVII, 3). Ci inganneremmo se, acconten­tandoci di una conoscenza mediocre, ci limitassimo a presen­tare al popolo sempre latte, mai cibo solido. L’Eucaristia e nel medesimo tempo il latte dei bambini e il cibo dei forti, il pane dei robusti. Ai cristiani parliamo dunque della sapienza nascosta nel mistero.

Studiate soprattutto Cristo e il suo Sacramento: non pre­dichiamo soltanto il Cristo concepito per opera dello Spirito Santo, nato da Maria Vergine, patito, morto, risorto, salito al cielo per essere nostro avvocato presso il Padre; ma predi­chiamo anche il Cristo che ogni giorno cancella i peccati con l’oblazione di se stesso, e diventa per noi tutti sapienza di Dio, giustificazione, redenzione; predichiamo il Cristo che abita in noi fino alla consumazione del mondo, il Cristo che vive nel Sacramento e che tutto attrae a sé. Cristo non è un’apparizione subito scomparsa: ma è Gesù il Cristo ieri, oggi e sempre[21].

 

“Non è la parola di Dio che si predica da taluni, ma la parola dell’uomo”

 

Forse non si predicò mai tanto come al presente, ma come va, si domanda, che il frutto che ne deriva e, per lo più, così poco? Si suole comunemente incolparne gli uditori, e, a dire il vero, avviene troppe volte che la mistica semente cada sopra una terra ingrata, dove sassi e spine impediscono che ger­mogli e cresca a maturità. Ma forseché la colpa non è anche bene spesso di chi questa semente va spargendo nel campo del Signore?

Si, pur troppo, o fratelli! E inutile dissimularlo: tante e tante predicazioni riescono infruttuose, perché non è già la parola di Dio che si predica da taluni, ma la parola dell’uomo. Si vuol sfoggiare, scrive un illustre oratore, una scienza moderna, si vuol sorprendere e far stupire gli uditori con ar­tifizi di retorica, con giuochi di memoria, con una serie in­terminabile di nomi, con citazioni di autori d’ogni sorte, con una eloquenza giornalistica, con allusioni che stuzzicano la curiosità malsana del popolo, con la foga vertiginosa della re­cita (gia sfolgorata da S. Girolamo), con la posa teatrale, con la forza dei polmoni, con le grida che offendono e straziano gli orecchi. Ma io non mi stancherò mai di stimatizzare sif­fatta eloquenza, quella sacra eloquenza che si vorrebbe oggi mettere in voga a gran detrimento delle anime, a gran discre­dito della predicazione; quella eloquenza, come altri disse, ricca di figure e povera di pensieri, feconda di espressioni e sterile di sentimenti, fastoso apparato di una opulenza men­dace che, facendo servire al desiderio di piacere il gran mini­stero d’istruire, e la parola di verità a mendicar l’adulazione, lusinga le orecchie e lascia in pace le passioni, e, invece di predicare Gesù Cristo, non fa che predicare se stessa; quella eloquenza, vano sfoggio di spiriti leggieri, di anime profane, che si perde in dottrine vaghe, in frivole descrizioni, in pit­ture troppo delicate, in concetti stravaganti, in periodi ro­tondi, in parole, in frasi affettate, in artifici, in fiori, in orna­menti che il gusto più indulgente perdonerebbe appena in un romanzo e di cui la verità santa è obbligata ad arrossire, co­me un’onesta matrona al vedersi ricoperta delle vesti di una danzatrice; quell’eloquenza infine che, profana nella sostan­za non meno che nella forma, degrada il sacro ministro sino al commediante, e sino alla commedia il divin ministero[22].

 

“Debitori ai dotti e agli indotti”

 

Ricordino i sacri oratori, e specialmente i parroci e i loro coadiutori, che non devono parlare con le allettanti parole della sapienza umana, ma con dimostrazione di spirito e di virtù. Ricordino di essere debitori ai dotti e agli indotti, e che perciò devono attendere alla semplicità, alla chiarezza e alla brevità. Non salgano mai impreparati sul pergamo, né senza aver invocato la luce dello Spirito Santo. Ricordino che le parole devono mirare sì a illuminare l’intelletto, ma molto più a eccitare il cuore: mentre dunque non si deve mai omettere la spiegazione delle più alte verità della fede, il di­scorso tuttavia deve contenere sempre qualche cosa che ri­guardi la pratica, anche negli stessi panegirici[23].

 

 

d) EDUCAZIONE CRISTIANA E ISTRUZIONE RELIGIOSA

 

“Educare è trarre fuori quel che è dentro”

 

La parola educare ha qualcosa in sé che vuol essere studiata. E’ una parola derivata dalla lingua latina e significa trarre fuori quel che è dentro, aprire e svolgere quello che è chiuso ed in germe.     

Ora, applicando all’uomo quella parola, convien dire che la educazione sia la maniera di svolgere i germi che son riposti nel cuore umano e di trarre a luce quel che è nascosto in quei germi. Questo modo di parlare presuppone che Dio nel cuore dell’uomo abbia posto qualcosa che somiglia al germe onde esce poi il fiore tenero e fragrante.

E cosi è davvero. L’educatore, a parlare con proprietà, non mette nulla dal di fuori nell’animo del fanciullo, sì piuttosto coll’azione solerte e amorosa spiega e disvolge quel che è come inviluppato nei ripostigli del cuore e fa fiorire i semi e i germi delle virtù naturali non solo, ma ancora quei germi felici e quei semi di virtù sopranaturali, che furono inseriti col Battesimo nell’anima nostra.

A questo appunto si riduce la vera e soda edu{9}cazione; a questo l’opera vostra, o padri, o madri, o maestri, o istitutori, o sacerdoti, o parrochi, o voi tutti che siete chiamati in qualche modo al nobilissimo e divino ufficio di educare la gioventù.

È da notare però, che accanto ai germi del bene si trovano nel cuore dell’uomo i germi del male. Il fanciullo porta nel fondo del suo essere i semi di uno scellerato o di un santo.

L’opera vostra pertanto, o dilettissimi, deve altresì avere in mira di soffocare per tempo la rea semenza, perché la buona possa levarsi e germogliar vigorosa. Dovete rompere gli istinti della voluttà e dell’orgoglio, che si manifestano sin dall’infanzia; dovete fare in guisa che il fanciullo siegua non già l’impeto della passione, ma l’impulso della virtù; che si avvezzi ad operare per la rettitudine del bene, che splende alla mente e non per l’attraimento del piacere, che i sensi alletta e corrompe. Ma, direte voi, come riuscirvi? Innestando nell’animo di lui fino dai più teneri anni il timor santo di Dio; imperocché fermatelo bene, o dilettissimi, nella vostra mente: educazione vera non è possibile senza Religione. Educare il fanciullo è deporre la verità, tutta la verità, nella sua mente, dalla più semplice alla più elevata; è aprire il suo cuore ai più nobili sentimenti, a quelli della purezza più delicata e dell’onore più puro; è far palpitare la sua anima alle parole: Dio, patria, libertà, eguaglianza, fraternità, quali le consacra il Vangelo[24].

 

“Il sistema della mummificazione o l’età della pietra, no, non è Vangelo”

 

Ma in che consiste la vera educazione? Forse nell’apprendere bene un mestiere o una professione qualunque, o nell’arte di presentarsi nel mondo con grazia? Ciò potrà essere dell’educazione la corteccia, diremo così, o la vernice, ma non è la educazione.

E nemmeno vuolsi confondere, come usano molti, l’educazione colla istruzione, facendo di questa una sola e medesima cosa con quella. L’istruzione si volge all’intelletto, l’educazione s’indirizza alla volontà. L’istruzione fa gli uomini dotti, l’educazione forma gli uomini virtuosi. La prima guarda alla scienza, la seconda mira alla coscienza. Quella ha ragione di mezzo, questa ha ragione di fine. L’educazione pertanto è al disopra dell’istruzione e della scienza, come il bene sovrasta al vero e la virtù supera in pregio l’ingegno.

Eppure oggi non si parla che d’illuminare la mente. Istruzione, si grida da ogni parte, istruzione!

E{6} sta bene. Discepoli di quel Dio, che ama chiamarsi il Dio delle scienze, amiamo anche Noi i nobili studi, amiamo chi vi si dedica e li coltiva, amiamo che tutti, il ricco e il povero, il patrizio ed il plebeo, ognuno secondo il proprio grado, acquistino le cognizioni necessarie e convenienti al loro stato. Noi anzi per i primi reputiamo una conquista tutto ciò che contribuisce a farci avanzare anche un sol passo nella via del civile progresso e salutiamo con giubilo il rifiorire della patria che si abbella di nuove glorie. Quell’intestarsi al vecchiume e tenersi come polipi abbrancati all’antico, quel gridare la croce addosso a tutto che ha l’aria d’innovazione sul terreno stesso dei fatti, quel suscitar diffidenze contro chi non sa piegarsi a rappresentare il sistema della mummificazione, o l’età della pietra, no, non è Vangelo, non è religione, è sintomo d’ignoranza e di pertinacia, anziché di sapere e di onestà.

Si coltivino pure le arti e le scienze, purché, ben s’intende, non trascorrano oltre i loro confini naturali; la luce dell’insegnamento si diffonda pure largamente per ogni dove, ma non si dimentichi di unire all’istruzione l’educazione[25].

 

“Non risparmiate fatica per educare cristianamente”

 

Padri e Madri, vegliate voi pure a custodire la vostra casa, ché i tempi corrono tristi assai e l’avversario d’ogni bene, come leone che rugge, va intorno cercando chi divorare dei vostri figli. Sono anime che costano sangue a Gesù ed Egli chiederavvene conto a prezzo di sangue. Deh! no; non perdonate a fatica per educarli cristianamente e per crescerli timorati di Dio, se volete averli docili, rispettosi, amorevoli. Vigilanza sui luoghi che frequentano, sulle compagnie che praticano, sui libri che leggono; ma sopratutto andate loro innanzi col buon esempio, sicché {48}abbiano in voi una scuola continuamente aperta di ogni cristiana virtù.

Padroni, e capi di officina e quanti avete autorità sugli altri, fate sì che il frastuono del lavoro tacciasi nei dì festivi, e che tutte le voci dell’industria ammutoliscano per non lasciar favellare nel sacro giorno di Dio che la voce del Sacerdote e della Religione.

Maestri, istitutori, educatori della gioventù, che Noi in singolar modo apprezziamo, una parola anche a voi. Il problema dell’avvenire è in mano vostra. Tanti si domandano se le cose alla fine volgeranno in meglio, né sanno che rispondere. Sì, rispondiamo Noi, senza terna di errare, volgeranno in meglio se le vostre fatiche saranno degne della nobile missione affidatavi, se metterete ogni impegno perché non solo il metodo d’insegnamento sia ragionevole e serio, ma molto più perché lo stesso insegnamento sia sano e pienamente conforme alla fede cattolica, tanto nelle lettere che nelle scienze (Encvc. sup. cit.). Sarà così che formerete gli ottimi cittadini. La Religione e la società, il cielo e la terra, gli uomini e Dio aspettano silenziosi l’opera vostra; l’ora è suprema, l’esito decisivo[26].

 

“L’istruzione religiosa: ecco il gran mezzo della cristiana educazione”

 

Educazione e Religione sono dunque due cose inseparabili e questa dev’essere la base di quella.

Bisogna quindi far brillare alla mente del fanciullo la luce di quelle verità, che debbono essere la norma del suo pensare ed operare ed apprendergli in modo chiaro, facile, autorevole, stabile ed efficace tutti i suoi doveri; bisogna prendere questa giovinetta creatura dalla culla e condurla soavemente al suo fine supremo, che è di conoscere il suo Creatore, di amalo{12} e servirlo per andare poi a goderlo in eterno. Bisogna, in altri termini, istruire il fanciullo, ma istruirlo cristianamente.

La istruzione religiosa: ecco il gran mezzo della cristiana educazione, ecco il bisogno supremo dell’età nostra, ed ecco, lo ripetiamo, il supremo dei vostri doveri, o genitori. Avete voi figliuoli? domanda il Signore per bocca dell’Ecclesiastico: istruiteli e piegateli al bene sin dall’infanzia.

Che sia questo un vostro preciso dovere chi può metterlo in dubbio? Dite: che cosa è questa creatura, che venne per mezzo vostro ad accrescere il numero dei viventi? questa creatura è un uomo. In questo essere così grazioso, così tenue, come si esprime un insigne scrittore, alberga un’anima che è celeste d’origine, quasi alito del cuore di Dio e raggio di sua bellezza immortale; un’anima riscattata da Gesù Cristo a prezzo del suo Sangue, un’anima che l’onda del santo Battesimo purificò e in cui lo Spirito Santo diffonde le sue grazie più pure e trova le sue compiacenze più vive. O padre, o madre, salutatela questa celeste straniera, che è venuta ad assidersi accanto a voi, inchinatevi a quest’ospite divina, che raccolse le ali per abitare con voi sotto il nome pur sempre benedetto di vostro figlio, o di vostra figlia. Questo corpiciuolo che voi vedete e che tanto vi innamora, non è {13}che l’inviluppo e il santuario d’uno spirito tanto più nobile quale non vedete, che viene da Dio e a Dio deve fare ritorno. Fissatevi bene in questo pensiero. Dio vi ha associati a sé medesimo nell’opera di dar la vita materiale a quest’essere, e vuol servirsi di voi per alimentarne ed accrescerne la vita spirituale, sicché compia la sua missione in terra e raggiunga il suo destino in Cielo[27].

 

“L’inalienabile diritto dei genitori di far dare ai figli una istruzione sana e vivificante”

 

{23}E diciamo bandirlo, poiché il provvedimento preso di apprestare l’istruzione religiosa solamente a que’ fanciulli, pei quali ne faranno espressa domanda, è del tutto illusorio. Non si riesce infatti a capire come gli autori della malaugurata disposizione non si sieno avveduti della sinistra impressione che deve fare sull’animo del fanciullo il vedere posto l’insegnamento religioso in condizioni così diverse dagli altri. Il fanciullo che per essere stimolato ad uno studio diligente ha bisogno di conoscere l’importanza e la necessità di ciò che gli viene insegnato, quale impegno potrà avere per un insegnamento, verso del quale l’autorità scolastica si mostra o fredda o ostile, tollerandolo a malincuore? E poi se vi fossero (come non è difficile trovarsene) genitori che o per malvagità di animo, o molto più per ignoranza e negligenza, non pensassero a chiedere per i loro figli il benefizio dell’istruzione religiosa, resterebbe una gran parte di gioventù priva dei più salutari documenti, con estremo danno non pure di quelle anime innocenti, ma, come abbiam visto, della stessa civile società.

E stando le cose in tali estremi, non sarebbe un dovere di chi presiede alla scuola rimediare all’altrui malizia o la trascuranza? Non è crudeltà che i fanciulli crescano senza idee e sentimenti di religione, finché sopravvenuta la fervida adolescenza si trovino in faccia a lusinghiere e violente passioni, {24}disarmati, sprovveduti d’ogni freno, colla certezza di venir travolti nei lubrici sentieri del delitto?

Eppure è così. Giacché col promuovere, come si fa oggi, in nome della scienza e della libertà, la scuola laica, non si mira pur troppo che a strappare la gioventù alla religione e alla famiglia, per sacrificarla anima e corpo alla massoneria imperanti. Fino a qui i moderni riformatori si studiarono di nascondere con sottile astuzia il loro intendimento finale. Si poteva credere, che difendendo le pretese dello Stato sull’educazione, eglino pensassero piuttosto a servire i suoi interessi, anziché nuocere alla Chiesa, che i rettori della pubblica cosa si proponessero di foggiare ai loro sistemi, che mancano di passato, le generazioni dell’avvenire, quando riservavano a sé soli il diritto di educarle. Ma oggi la maschera è caduto. Non è più (lo diciamo addolorati fino alle lacrime, in vista dei danni gravissimi, irreparabili, che ne verranno alla Chiesa e alla patria, i due supremi amori dell’anima Nostra) non è più per formare, com’essi dicono, le nazioni forti e grandi, o soltanto per limitare su di un punto la potenza della Chiesa, che si vuol dare la gioventù in balia della potestà laica; è per istrappare dalle anime ancora tenere ogni sentimento di fede, ogni idea di Dio. Lo si confessa ora senza mistero alla luce del sole.

Da principio, i genitori specialmente, non guar{25}darono troppo per il sottile, ma oramai cominciano ad accorgersi del tradimento e si levano a proclamare il loro inalienabile diritto di far dare ai figli una istruzione sana e vivificante, quale è quella che s’imparte a nome di Dio nella Chiesa[28].

 

“Le prime impressioni sono potenti e ordinariamente decisive”

 

Le prime impressioni sono potenti e ordinariamente decisive per tutta la vita. Deh, quanta amorosa cura deve porre in cuore a tutti questo pensiero! E’ nella prima età che le lezioni di fede e di morale s’imprimono più facilmente nella memoria, che le verità cristiane colpiscono più vivamente lo spirito, che i teneri convincimenti della pietà commovano più potentemente il cuore. Sulla cera molle s’imprime facilmente l’immagine di Dio, ma si richiede lo scalpello e ci vogliono sforzi e tempo, affine d’inciderla sul marmo. Quando non si hanno ancora pregiudizii da dissipare, né cattive abitudini da correggere, più facilmente l’anima si modella ai santi doveri. E quand’è che {15}il savio agricoltore mette il sostegno all’arboscello perché non pigli mala piega? Non è forse allora che questo è ancora tenero? Egli sa che più tardi sarebbe inutile. Così dovete far voi, o carissimi.

Il seme della fede e della religione che spargerete nel terreno ancor vergine dell’infanzia ne addiverrà ben presto il sostegno. Allora il sentimento cristiano metterà in essa profonde radici e crescerà in forte albero. I venti delle passioni potranno talora scuoterlo, potranno gittarne a terra i frutti, spezzarne anche qualche ramo, ma il tronco così spogliato starà e al primo sole di primavera metterà fuori nuovi rami e darà frutti abbondanti[29].

 

“Infondere nei loro animi la conoscenza di Cristo nel Sacramento”

 

I fanciulli e i giovani abbiano il primo posto nel vostro zelo. Sapete che sono i prediletti di Cristo: “Lasciate che i pic­coli vengano a me e non impeditelo loro”, anzi rispettate questa attrattiva che sentono verso di me e favoriteli. Inse­gnate loro che possederanno Cristo credendo in lui e lo atti­reranno a sé imitandolo.

Esortate poi le madri che mediante questo Sacramento s’impossessino di Cristo e lo presentino ai figli, istruendoli tempestivamente fin dai teneri anni, secondo l’esempio di S. Monica; insegnate loro la dottrina dell’Apostolo: “La donna si salverà mediante la maternità purché perseveri nella fede” (I Tim. 2, 15). Convincete le madri che non potranno istrui­re ed educare nettamente i figli, se non si preoccuperanno di infondere nei loro animi la conoscenza di Cristo nel Sacra­mento. Ed anche ai padri i nostri sacerdoti dovranno rivolgere l’invito che ricevano Cristo e a sé lo attraggano; ed im­parino da Cristo Signore nel sacramento la sollecitudine e la vigilanza verso la loro famiglia.

E vorrei che i parroci riuscissero a persuaderli a far celebrare tre o quattro messe all’anno per il bere spirituale e temporale dei figli. Si richiamino all’esempio del santo Giob­be: “Giobbe mandava a chiamare i figli e li purificava, e le­vandosi di buon mattino offriva olocausti per tutti loro” (Giob. 1, 5). Inculcate perciò a tutti questa buona usanza, si­curi che non pochi aderiranno al vostro invito con grande be­neficio delle loro famiglie[30].

 

“Educando alla fede, educhiamo anche alla vera libertà”

 

La sorte avvenire della vostra famiglia e della patria è in poter vostro, o genitori cristiani. A voi la scelta se vi convie­ne affidare i propri figliuoli, che debbono essere il dolce con­forto e lo sperato presidio della vostra tarda età, all’amorosa tutela di Gesù Cristo, del divin maestro di verità e d’ogni or­dinato progresso, o condannarli alla sciagurata e disumana disciplina di maestri d’ogni sorta di ribellione.

Educando i vostri figliuoli alla fede di Gesù Cristo Noi li educhiamo anche alla vera libertà. E a chi ci chiama nemici o amici malfidi della libertà, perché detestiamo cordialmente quella ignominiosa licenza che si arrogò il nome di libertà e il diritto di tutto osare, lecito o no, non abbiamo da rivolgere che questa risposta: la libertà Noi l’amiamo con tutto l’ardo­re dell’anima, pronti sempre a difenderla risolutamente co­me un sacro diritto largitoci dal Salvatone per esercitare il Nostro ministero di pace, e a rivendicarla, per sentimento di dovere, a pro’ di tutte le anime cristiane a Noi affidate. Ma per Noi questa libertà è il poter pensare, parlare e operate sciolti da ogni vincolo ingiusto, solo sottomessi al governo di Dio, rispettosi alle leggi degli uomini. E quanto all’altra li­bertà, che sembra essere il dispettoso diritto di molestare tutti gli altri per contentare se stessi, respingiamo sdegnosa­mente il nome e la cosa: chi vuole e pretende la libertà per sé solo, profana un nome sacro chiamandosi libero: egli è degno di essere schiavo[31].

 

e) LA FAMIGLIA

 

“La famiglia seconda anima dell’umanità”

 

Dopo la Religione non vi è cosa quaggiù più bella e più at­traente della famiglia. Essa fu detta la seconda anima dell’umanità. Nulla di più veto, poiché è in seno alla famiglia che l’uOmo viene formando le idee, gli affetti, i desideRi, i co­stumi. E la famiglia il primo nido dell’anima, la prima scuola dell’intelligenza, il primo albergo della fede, il primo asilo dell’amore, il primo tempio di Dio, il santuario delle tradi­zioni più cane, il teatro giulivo della nostra fanciullezza, il primo e l’ultimo sospiro del cuore. Ciò che noi amiamo di più del nostro paese, ciò che al medesimo ci unisce con vincoli si forti e soavi, ciò che forma in sostanza la nostra patria, è appunto la dolcezza e la potenza arcana degli affetti e delle rimembranze della famiglia. Ciò che noi contempliamo, ad onta della distanza e del tempo, delle dolci visioni della pa­tria perduta, non è solamente il suolo che sostenne i nostri primi passi, il cielo che attirò i nostri primi sguardi, il sole che brillò sulla nostra culla, è soprattutto la casa paterna, sono le pure e sante affezioni che rallegrarono la nostra infanzia, sono le tombe ove riposano i nostri cari. Padre, madre, fratelli, sorelle, le persone più amabili, le cure più tenere, i sacrifizi più generosi, le consolazioni più pure, le immagini più liete, i sogni più ridenti, tali le memorie che ridesta in noi la famiglia. Pochi sono gli uomini che si sottraggono al fascino di queste memorie, e infelici loro! poiché vuol dire o che la natura li ha fatti tristi, o che la dura esperienza della vita ha in loro inaridito ogni affetto più delicato e gentile[32].

 

“Dio stesso è l’autore della famiglia”

 

Dio stesso è l’autore della famiglia, e Gesù Cristo venuto sulla terra a riparare i danni che la catastrofe dell’Eden aveva accumulato sulla povera umanità, comincia l’opera sua rigeneratrice dal ricondurre la famiglia alla sua origine primitiva. Seguendo costantemente il piano divino di far precedere alla parola l’esempio, Esso, Uomo e Dio insieme, nasce nella famiglia, cresce nella famiglia, conduce i suoi giorni nella famiglia, e col primo miracolo che compie alle nozze di Cana per far palese la sua divinità, dimostra evidentemente che esordisce la grand’opera dell’umana Redenzione col santificare e rimettere in onore la famiglia, comunicandole la vita soprannaturale della sua grazia. Ma perché una tale comunicazione non avesse a venir meno giammai, a tutela appunto e a salvezza della famiglia, che fa Egli il divin Redentore? Ammiratene la sapienza e la bontà. A base dell’edificio domestico non si contenta di porre solo il mutuo consenso, il semplice contratto umano, ma vi colloca tutta la dignità e la virtù di un Sacramento, il Sacramento del Matrimonio. Ed ecco benedetta l’unione dei coniugi, santificato il loro amore, rassicurata la loro convivenza, alleggeriti i pesi, facilitati i doveri, stabiliti i vicendevoli rapporti, nobilitata ogni azione, spianata la via del Cielo.

Non basta: rassodata la base, il divino Artefice mette mano a completare l’edificio. E poiché non è dato all’umana paternità di trasmettere colla vita naturale quella eziandio della grazia, Egli, nei tesori della sua bontà infinita, trova modo di immettere quel fluido celeste nei membri tutti della famiglia pel canale misterioso degli altri Sacramenti. Con essi infatti è santificata la culla, tutelata la puerizia, corroborata la virilità, sostenuta la vec{7}chiaia, confortata l’agonia, rischiarata la tomba. Con essi Gesù Cristo medesimo, autore della grazia e della santità, vive, cresce, dimora nella famiglia perpetuamente[33].

 

“La famiglia cristiana è un piccolo regno fondato sull’amore”

 

La famiglia cristiana! Essa è un piccolo regno fondato sull’amore, cresciuto per l’amore e governato dall’amore. L’armonia perfetta de’ cuori, l’intreccio degli affetti più soavi, la più intima unione degli animi è l’unica legge che ne moderi la vita. Siffatto amore, santificato dalla grazia, purificato dalla virtù, nobilitato dalla fede depone la fragile natura, si trasforma di terreno in celeste, e riempie il consorzio domestico di quella pace, che è quaggiù, si può dire, un saggio anticipato delle gioie del Paradiso. Oh, quanto è bello il Matrimonio fatto coll’intervento di Dio, benedetto dalla Chiesa, infiorato dal sorriso della Religione! In esso la grazia di Gesù Cristo, comunicata nel Sacramento, penetra, identifica due vite, due cuori, due anime talmente da formare quell’unità sacra e inalterabile che niuna forza della terra vale a disciogliere, ne a rallentare. E chi potrebbe separare due cuori che si amano nell’amore e coll’amore di Gesù Cristo? Forse il mondo colle sue seduzioni? no; ché a questo santuario, tinto col sangue dell’Agnello divino e chiuso col suggello della fede appié dell’altare{13} di Dio, veglia l’angelo del Signore per respingere ogni nemico assalto. Forse le passioni? no; ché in questo giardino coltivato dalla fede non alligna zizzania, ma solo vi fiorisce quella carità, che, secondo l’Apostolo, è fonte di ogni virtù più eletta, Forse la tribolazione? no: ché il vero amore come divide le gioie, fa comuni le angosce, e alla prova del dolore voi vedrete due cuori che profondamente si amano, stringersi vieppiù tra loro, versare l’uno sull’altro il balsamo di ogni conforto e trovare la propria felicità nel sacrificarsi a vicenda. Beato l’uomo che dalle sventure della vita e dai turbini del mondo può trovare il suo rifugio nel cuore di una sposa cristiana! Forse il tempo? Ah, questo demolitore inesorabile d’ogni cosa bella e mortale, no, neppur esso può far ingiuria ad un amore che arde per Iddio. Passi pure la primavera, le rose della giovinezza appassiscano e l’albero della vita perda le verdi sue fronde; l’amore cristiano vivrà sempre, perché non si nutre di terra, e non è cosa terrena. Esso viene dal Cielo, è figlio dell’amore di Dio e tende all’immortalità. Il ghiaccio della vecchiaia, nulla, nulla può togliere ad un amore alimentato dal fuoco della carità divina. Esso quindi è sempre giovane, e quando due sposi cristiani, compiuta la mortale carriera, si lasciano quaggiù nel tempo (ammirate il commovente spettacolo), col bacio affettuosissimo che si danno, par che dicano: continueremo il nostro amore più bello e più perfetto in grembo a Dio, nella beata eternità[34].

 

“Felice la paternità coronata dalla Religione”

 

Quanto è felice la paternità coronata dalla Religione! Guardate quei due giovani sposi cristiani, sui quali è discesa la benedizione preziosa della fecondità, e un fanciullo che, rigenerato dalla grazia di Gesù Cristo, mediante il Battesimo, vagisce e sorride nella culla sotto i loro sguardi. Quell’angioletto, dono del Cielo, è una felicità terrena, {14}un’estasi, un rapimento. Una dolcezza nuova, una gioia sovrumana inebria i due cuori; e una forza misteriosa li stringe insieme e li attira a quella culla dove hanno un non so che di sacro e di celeste da custodire, da vegliare. Guardate le sollecitudini, le ansietà, i trasporti di quell’uomo che, beato del nome di padre, non vorrebbe mai lasciare quel tetto che possiede tutto il suo cuore. Osservate quella creatura, cui brilla sulla fronte la corona di madre. Che ardenti sospiri, che dolci lagrime, che palpiti affettuosi, che sguardi di riconoscenza e d’amore divide tra il cielo e la culla, tra Dio e il frutto delle sue viscere! Al crescere del fanciullo, cresce l’amore, aumenta la felicità; i sorrisi d’innocenza giocondano la vita di quei due fortunati; per essi la casa è più che un trono; stanno in perpetua festa[35].

 

“Genitori, educate”

 

Genitori quanti siete, educate. L’educazione dei figli sia il vostro primo studio, il vostro continuo pensiero. Il Signore non vi proibisce, purché sia onestamente, di accrescere il vostro patrimonio e di aggiungere nuovo splendore al vostro casato; non vi vieta, purché sieno leciti, di usare a vostro profitto dei beni del mondo. Vivete pure in mezzo alla società e attendete liberamente ai vostri affari; ma ricordatevi sempre, che il vostro primo principio è Dio, giacché foste creati da Lui; che il vostro ultimo fine è Dio, giacché foste creati per Lui; che non siete al mondo per far roba o danaro o per godere i piaceri della vita, ma per salvare l’anima; e l’anima voi non potrete salvarla, se non salverete, per quanto a voi spetta, quella de’ figli vostri. È sentenza comune de’ Santi Padri, che i genitori né si salvano soli, né si dannano soli. Dipende infatti da voi, o padri e madri, la buona o la cattiva riuscita dei figli. Voi, voi soli ne siete i responsabili.

Educate adunque, educate. Io insisto su questo punto, o miei cari, perché d’importanza suprema. La {19}educazione cristiana è il bene maggiore che ai vostri figli voi possiate procurare. Esso vale da solo una rilevante sostanza. Siete poveri? Date ai vostri figli una buona educazione, e la sostanza saranno procurarsela da sé coll’onestà e col lavoro. Siete ricchi? e a che valgono le ricchezze senza l’educazione? a strumento di mal fare e a nulla più. L’educazione cristiana è la migliore e la più sicura delle guarantigie. Le leggi possono qualche cosa, ma voi, o genitori, potete molto più delle leggi. La legge punisce il male, l’educazione lo previene; la legge lo proibisce, l’educazione lo sradica; la legge recide, l’educazione pianta; la legge regola gli atti esterni, l’educazione regola il cuore e forma il carattere. Quando ascoltate luttuosi fatti che col loro spettacolo contristano la società e invocate un rimedio, genitori, stringetevi al seno i vostri figli, imprimete un bacio su la loro fronte, e incuoratevi sempre più alla loro educazione. Questa è la più bella delle risposte, il più sicuro dei rimedii[36].

 

“La vostra vita sia come un libro sempre aperto”

 

La vostra vita sia quindi come un libro sempre aperto in cui essi possano leggere senz’altro i loro doveri. Parlate loro sovente di Dio, prendendo occasione da tutto quello che può impressionarli. Procurate che il loro labbro infantile pronunci spesso con rispetto e con fiducia il suo Nome santissimo. Mostrate ad essi in tutte le cose l’impronta della bontà, della grandezza, della onnipotenza di Lui, e, dall’armonia che insieme unisce le varie parti dell’universo, fate loro dedurre l’obbligo imposto all’uomo di vivere in armonia col fine pel quale venne creato. Insegnate loro per tempo le prime verità della fede e non lasciate mai di condurli nei giorni festivi alla Dottrina cristiana, alla santa Messa, alle funzioni di Chiesa. Leggete loro, ne’ dì festivi almeno, qualche pagina del Catechismo e della vita dei Santi. Assuefateli al bacio devoto del {20}Crocifisso e dell’immagine di Maria SS. e alla preghiera costante mattina e sera. Vi veggano essi cristiani e cattolici in tutto. Cristiani e cattolici nelle abitudini della vita; cristiani e cattolici in quel segno di croce che si deve fare nel porre e nel levare le mense; cristiani e cattolici nell’osservare le astinenze e i digiuni; cristiani e cattolici nel dar sempre e in tutto il primo posto alle cose di Religione; cristiani e cattolici nell’ossequio al vicario di Gesù Cristo e ai sacri ministri; cristiani e cattolici nel concorrere con offerte alle spese di culto; cristiani e cattolici nel frequentare la chiesa, i Sacramenti, la parola di Dio; cristiani e cattolici nelle tribolazioni e nelle prosperità, nelle parole e nelle opere, in privato e in pubblico. Per le loro mani innocenti amate di far passare le vostre elemosine ai poverelli; sentano e gustino per tempo, i vostri figli, le caste gioie e le soavi consolazioni della cristiana carità. No, la Religione non vuol essere e imposta loro come un giogo penoso; ma è d’uopo che ne ammirino per tempo le bellezze e i pregi; che gustino e ne sentano dentro l’arcana, l’inebriante dolcezza; vedano a prova il manto di luce che la circonda e i caratteri di verità che porta scolpiti in fronte. Se l’ossequio non è ragionevole, non saranno che ipocriti[37].

 

 

f) LA FESTA, GIORNO DELLA PAROLA E DEL PANE

 

“La domenica! quanto di sublime si contiene in questa parola!”

 

La domenica è il giorno santo per eccellenza; santo in sé medesimo, santo nella sua istituzione, santo nel suo fine, santo nelle opere che prescrive, santo negli effetti che produce; ed è ugualmente salutare. E’ il giorno della vera libertà, della vera uguaglianza, della vera fraternità, il giorno del nostro riscatto, della nostra grandezza, delle nostre speranze, della nostra gloria, del nostro gaudio, preludio di un giorno beatissimo senza tramonto.

            La domenica è sopratutto il giorno del Signore, il giorno delle sue meraviglie, delle sue benedizioni, de’ suoi trionfi. E’ nella domenica che egli, creando la luce, dava principio all’opera stupenda di questo universo. Nella domenica accese la stella che guidò i Magi, primizie dei gentili, alla cognizione del vero Dio; nella domenica Gesù Cristo ricevette nel Giordano il battesimo e iniziò la sua vita pubblica; nella domenica egli operò il primo de’ suoi miracoli; nella domenica fece il suo trionfale ingresso in Gerusalemme; nella domenica uscì glorioso dal sepolcro, dandoci il pegno sicuro della nostra immortalità; nella domenica conferì agli apostoli il mandato di predicare il Vangelo a tutte le genti e la potestà di rimettere i pec{8}cati; nella domenica mandò agli stessi apostoli il divin Paracleto e li trasformò in banditori e difensori magnanimi della sua dottrina; nella domenica infine stabilì indefettibilmente la sua Chiesa.

Gloria alla domenica! esclama il Crisostomo. Questo giorno è il monumento da Dio stesso innalzato fra il cielo e la terra a perenne testimonianza de’ suoi benefizi e della nostra duplice alleanza con lui; monumento di sapienza infinita, su cui le umane generazioni leggeranno compendiate a caratteri luminosi, fino al tramonto dei secoli, i grandi avvenimenti della religione e dell’umanità, i prodigi della natura e della grazia, i miracoli della potenza e dell’amore, il nome del Padre che ci ha creati, il nome del figliuolo che ci ha redenti, il nome dello Spirito Santo che ci ha santificati. La domenica è tre volte il giorno del Signore![38].

 

“Il giorno che Dio si è riservato nel tempo è sacro”

 

Luogo separato da ogni altro luogo e destinato alla preghiera, ecco il tempio; giorno distinto dagli altri giorni e consacrato al divin culto, ecco la festa. Quello che è il tempio per rispetto al rimanente della città o del paese, lo è il giorno festivo per rispetto agli altri giorni della settimana. Il luogo scelto da Dio per sua dimora sulla terra è sacro e inviolabile, e per conseguenza chi lo contamina è sacrilego: il giorno che Dio si è riservato nel tempo è non meno sacro ed inviolabile, per conseguenza non meno sacrilego deve dirsi chi lo profana. Del tempio il Signore dice: è la casa mia, rispettatela: Pavete ad sanctuarium meum; e della festa dice del pari: è il giorno mio, santificatelo: Memento ut diem sabbati sactifices.

Dio certamente ha il diritto di comandare che una parte almeno di quel tempo, che è suo dono, venga da noi impiegato esclusivamente ad onor suo. Non è egli il nostro Creatore e Signore? Non è il padrone assoluto del tempo e dello spazio?[39].

 

“I giorni dei Santi sono inviolabili come i giorni di Dio”

 

La profanazione della festa è divenuta anche fra noi una delle piaghe più tristi e lagrimevoli, un vero scandalo.

Certo vi hanno ancora famiglie cristiane in gran numero, sia nella città, sia nelle diocesi, che, nonostante la tristizia dei tempi e gli sfor{10}zi dell’empietà offrono, nei giorni festivi specialmente, lo spettacolo di una pietà davvero edificante, e dobbiamo ringraziarne l’Autore d’ogni bene; ma troppo più sono quelli che del divino comando non si curano affatto, se pure non lo calpestano sfacciatamente.

Giudicatelo voi, fratelli e figli carissimi. Non ci contristano forse la vista i negozi aperti e le merci esposte nella domenica, come negli altri giorni? Non ci ferisce tante volte l’orecchio il rumor delle macchine, il gemere dei carri, il risuonar dei martelli? Non è cosa che stringe il cuore vedere bene spesso ne’ dì festivi i poveri operai, e persino i fanciulli, condannati a lavorare senza tregua né posa, come il resto della settimana? Nelle nostre campagne altresì, colpa il più delle volte certi padroni (bisogna dire senza fede e senza pietà), non si conduce da taluni, anche nei giorni festivi, l’aratro? Non si fanno le semine? Non si raccolgon le messi? E tra que’ medesimi che in tali giorni sospendono ogni lavoro, deh, quanti che si danno alla pazza gioia! che si abbandonano a teatri, a balli, a giuochi a stravizi, e peggio! Che dicono qui la ragione, il cuore, la fede?

La ragione, il cuore, la fede protestano altamente contro tanto disordine, e altamente ripetono a ciascuno di noi la grande, la solenne parola: Memento ut diem sabbati sanctifices; ricordati di santificare la festa{11}[40].

 

“Lasciate all’operaio almeno un giorno per attendere a se stesso”

 

L’industria! Il commercio! Sante e nobilissime cose, non v’ha dubbio, ed io faccio voti che abbiano ad estendersi e moltiplicarsi ogni dì più; ma non debbono mai e poi mai estendersi e moltiplicarsi a detrimento di cose ben più nobili e sante, quali sono la dignità e libertà umana. E che! Per moltiplicare i vostri godimenti, per aumentare a vostro profitto la produzione, vorreste fare dell’uomo uno schiavo, una bestia da soma? Barbari che siete! Ignorate forse che in quel corpo abbronzato dal sole, in quelle membra indurite dalla fatica, vive un’anima al pari della vostra immortale? Non sapete voi che, agli occhi della scienza e della fede cristiana, l’operaio è in tutto, fuor che nella condizione, eguale al più nobile dei principi, al più potente dei monarchi? Egli anzi, appunto perché operaio, riflette più al vivo l’immagine dell’Artefice eterno che die’ essere e forma alle cose, e del divino Artigiano di Nazaret il quale, col suo esempio, nobilitò la povertà e il lavoro.

Non lo uccidete dunque, il povero operaio, non lo avvilite, nol degradate così! Rispettatene la dignità, lasciategli almeno un giorno per attendere a sé stesso, lasciategli agio d’istruirsi ne’ suoi doveri, di assidersi al focolare domestico, di prender parte alle pubbliche solennità, di pregustare nel tempio le gioie dello spirito {24} e di prepararsi al suo destino immortale. Dategli insomma il riposo festivo[41].

 

“Nella domenica si aprono all’uomo le quattro sorgenti della divina misericordia: la parola evangelica, la preghiera, il sacrificio, i sacramenti”

 

Il precetto della festiva osservanza è proprio, a preferenza degli altri precetti, giogo soave, peso leggiero; è, dirò con uno scrittore eminente, un ritorno alle benedizioni dell’Eden, una sospensione della terribile legge del lavoro penoso, una tutela  del povero e del debole contro le oppressioni del ricco e del potente, un grido di libertà santa, un invito del Padre celeste che, raccogliendo intorno a sé la sparsa famiglia, entra con tutti i suoi figli nelle più intime e affettuose comunicazioni. In quel giorno si aprono all’uomo, ad ogni uomo, le quattro sorgenti della divina misericordia: la parola evangelica, la preghiera, il sacrifizio, i sacramenti. In quel giorno la terra s’innalza, il cielo si abbassa, le creature tutte ci parlano con linguaggio di fede, di speranza, di amore, e l’anima sente tutta la propria morale grandezza {21} e gusta, anche in mezzo alle dure prove della vita, gioie in paradiso[42].

 

“Un giorno in cui l’anima possa elevarsi libera”

 

L’ignoranza in fatto di religione, quale si scorge pur troppo in tanti e tanti, specie della classe operaia, non è forse più spaventosa che la miseria? Oggi più che mai, è vero, si fanno sforzi lodevolissimi per istruire le masse popolari; ma quante volte, sotto la maschera dell’istruzione, s’insegnano e si diffondono massime che sono del popolo la rovina! Fu e sarà sempre gloria immortale della Chiesa l’essere stata in ogni tempo la grande maestra degli uomini. Senza dubbio la scienza non può essere che privilegio di pochi, ma le verità fondamentali della religione debbono essere patrimonio di tutti. Si possono, come dice benissimo un insigne prelato, ignorare gli ardui problemi dell’algebra, ma non i problemi della vita; si può ignorare la storia di tanti popoli, ma non la storia della nostra origine; si può ignorare se vi sieno abitatori nei pianeti, ma non già che noi dobbiam divenire abitatori del cielo. Ora a siffatta necessità di cognizioni provvede appunto la festa. In tale giorno su tutta la terra si aprono ai popoli i sacri templi {18}e da essi, come da una scuola universale, si diffonde a vantaggio di tutti la scienza più nobile e più sublime.

Non basta. Qual’è, o dilettissimi, il nostro vero titolo di superiorità su tutte le cose che ne circondano? Egli è questo senza dubbio: che entro il fragile involucro del nostro corpo, destinato a soccombere, vi ha ciò che dà vita alla materia inerte, vi ha ciò che trascende lo spazio, che sfida il tempo e che trionfa della morte; Vi ha il pensiero che rispecchia in sé l’universo; vi ha il sentimento che abbraccia l’infinito; vi ha la volontà con la sua libera energia; vi ha l’anima, in una parola, l’anima fatta ad immagine di Dio, che di Dio ha sete continua e che a lui anela incessantemente, come il cervo anela alla fonte, come l’ago tende alla calamita, come l’onda precipita al mare.

Orbene; non dovrà esservi ogni settimana un giorno in cui quest’anima, alleggerita dal peso delle cure terrene, sottratta alle agitazioni della vita materiale, possa a Dio avvicinarsi? Un giorno in cui possa elevarsi libera ai più puri orizzonti e godere un po’ di pace?[43].

 

“La festa è il giorno della famiglia”

 

Giorno di Dio e giorno dell’uomo, la festa è altresì il giorno della famiglia.

Oh, la famiglia! Quanti dolci pensieri, quanti gentili affetti suscita in noi questa cara parola! Si lamenta da tutti, e con ragione, che lo spirito di famiglia vada di giorno in giorno affievolendosi in mezzo all’odierna società; ma il lavoro della festa, divenuto più frequente che per lo passato, non è forse una delle cause principali di sì funesto disordine? E come i membri di una stessa famiglia non diverrebbero in qualche modo stranieri gli uni agli altri, se non venisse la festa a riunirli nell’intimità delle domestiche pareti? Negli altri giorni la famiglia è, più o meno dispersa. Il padre sta occupato nell’esercizio della sua professione, la madre nel governo della casa. E i figli? O sono a scuola o nella officina. Non vi ha che la domenica in cui tutti possono ritrovarsi, rivedersi un po’ a lungo, intrattenersi a loro agio, stringere i vincoli di un affetto reciproco e godere insieme della felicità della vita domestica. Passare la festa in famiglia, questa frase così comune nel linguaggio de’ nostri padri, compendiava per essi le gioie più pure, com’è d’altra parte la espressione fedele del sentimento morale[44].

 

 

“Nella festa tutti si sentono padroni del tempo, dei pensieri, degli affetti, della vita, dell’anima”

 

Osservate una popolazione cristiana in quel giorno. Tutti s’incontrano nel tempio. La gioia brilla su tutti i volti, la pace discende in tutti i cuori.{26}

Libertà, uguaglianza, fraternità non sono più per quel popolo vane parole, ma una realtà consolante. Il povero come il ricco, il servo come il padrone, l’umile operaio come il grande capitalista, l’infimo impiegato come il magistrato più distinto sono liberi di sé. In quel giorno tutti senza eccezione sentonsi padroni del tempo, dei pensieri, degli affetti, della vita, dell’anima loro. Tutti si trovano fra le braccia della stessa Madre, innalzano al cielo la stessa preghiera, s’inginocchiano col sentimento della stessa adorazione, ascoltano la stessa parola di verità, professano la stessa fede, offrono lo stesso sacrificio, si assidono alla stessa mistica mensa, sospirano alla stessa patria, e tutti, per la comunanza dello stesso dovere compiuto, si sentono più intimamente figliuoli del medesimo Padre che è nei cieli; e dal tempio esce un’aura di amore e di pace che tutto vivifica e tutto ricrea[45].

 

“Assistere alla Messa nella propria parrocchia”

 

L’opera che la Chiesa premurosamente consiglia a’ suoi figli si è, di assistere alla Messa nella propria parrocchia, quante volte comodamente lo possano. Infatti il sacro Concilio di Trento ingiunge ai Vescovi di ricordare ai fedeli questo dovere, e altrove ordina loro di avvertire il popolo a frequentare la propria parrocchia, almeno la domenica e nelle feste più solenni. E non senza ragione, perocché, scrive un grande, la Messa parrocchiale è, a dir vero, la Messa di famiglia, celebrata a nome di tutta la parrocchia riunita e per tutti i fedeli che ne fanno parte, e suole essere accompagnata da preghiere, dagli atti del cristiano, da opportuni avvisi e dalla spiegazione del Vangelo. Il proprio parroco è appunto per legge della Chiesa obbligato ad applicare nei giorni festivi il santo Sacrifizio pe’ suoi parrocchiani, affinché questi, concorrendovi ad ascoltarla, e fruiscano del frutto della Messa e con le loro preghiere e con la loro devozione accompagnino l’intenzione del pastore, e così salgano accetti a Dio i comuni voti, come di una concorde famiglia col suo capo assembrata. I pastori meglio conosceranno le loro pecorelle e sapranno meglio chiamarle per nome, come dice il Vangelo[46].

 

 


2. APOSTOLO DEL CATECHISMO

 

“Apostolo del Catechismo”  fu definito Mons. Scalabrini da Pio IX. I suoi primi pensieri come parroco e come vescovo furo­no rivolti all’istruzione religiosa della gioventù mediante il cate­chismo, primo e naturale insegnamento, compendio della dottri­na cattolica, sorgente di vita cristiana. Al rifiorimento catecheti­co dedicò il primo Congresso Nazionale nel 1889.

Il catechismo deve essere insegnato “dappertutto e sempre”, dal pulpito e nella scuola, nella famiglia e nelle apposite Scuole della Dottrina Cristiana. L’insegnamento deve essere graduale e ciclico, comprendendo tutto l’arco formativo, dai bambini agli adulti. E insegnamento vitale, perché educa nella fede, se i mae­stri e le maestre si modellano sul “primo catechista”, Gesù Cristo, ricopiandone lo zelo e l’amore.

La catechesi è eminentemente cristologica: far conoscere e amare Gesù Salvatore. La pedagogia catechetica è l’arte più dif­ficile: deve essere studiata, esperimentata e perfezionata secondo la metodologia più adatta al catechizzando, che deve essere impegnato nell’intelligenza, nella volontà, nel cuore, nei sensi. La catechesi è l’apostolato più efficace, perché mira a formare Cristo nei fedeli.

La scarsa cultura popolare del tempo induce lo Scalabrini a pronunziarsi per un catechismo unico: “un codice della fede uguale per tutti” i cattolici e per tutti i paesi, di modo che la mo­bilità geografica non pregiudichi nel popolo la sicurezza della re­gola della fede e della morale.

 

a) IL PRIMATO DELLA CATECHESI

 

“Apostolo del Catechismo”

 

A me piange il cuore in vedere che tanti giovani studenti si perdono, mentre tanto facilmente noi potremmo salvar­li!... Siano per essi, o fratelli, le nostre cure più sollecite e af­fettuose. Salviamola; oh salviamola cotesta povera gioventù studiosa, e tutto avremo salvato con essa!... Non è solo per l’affetto grande che io le porto, che ardisco qui di nuovo innanzi a voi questo grido, ma anche per sdebitarmi, dirò così, di una promessa che già feci a Pio IX di s.m. Continui, mi disse un giorno con quel suo fare tutto paterno, continui, Monsignore, ad essere l’Apostolo del Catechismo e in co­sì dire, forse perché non avessi a dimenticare la raccomanda­zione, mi regalava, alla presenza di parecchi Vescovi, questa croce... Confuso a un tratto di degnazione tanto improvviso quanto immeritato, non so che rispondessi. Questo però ricordo benissimo, che presi impegno di tradurre in atto, me­glio che per me si potesse, quelle parole ed anche di ripeterle in ogni opportuna circostanza ai miei Confratelli di Ministe­ro. Adunque, parroci e sacerdoti quanti qui siamo, armiamo­ci di zelo fonte, illuminato, costante; facciamoci gli Apostoli del Catechismo[47].

Distanti, più che non sia il Cielo dalla terra, dallo zelo di un S. Carlo Borromeo, di un S. Francesco di Sales, di un B. Paolo Burali, Nostro glorioso antecessore, da un V. Bellarmino e di altri insigni Pastori viventi, Ci sentiamo ardere però da vivissimo desiderio di seguirne, almeno da lontano, le orme in quest’Opera salutare del Catechismo, né mai e poi mai cesseremo di pregare, di affaticarci, di instare opportunamente ed importunamente, con ogni pazienza, fino a che non Ci riesca vederla perfettamente compita e possa la Nostra amatissima Diocesi servire in ciò alle altre di edificazione e di esempio[48].

 

“I nostri primi pensieri furono rivolti alla gioventù”

 

Appena che fummo dal Supremo Gerarca destinati al regime di questa nobile ed insigne Diocesi, i nostri primi pensieri furono rivolti alla gioventù, e parlando con voi, V. F., vi esortammo a tener fronte al danno incalcolabile prodotto dai libri e dai giornali cattivi, che come diluvio irrompe ad invadere la terra, onde schiantare od impedire lo sviluppo del sentimento cattolico; Vi scongiurammo in nome di Dio a vegliare attentamente l’istruzione religiosa dei fanciulli, ad abbassarvi insino a loro, a non perderli mai di vista, a dividere insieme ai loro genitori le premure di indirizzarli alla pietà, di ammaestrarli in tutti i punti della Dottrina Cristiana, a rassodarli nella fede cattolica.

Le nostre parole che alludevano all’insegnamento del Catechismo erano da voi accolte con plauso, o V. F., e Noi siamo lieti di rendere questa pubblica testimonianza al vostro zelo, sperando che i voti ardenti del Nostro cuore intorno al Catechismo saranno coronati[49].

 

“Il Catechismo è il più naturale e il primo insegnamento”

 

L’anima, sebben giovanetta, quando sia bene istrutta nel Catechismo, sente in se stessa il suo Dio, vi si slancia con ardore, lo ama, lo adora attraverso le bellezze, che adornano l’universo. Chi ha fatto qualche esperienza in proposito non abbisogna di parole per esserne convinto. Parlate di Dio ad un fanciullo in quel modo che si conviene alla sua età e capacità, ed egli vi mostrerà che voi non gli parlate di un Essere estraneo alla sua natura. Nel fondo dell’animo di lui l’Essere Supremo ha fatto sentire la sua esistenza sino dai primordii della vita, e pel Catechismo sviluppandosi nel fanciullo questo germe prezioso gradatamente secondo l’età, gli fa brillare alla mente la parte più bella e sublime di sua vita.

L’idea di Dio apparisce fin dai primi albori dell’umana ragione, e le stolide teoriche delle scuole senza Catechismo, sono confutate tuttodì dalle madri, che parlano ai loro pargoletti del Padre celeste, a Cui alzano le loro preghiere; e questi colle mani giunte, cogli occhi volti al Cielo, colla voce commossa ripetono le sacre parole che pronunzia la madre e il loro cuore intenerito si armonizza ai battiti di quello che li inspira. L’idea vaga, la simpatia di quell’Essere misterioso e benefico che, quantunque invisibile, è pur sempre presente ed accoglie i voti dei miseri mortali, basta per commoverli profondamente fin dall’età nella quale comincia a snodarsi la loro lingua.

Educate religiosamente un giovanetto e lo vedrete tenerello ancora proferire con rispetto il nome di Dio, e, senza che pur se ne avvegga, prenderà le massime della fede come prima legge della sua mente, del suo spirito che comincia a sentire se stesso. Ascoltando con meraviglia i miracoli della creazione, gl’immensi beneficii della redenzione, conoscerà con allegrezza purissima il vincolo, che unisce la terra al cielo, l’uomo a Dio. Sentirà svegliarsi nell’anima l’affetto, la riconoscenza verso il Creatore, pregherà con amore e con fede; e tutto ciò eserciterà un’influenza grande sopra il suo avvenire, il suo spirito, la sua coscienza, il suo carattere, e forse sopra i destini di tutta intera la vita.

L’istruzione religiosa facendo rifiorire nei giovanetti le prime e più elette virtù, la fede, l’obbedienza, la pietà, la modestia, l’angelico pudore, che rifugge da ogni idea meno casta, che insegna a schivare quanto vorrebbe inchinare l’animo a cose indegne, lo cresce a sostegno e a decoro della Chiesa, ad ornamento e ad onore della patria e della famiglia.

Mentre adunque si è destato nella società un vero entusiasmo per dare ai bambini, e ciò sta bene, la più perfetta educazione fisica e morale, perché non si vorrà intendere la necessità ben più urgente di insegnar loro assai per tempo quei rudimenti di fede, che sono il principio della grande opera della cristiana educazione, il fondamento e la base di tutta la vita? Non v’ha dubbio: l’insegnamento del Catechismo, deve essere la prima istruzione da impartirsi ai fanciulli[50].

 

“Il Catechismo è il compendio di tutti i dogmi e di tutta la morale della Chiesa Cattolica”

 

Il Catechismo cattolico preso nel suo significato generale altro non è che un breve compendio di tutti i dogmi, di tutte le dottrine, di tutta la morale della Chiesa cattolica; compendio mirabile che soddisfa a tutte le aspirazioni delle umane facoltà, a tutti i bisogni dell’anima, alla quale dilucida e spiega le più ardue e grandi questioni che la interessano.

Il Catechismo è quindi il codice, che dirige la coscienza, che fa conoscere Dio, gli alti destini dell’uomo, i sacri doveri che lo stringono al Creatore, al prossimo, a se stesso. È una compendiata, ma completa esposizione della fede, e tutte le sue parole furono talmente ponderate, che disse ottimamente, chi lo definì: la più pura sostanza dei dogmi e della morale del Cristianesimo. È una Teologia elementare, ma profonda, accomodata all’intelligenza di tutti, positivissima, perché ciascuna delle sue formole racchiude una precisa verità, espressa, scolpita con parole esatte ed evidenti.

Il Catechismo, così Monsig. Rendù Vescovo di Annecy, è un corso di altissima filosofia compiuta, che non lascia senza risposta veruna delle quistioni che toccano l’umanità; veramente universale e popolare, che dà le sue soluzioni in modo da essere intese anche dai più volgari, e che nelle nostre borgate forma ogni di assai più sapienti che non ne abbia mai posseduto la Grecia antica, sapienti tali, che a dieci anni ti sanno di leggieri risolvere i formidabili problemi, intorno ai quali inutilmente si occuparono i Pitagora, i Platoni, gli Aristoteli; filosofia eminentemente credibile perché l’ha creduta l’universo incivilito, e si è incivilito appunto col crederla; filosofia che non crollerà in eterno, avendo per base non gli assiomi ed i ragionamenti di una metafisica nebulosa, ma fatti luminosi al pari del sole; filosofia sì chiara e ricca di luce che coi dodici articoli del simbolo ha dileguate le spaventose tenebre del mondo antico, e coi comandamenti di Dio e della Chiesa, ha dato alla civiltà l’unico fondamento che la possa sostenere; filosofia finalmente indistruttibile, perché come la tempesta delle obbiezioni, con cui venne in ogni tempo assalita, altro non fece che meglio comprovarne la divina solidità, così i momentanei trionfi de’ suoi nemici altro effetto non possono avere che di prepararle nuove vittorie.

Il Catechismo contiene una scienza tutta divina, che ha per maestro Dio, innanzi al Quale i più grandi ingegni del mondo, che menarono tanto grido e furono tenuti in conto di oracoli, non sono che un nulla e tutti gli splendori della loro sapienza che ombre e nulla più. Questa scienza infatti, sollevando l’uomo al dissopra di ogni creata cosa, lo trasporta sino al trono dell’Eterno Padre e gli svela la generazione del divin Verbo e la processione dello Spirito Santo; gli scopre in quell’oceano di grandezze perfezioni infinite e una infinità di infinite perfezioni e misericordie ineffabili e misteri meravigliosi quale l’Incarnazione, la Croce, i Sacramenti e tante altre verità, che ci rivelano i più profondi misteri di Dio.

Il Catechismo quindi, che si fonda tutto intero sulla parola rivelata da Dio alla sua Chiesa e che in germe tutto si contiene in quell’ordine del divin Maestro agli Apostoli: andate e ammaestrate tutte le genti, è un libro che supplisce a tutti i libri, a tutta la umana sapienza; è il libro dei piccoli non meno che dei grandi, degli idioti, non meno che dei dotti, il solo libro che conta in tutte le classi milioni di credenti, pronti a difenderlo anche a costo del sangue, perché contenendo tutta la dottrina evangelica, propriamente parlando, riconosce per suo primo autore la stessa Incarnata Sapienza. Non vi ha adunque, dopo la santa Scrittura, libro più nobile, né che possa e debba interessare sì vivamente la società quanto il Catechismo cattolico[51].

 

“Vera sorgente della vita cristiana”

 

La Catechesi non era considerata come una semplice scuola di Religione, ma come una famiglia, nella quale si crescevano le anime per Dio, per la Chiesa, pel Cielo; un santuario, un sacro asilo, ove si imparava ad amare la fede; un ovile, dove si radunavano le pecorelle del divin Pastore, affine di ricevere gli alimenti convenienti alla debolezza della loro età. Lo spirito degli uditori quivi si abituava ai pensieri cristiani, la mente veniva esercitata ad intendere ed a giudicare le cose non più secondo i lumi della pagana sapienza, ma secondo i lumi della fede evangelica; i catechisti si adoperavano colla più grande carità ed accordo a formare in quelle anime ancor giovanette nella fede, lo spirito di Gesù Cristo, anzi Gesù Cristo istesso: Donc formetur Christus in vobis[52].

 

“Il frutto del primo Congresso Catechistico in parte già ottenu­to”

 

Dirvi, o Confratelli, i sentimenti ond’è compreso l’animo mio in questo momento, non m’è possibile. Le eloquenti pa­role che risuonarono fra queste pareti fin dal principio, le tante belle e confortevoli cose qui udite, le tanto utili propo­Ste discusse, le tanto care ed opportune considerazioni pur ora applaudite e che furono degno suggello ai nostri lavori, hanno dato pienamente a conoscere quanto sia grande l’amore che arde nei vostri cuori verso Colui che ha detto altro non voglio ignem veni mittere in terram et quid volo nisi ut accendatur? A Lui pertanto, a Lui solo l’onore e la gloria, a Lui oggi l’inno della lode e del ringraziamento.

Sì, ringraziamolo che ci abbia qui non invano raccolti. Il frutto del primo Congresso Catechistico si può dire in parte già ottenuto. Non poterono infatti i nostri popoli rimanere indifferenti all’opera nostra.

Gran cosa, s’è udito esclamare testé, gran cosa convien di­re che sia cotesto Catechismo se, unicamente per fare che venga meglio conosciuto, si sono qui radunati tanti insigni personaggi; se un Principe della Chiesa e dei più illuminati, se tanti Presuli illustri, se tanti zelanti pastori di anime, se tanti dotti scrittori venuti da ogni parte d’Italia, e non senza sacrifizi e disagi, d’altro non si occuparono in questi giorni che di ravvivarne lo studio e la pratica! Gran cosa per cento dev’essere!... E tale riflessione fatta qui, e sicuramente in tut­ti i paesi donde veniste, credete voi, Ven. Confratelli, non abbia fatto del bene? Credete voi non sia germe di buoni e santi propositi per l’avvenire? Ma noi tutti sappiamo che ne­que qui plantat est aliud, neque qui rigat, sed qui incrementum dat, Deus. A lui nuove azioni di grazie[53].

 

“Promovete l’istruzione religiosa con ardore di carità”

 

Promovete, ve lo raccomandiamo caldissimamente, l’istruzione religiosa, curandone il regolare andamento con ardore di carità nelle Scuole del Catechismo. Deh! o Venerabili Parrochi {15}e Sacerdoti, infervorate in quest’opera di Dio, ve ne scongiuriamo, i buoni, scuotete gl’inerti, rassicurate i timidi, confortate i diligenti. Oh, quanta allegrezza recherete agli Angioli! quanta edificazione ai fedeli! quanta consolazione al Nostro cuore paterno, se, raccoltavi intorno un’eletta schiera di giovinetti, le insegnerete, con quell’affetto che sola sa inspirare la carità, a conoscere, ad amare, a servire il Signore! Noi presto ce ne convinceremo, visitando le Scuole del Catechismo con particolare compiacenza in ogni Parrocchia. Pensate che Noi ci aspettiamo in tale incontro la più cara, la più dolce delle Nostre consolazioni e mentre Ci rallegreremo nel Signore con voi e saremo larghi di encomii per i veri Pastori, non potremo certo dissimulare, neanco in pubblico, il gravissimo Nostro rincrescimento a chi non avesse ancor fatto, per quanto gli era possibile, il dover suo, in cosa di tanta necessità[54].

 

 

b) LA NECESSITÀ DEL CATECHISMO

 

“Istruzione religiosa, o, in altri termini, CatechismoLa

 

Istruzione adunque, V. F. e F. C., istruzione religiosa; o, in altri termini: Catechismo! essendo appunto il Catechismo il fondamento di siffatta istruzione.

Potessimo di questo libro farvi apprezzare come {16}si conviene tutta la grandezza e l’importanza, tutta la efficacia!

Il Catechismo è il perno della vita cristiana. Esso, per usare le belle espressioni di uno dei più dotti scrittori moderni, è il libro dei libri; e, ancorché abbia apparenza di libriccino assai umile, pure, se si eccettui la Bibbia, sopravanza tutti gli altri. E la ragione è, che esso contiene ne’ suoi primi germi la profondissima e santissima dottrina lasciata, come il più bello de’ suoi tesori, da Gesù Cristo alla Chiesa. Laonde non solo tutto ciò che insegnano il Papa e i  Vescovi oggi, ma ciò che essi insegneranno sempre: non solo i dommi cristiani, ma la teologia, la filosofia e la letteratura cattolica, sono frutti di quei germi catechistici, senza i quali non sarebbero venuti mai in luce, e anche ora da quei germi traggono alimento e vita. Chi dunque voglia conoscere intera la bontà e bellezza del Catechismo cattolico, deve fare come colui che, avendo tra le mani alcuni semi, non si contenta di gettare un’occhiata sopra di essi, ma ne considera le virtù nascoste e pensa che quei semi, messi in certe condizioni opportune, s’aprono man mano in grandi alberi, ricchi di rami, di foglie, di fiori, di frutti.

Il Catechismo! Esaminatelo anche per poco, ma attentamente, e vedrete, diremo con altri, come questo libro ammirabile, questo codice di popolare sap{17}ienza, benché piccolo di mole, contiene da solo ciò che per noi è più necessario a sapersi, cioè la scienza del nostro destino coi mezzi per conseguirlo; si adatta a tutte le età, risponde ai bisogni di tutte le condizioni e di tutte le intelligenze, scioglie in un modo determinato e sicuro tutti i problemi della vita, e basta da solo a formare i buoni cristiani, i virtuosi cittadini. Con formole chiare, brevi e precise, che via via si svolgono e s’ingrandiscono, esso fa nascere la fede nei piccoli, l’alimenta negli adulti e negli uomini maturi la corrobora e la fortifica[55].

 

“Catechizzate dappertutto e sempre”

 

La prima Comunione, la Cresima, sono le occasioni più ordinarie. Non basta. Dovete catechizzare i fanciulli nella chiesa, nella casa, nelle vie, nelle scuole, nelle domestiche conversazioni, nei sermoni, dappertutto e sempre. E non solo i poveri e quei del contado, benché  a costoro dobbiate avere amore particolarissimo, ma anche i nobili e i borghesi, perciocché tutti sono egualmente figliuoli di Gesù Cristo non v’è ricco  o povero, nobile o plebeo.

Soprattutto però importa che vinciate un grave pregiudizio, invalso tra molti, che cioè il Catechismo s’abbia da insegnare soltanto ai fanciulli, quasi che la Madre Chiesa, dopo di averci amorosamente nutriti col latte della santa Dottrina bambini o pargoli, ci lasci poi a noi stessi. La Chiesa invero non ci lascia a noi stessi, neanche una sola ora della nostra vita, imperocché la sua maternità è perseverante, continua, instancabile. Ogni età e ogni condizione di vita ha bisogno di speciale e di più largo cibo di dottrina. Epperò catechizzate ancora gli adulti. Il catechismo dev’essere nelle loro mani un’arma potente per vincere le terribili battaglie della vita; e deve soprattutto insegnare ad essi che fuggano il peccato, santifichino il dolore nella pazienza, vivano con Gesù Cristo sempre, imitandone gli esempi, e che pongano infine il cuore nella speranza della vita av{29}venire. Una istruzione catechista, la quale non consegua questi frutti, no, non è degna di un ministro di Gesù Cristo e della Chiesa, ed è anzi morta o quasi morta.

Ma vi hanno anime che richieggono in modo particolare le vostre cure più sollecite e affettuose e sono, come vi dicemmo altre volte, i sordomuti e le sordomute, che si trovassero per avventura nelle vostre Parrocchie. Deh, che anch’essi per opera vostra giungano ben presto al conoscimento delle verità e possano assidersi rigenerati a questo festino dello spirito![56].

 

“Educhiamo, educhiamo!”

 

Educhiamo, educhiamo! Colla cristiana educazione noi possiamo tutto; senza di essa tutto il resto che giova? Se le arti, se le amene lettere, se le umane discipline si vogliono veder rifiorire, conviene che torni a ravvivarle la fede. Se si vuole il vero progresso della scienza, conviene che il seme delle celesti dottrine sia sparso a larga mano nel campo del Signore e che fino dai più teneri anni s’infondano nell’animo dei giovani gli insegnamenti della Chiesa cattolica. Quanto più i nemici della Religione si adoprano a spargere dottrine, che offuscano la mente e corrompono il cuore, tanto maggiore dev’essere {38}l’impegno de’ genitori e de’ maestri, affinché ai loro figli e ai loro discepoli sieno insegnate le cattoliche verità. Ad una scienza falsa, nemica della fede e della stessa ragione, dobbiamo opporre una scienza poggiata sopra saldi, immutabili principii, conforme alla ragione ed alla divina rivelazione, non potendo mai esser contrari fra loro i dettami della fede e quelli di ragione, essendo Dio degli uni e degli altri supremo autore. E base di vero sapere è il Catechismo cattolico; non dimenticatelo. S’insegni il Catechismo dai genitori nelle case, dai sacerdoti nel tempio, dai maestri nelle scuole, e dal Catechismo apprenderanno i figli a venerare i genitori, che sono immagine del Padre celeste; dal Catechismo apprenderanno i sudditi a rispettare nei principi l’autorità, che viene da Dio; dal Catechismo apprenderanno tutti quella carità, che ci fa simili a Dio e ci rende utili ai nostri fratelli[57].

 

“Ritorni il catechismo nelle scuole e con esso vi ritorni Dio”

 

Mi sia permesso parlare con quella libertà che nessuno può contendere ad un Vescovo. Mi sia permesso di fare un voto, anzi di rivolgere a tutti nel nome di Dio, per la salvezza delle anime, pel bene della stessa società civile, una preghiera, che mi sgorga dal fondo del cuore in questo momento. Ritorni, ritorni la Religione, ritorni il sacerdote, ritorni il Catechismo in tutte le scuole. Vi ritorni non già come un mendico, al quale a stento si lascia valicare la soglia di casa, ma come un amico fedele, come un antico benefattore cacciato in un momento di dispetto e d’ira ingiusta. Ritorni il Catechismo nel­le scuole e con esso vi ritorni Dio. Poiché dove non è Dio, lo si sappia da tutti, non sono che le tenebre; là dove non è Dio è il buio più fitto quanto ai principii morali[58].

 

“Perfezionare le facoltà dell’uomo armoniosamente”

 

L’istruzione, anche del solo intelletto, e l’alfabeto che ne è il primo gradino, è un bene, un bene da diffondere quanto e più di altri, come sarebbero per esempio, la salubrità dei luoghi e l’igiene del corpo umano. È uno svolgimento della na­tura umana, anzi uno dei più nobili svolgimenti, e chi lo av­versa è reo di lesa umanità. Ma come tutto ha una misura, e tutto ha un fine, questa istruzione si proporziona non solo al­le varie classi degli uomini, ma deve armonizzarsi con tutte le perfezioni, di cui è ciascuno capace. Il perfezionare le facoltà dell’uomo armoniosamente si dice educare, e l’educa­zione abbraccia il corpo e lo spirito, il cuore, gli affetti, la fantasia, la volontà insieme con l’intelletto (...).

Ogni volta, che non si cerca di religiosamente educare nel fanciullo la natura e la dignità umana; ogni volta che si tra­scura di formare in lui l’uomo come Dio lo concepì, l’uomo come Dio lo ha creato, l’uomo come Dio vuole che si formi e si compia; ogni volta che non si adempiono queste cose, si tradisce, si viola il rispetto che e dovuto al fanciullo ed alla sua grandezza originale. Infatti l’uomo, nato essenzialmente imitatore e libero di sé, ove non sappia quelle grandi verità, che trovano si facile credenza in un cuor retto, che è, secondo la bella espressione di Tertulliano, naturalmente cristiano, ne sia formato all’esempio di virtù e di religiosi esercizi, cre­scerà deforme, qual pianticella selvaggia, e apportatrice di tristissimi frutti, né a sì grave male si potrà facilmente recare opportuno rimedio. Il comporre infatti a virtù ed al bene l’animo ancor tenero, è facile cosa, ma estirpare i vizii cre­sciuti cogli anni è difficilissima[59].

 

“Si sveglino i genitori”

 

Ma perché tutte le diligenze e industrie dei Parroci e del Ven. Nostro Clero e di tutti i ven e fervidi Operai della Dot­trina Cristiana, troppo scarso frutto daranno sempre, finché non si sveglino i genitori ad intendere ed esercitare il loro de­bito sacrosanto verso i figliuoli, perciò a loro rivolti, all’orec­chio loro intimiamo con quanto abbiamo di forze, che si riscuotano e si rammentino la Strettissima obbligazione che hanno di educare bene quelle anime, dalla Divina Provvi­denza a loro affidate, quasi sacri gelosi depositi. Doce filium tuum, dice lo Spirito Santo (EccI. XXX, 30) e S. Paolo: edu­cate filios vestros in disciplina Domini (Eph. VI, 4). Ricordino sempre che dalla tenera età principalmente dipende la buona o cattiva riuscita dell’uomo. Dio ce lo ha assicurato e l’espe­rienza lo conferma si può dire ogni giorno, che il fanciullo preso che abbia una strada, non se ne allontanerà nemmeno quando sarà invecchiato (Prov. XVII, 6).

Non siate quindi, o padri e madri, ve ne scongiuriamo per le viscere di Gesù Cristo, non siate di quegli sgraziati genito­ri più solleciti di educare i proprii figli pei comodi e vantaggi temporali, e di far loro apprendere cose vane e fors’anche pe­ricolose, di quello che si diano pensiero del loro vero bene spirituale ed eterno, più solleciti di formarli allo spirito, alle massime, agli usi tutti del mondo, che ai sentimenti di reli­gione, di pietà e di fede[60].

 

“Voi genitori dovete essere i primi Maestri del Catechismo”

 

I nuovi bisogni dei popoli esigono nuove cure e sollecitudini senza fine per trasfondere lo spirito cristiano nei fanciulli, fortificarne nel bene la volontà, illuminarne e volgere a rettitudine la coscienza, nobilitarne i sentimenti, formare, secondo la mirabile espressione dell’Apostolo, Gesù Cristo, nelle anime loro, sublimandole fino a Dio. I giovanetti sono gli uomini dell’avvenire, entro pochi anni essi saranno i padri, le madri, gli operai, i ricchi, i mercanti, i magistrati delle Parrocchie e dell’intera Diocesi; guadagnarli a Dio, ecco la via più breve e più sicura per riformar tutto. In tempo di pace generale e di fede, Parroci buoni, regolari, di una comune virtù possono bastare, ma ora che il grido dell’empietà, non più si ode da lungi, ma ci incalza e mena strage, ora che il furioso uragano freme e scoppia e a guisa di traripante fiumana nel suo impeto minaccia travolgere e seco trascinare tutte cose, è necessario che l’apostolato per l’istruzione religiosa dell’infanzia, eccitata in altri tempi da Dio, rinasca in tutta la sua ampiezza, e che lo zelo sia pari almeno alla malvagità dei tempi.

Ma tutte le diligenze e le cure del Clero cadrebbero in gran parte a vuoto se voi non vi svegliaste, o genitori, ad intendere ed esercitare i vostri doveri verso dei figli, divenuti in tempi sì tristi {19}doveri esclusivamente personali. Imperocché a voi non è ignoto che anche là ove si dovrebbe ammirare la gravità e l’assennatezza del pensare, abbondano uomini leggieri e superficiali, i quali tutta disprezzando l’antica sapienza degli avi e calpestando l’istoria e l’esperienza delle generazioni passate, reputano il Catechismo un nonnulla, un vecchio arnese di casa fatto inutile, un impedimento ed un ostacolo alla prosperità ed alla gloria delle Nazioni; sicché tanti giovani, istruiti forse in altro, o non lo apprendono come si dovrebbe, o presto, con incredibile insipienza, lo dimenticano e lo disprezzano. Voi dunque, o Genitori, dovete essere i primi Maestri del Catechismo ai vostri figli, giacché col vincolo coniugale vi addossaste questa gravissima obbligazione: voi non siete i loro genitori secondo la carne che per essere i loro genitori secondo lo spirito[61].

 

 


 

“Voi padri e madri, avete l’officio e l’obbligo di partecipare l’insegnamento della Chiesa ai vostri figli”

 

A voi poi, o Madri, in modo particolare ram{20}menteremo che dovete la prima istruzione religiosa ai vostri figli, i quali, sempre con voi, ascoltano la vostra voce, vi credono, vi obbediscono a preferenza di qualunque altro, a voi che nella qualità esclusiva che adorna la maternità, avete delle risorse che vi rendono atte più che altri a questo nobilissimo dovere. Quella premura pertanto, che voi avete perché non manchi ai vostri figli l’alimento corporale, dovete usarla pel sostentamento della loro vita spirituale mediante la prima istruzione catechistica. Quelle grandi verità apprese dal materno labbro non si cancelleranno sì facilmente dalla mente e dal cuore dei vostri figli, e voi, o Madri cristiane, adempiendo a questa parte gloriosa dell’apostolato cattolico affidatovi, avrete ben meritato delle anime e della Chiesa. Scolpite però bene in mente, o genitori, che i fanciulli vivono di imitazione e che l’esempio vostro, più che le parole, valgono a loro vantaggio ed incoraggiamento.

Non vi accontentate adunque di mandare i vostri figli alla Dottrina Cristiana, ma conduceteli voi per tempo, siate frequenti voi stessi onde abilitarvi ad istruirli. Sebbene vi trovaste per ventura anche in possesso di tutta la scienza della Fede, pensate che le verità della Religione quanto più si ascoltano e si meditano, tanto più in esse si scuopre di lume celeste che rischiara e diletta le anime, e che d’altra parte {21}dovete ai figli l’esempio di rispetto, di obbedienza alla Chiesa, di religiosità, di cristiana edificazione, onde prepararli ad un felice avvenire. Sia norma di vostra condotta questo bellissimo ricordo di S. Agostino: I Sacerdoti hanno l’obbligo e l’officio di insegnare la Cristiana Dottrina a voi, o padri e madri, nella casa di Dio, alla quale siete tenuti intervenire, e voi da parte vostra avete l’officio e l’obbligo di partecipare l’insegnamento della Chiesa ai figli vostri ed a coloro che sono alle vostre cure commessi[62].

 

c) LE SCUOLE E I MAESTRI DELLA DOTTRINA CRISTIANA

 

“Erigiamo in tutta la Diocesi le Scuole della Dottrina Cristiana”

 

Noi conosciamo, V. F., le gravi difficoltà, le molte fatiche a tal uopo necessarie; ma nulla è impossibile alla carità ed allo zelo: essi sono i grandi inspiratori e maestri di ogni bene. Vi sono Parroci, e Noi ben lo sappiamo, che collocati anche in difficilissime posizioni, colla carità appunto e collo zelo hanno saputo fare quanto vi abbiam detto, anzi alcuni assai più, istituendo feste ed esami e premii pel Catechismo, chiamando a brevi spirituali esercizii i giovanetti della Prima Comunione, a cui danno meritamente una suprema importanza, istruendo per{25} lungo tempo i Maestri e le Maestre, valendosi di tutto e di tutti per promuovere quest’Opera del Signore.

Sì, o V. F., colla carità e collo zelo si operano grandi cose, vi diremo con S. Agostino, senza molta fatica, poiché lo zelo è fecondo, inventivo, paziente infaticabile, la carità non teme le fatiche, anzi le ama e ne è beata: « Ubi amatur non laboratur, aut si laboratur, labor amatur; » colla carità e collo zelo si pensa a tutto, tutto si tenta e si continua, succedono industrie ad industrie, alle quali è sostegno e sprone l’infallibile promessa di Dio: Coloro che ammaestreranno molti nella giustizia, scintilleranno quasi stelle nella interminabile eternità. (Dan.12)

Noi quindi richiamiamo in pieno vigore la Compagnia e le Scuole della Dottrina Cristiana, Scuole che istituite già dai Vescovi Nostri Antecessori, ripetutamente rialzate da Sinodi Diocesani, caddero sì in talune Parrocchie da non restarne quasi indizio che sieno state erette. Come Vescovo e Pastore destinato dallo Spirito Santo a pascere il gregge col cibo salutare della celeste dottrina, ERIGIAMO E DlCHIARIAMO ERETTE IN TUTTA LA NOSTRA DIOCESI LA COMPAGNIA E LE SCUOLE DELLA DOTTRINA CRISTIANA, a sgravio di Nostra coscienza, a maggior bene delle anime a Noi affidate e a maggior gloria di Dio[63].

 

“In ogni parrocchia si formeranno quattro classi”

 

In ogni Parrocchia si formeranno quattro Classi:

La I.a del Piccolo Catechismo:

La II.a della Prima Comunione:

La III.a del Catechismo grande:

La IV.a degli adulti.

1.       Alla prima Scuola si ascriveranno i più piccoli fanciulletti che devono apprendere le principali verità della fede, e nelle Parrocchie popolose, questa Classe potrà essere suddivisa secondo il numero dei Maestri che si hanno e dei giovinetti che vi intervengono.

          L’istruire a parte quelli che si preparano per la prima Confessione, è cosa ottima, giacché sull’animo dei fanciulli fa sempre grande e salutare {48}impressione l’essere separati dagli altri per uno scopo religioso e santo.

2.       Alla Scuola della Prima Comunione saranno ascritti i fanciulli e le fanciulle che entro l’anno devono ammettersi alla mensa Eucaristica. Quanto all’età, seguendo la Dottrina di S. Carlo, potranno essere accettati quelli che hanno circa dieci anni. San Alfonso De Liguori scrive così: La Comunione Pasquale deve farsi prendere dai figliuoli nell’età, ordinariamente, dei nove o dieci anni, al di più di dodici.

          Un anno intero, ed anche due pei meno capaci, di speciale istruzione e di ansiosa aspettazione, non è soverchio, anzi necessario e di sommo vantaggio.

3.       La terza Scuola servirà per quelli e per quelle che vennero di già ammessi alla Prima Comunione. In questa Scuola, che potrà essere suddivisa in varie Classi secondo il bisogno, è uopo completare l’insegnamento religioso con una esposizione chiara, nobile, dignitosa, sempre facile e piana; con istruzione soda, ben preparata, che convinca, sviluppi e fortifichi la fede, che formi di ogni giovinetto un cristiano di retti giudizii, franco, che trovi nella sua fede non impressioni passaggiere, ma  profonde di virtù, di sante abitudini, che sappia resistere ai venti furiosi che flagelleranno la sua credenza, ai marosi che le ruggiranno intorno.

{49}4.       Alla quarta Classe apparterranno infine gli adulti. E’ questa la Classe fatta ordinariamente al popolo prima della dottrina spiegata del pergamo. Molti Sinodi provinciali e Diocesani ordinano che anche i Sacerdoti, che attendono a questa istruzione debbano leggere le domande e le risposte del Catechismo, spiegandole colla massima semplicità e riguardo alle parole e riguardo al senso. Lo scopo di tale istruzione, come di questa Classe, si è di rendere capaci i genitori, ed in generale gli adulti, ad intendere e spiegare esattamente lo stesso Catechismo ai loro figli. E’ sì importante per l’avvenire religioso delle famiglie che un tale scopo venga raggiunto, che Noi confidiamo che tutti, anche i Sacerdoti e Parroci, che fanno la quarta Classe, vi si atterranno pel maggior vantaggio dell’istruzione[64].

 

“Chi non arde di questo fuoco celeste non può dirsi veramente cristiano”

 

Chi ha fede, chi vive di fede, non solo ama Dio, ma sente­si spinto a farlo amare anche dagli altri, ché l’amore non si adatta mai all’indifferenza. Di qui quella febbre dei santi di tutto sacrificansi per la salvezza delle anime. Di qui quei pro­digi di carità e di zelo che leggiamo nelle loro storie e che for­mano l’ammirazione dei secoli. Lo zelo della gloria di Dio li consumava, ne li lasciava mai riposare un istante. Chi non arde di questo fuoco celeste, no, non può dirsi veramente cri­stiano, veramente cattolico. Vero cristiano e cattolico è colui che non dice solo cole labbra ogni giorno: Signore, venga il tuo regno; ma che studia tutti i modi, adopera tutti i mezzi, impiega tutte le sue forze, perché questo regno sempre più si dilati e si renda stabile sulla terra. Vero cristiano e cattolico è colui che ha fame e sete della giustizia, che cerca di farla e conoscere ed amare dagli altri, col promuovere specialmente l’istruzione religiosa e coll’applicarvisi egli stesso[65].

 

“Gesù Cristo l’eterno modello”

 

L’amore ineffabile e le tenerissime sollecitudini di Gesù Cristo verso i fanciulli sono la gloria e l’eterna benedizione dell’infanzia cristiana, sicché il Maestro del Catechismo non può né deve avere altro esemplare diverso da Colui, che ha catechizzato tutta la terra. I più grandi Maestri del Catechismo, i più perfetti, non furono tali, se non perché ricopiarono in se stessi, e più degli altri, l’immagine di questo divino modello (...).

Accendete in voi adunque, o Maestri del Catechismo, il sacro fuoco d’amore che ardeva nel cuore di Gesù per la fan­ciullezza, e siate persuasi che non sarete mai degni del vostro ministero, se non amerete Gesù Cristo e in Gesù Cristo quelle giovani pecorelle del suo mistico gregge (...).

Ma Gesù Cristo deve essere adorato non solo come model­lo del modo, col quale devonsi trattare i giovinetti, ma anche del modo di istruirli. Il metodo adoperato da Gesù Cristo nell’insegnare è divino, e quindi il più conveniente ai fanciul­li.

Dalle pagine immortali del Vangelo appare che Gesù Cristo istruiva con tutta l’autorità, ma nello stesso tempo cola massima semplicità. Egli si vale di esempi, di brani di storia, propone parabole, similitudini. Gesù interroga, si lascia in­terrogane, dà schiarimenti, brevissime risposte. Nel tempio, sulle rive del Giordano, sopra una barca, seduto in cima al monte inculca con famigliari istruzioni le più profonde verità dogmatiche e morali, interrompe sovente i suoi sermoni, e chiede soavemente: avete capito quanto vi spiego? Intellexi­stis haec omnia? Ora comincia con una interrogazione, e per imprimere più vivamente nello spirito la verità impegna dia­loghi animati cogli uditori (...).

Il Vangelo si può dire il libro del Catechismo di Gesù Cristo Nostro Signore, ed ogni istruzione è divinamente larga, soda, magnifica, semplicissima; essa riempie di luce celeste, scuote, commuove, trascina con tutta la pienezza della ve­rità, dell’autorità; essa sarà eterno ed adorabile modello dell’insegnamento cristiano, come Gesù Cristo e l’eterno ed adorabile modello della carità e della santa tenerezza, che il Maestro del Catechismo deve professare per l’infanzia[66].

 

“La scuola del Catechismo non si limita ad insegnare, ma educa nella fede”

 

La scuola del Catechismo non si limita ad insegnare ai fanciulli le verità della fede, ma educa i fanciulli stessi nella fede; non insegna soltanto il Cristianesimo ai fanciulli, ma educa i fanciulli nel Cristianesimo. Non bisogna solo istruire, ma educare; non coltivare e sviluppare solo la mente, ma il cuore. Il Catechista, appellato da S. Paolo non tanto pedagogo ma padre, deve allevare per Dio, per la Chiesa, pel Cielo quei teneri alunni, formando in loro l’intelligenza, il cuore, il carattere, la coscienza cristiana colle esortazioni, cogli esempi, colle pratiche, coi religiosi esercizii[67].

. Non si  tratta già solo di far apprendere ai fanciulletti le principali verità della fede, ma di formare e di sviluppare in essi la coscienza ed il sentimento cristiano; si tratta di prepararli alle grandi pratiche religiose, a ricevere i Sacramenti della Penitenza e della Cresima; si tratta di avvezzarli a parlare il linguaggio della fede, a temere, a sperare in Dio[68].

Non basta pertanto l’istruire, è mestieri che questo Catechismo di perseveranza dia una vera e forte educazione cristiana, che sia non solo una buona scuola di religioso insegnamento, ma bensì una grande istituzione religiosa; che non solo insegni ed inculchi i principii della fede, ma li insinui nel cuore, li faccia entrare nelle quotidiane abitudini della vita[69].

 

“Adoperino i Maestri lo zelo particolarmente”

 

S. Bernardo vuole che lo zelo verace sia infiammato dalla carità, informato dalla scienza, reso invincibile dalla costanza, circospetto nella scelta dei mezzi, fervido ed invitto nel ridurli alla pratica attuazione. Quando il Maestro è fornito di tale zelo, egli non si attiene ad alcuna condotta particolare. Egli è calmo, rigoroso, pieghevole, coraggioso, facile, purché salvi le anime. Tale zelo tutto insegna per crescere alla vera pietà le anime dei fanciulli e distoglierli dalle gioie menzognere e strepitose del mondo.

Adoperino i Maestri lo zelo particolarmente, così S. Carlo, in cercare di mantenere e di accrescere ogni giorno un’opera di tanta importanza, il che faranno, se con diligenza e prontezza procurerà ciascuno di far bene l’ufficio suo, non risparmiando a fatica veruna, che vedrà esser per quella necessaria[70].

 

“Unire all’insegnamento una soda pietà”

 

Ma, perché l’insegnamento del Catechismo produca frutti ubertosi, è uopo che sia impartito con singolare pietà, giacché non a chi pianta, né chi irriga, ma è Dio che dà il necessario incremento. La grazia, è vero, non distrugge, ma perfeziona la natura, non esclude, ma suppone le umane industrie, a quel modo istesso che la forma suppone la materia; nondimeno è sempre la grazia divina che irrora e feconda le fatiche del Catechista, il quale perciò deve unire all’insegnamento una soda pietà, affine di chiamare sopra di sé de’ suoi alunni le più elette benedizioni celesti[71].

Pregate adunque, o Maestri del Catechismo, e Colui, che è ricco in misericordia, vi esaudirà al di là dei vostri voti; pregate con pietà: è questa la vita dei santi, la vita nascosta con Gesù Cristo in Dio; colla pietà e colla preghiera divente­rete ancor voi colonne della casa di Dio, delizia della Chiesa, salvezza dei fanciulli, che troveranno in voi il più forte soste­gno, la luce più viva[72].

 

“Capiscano i vostri allievi che voi li amate”

 

Conoscano i vostri piccoli allievi che voi li amate; che se vi affaticate, vi affaticate unicamente pel loro bene, e allora es­si riceveranno volentieri anche i vostri ammonimenti e vo­lentieri vi ascolteranno. Persuadetevi: i fanciulli han biso­gno, più che altro, della tenerezza, ma della tenerezza della pietà. Lungi pertanto da voi quel fare aspro e severo, quel tono di voce imperioso che tanto li disgusta[73].

Sia compagna al Maestro del Catechismo una grande dol­cezza di modi che non pieghi e non degeneri in mollezza, che si converta talvolta in una prudente severità, ma non giunga a durezza. La è tal via di mezzo difficile a conseguirsi, ma pure la si può raggiungere, quando si pensa agli immensi van­taggi, dei quali è nobile sorgente[74].

I Maestri devono sempre aver presente che l’indulgenza coi fanciulli e sempre più giusta del soverchio rigore, che non devono pretendere troppo, che vi ê una sobria perfezione, difficilissima ad aversi, ma senza la quale tutte le regole, an­che le più sagge, valgono a poco, che infine la natura del fan­ciullo, più cattivo in superficie che in fondo al cuore, bisogna indirizzarla, aiutarla, non mai violentarla, tendendo con for­za al fine, ma disponendo ogni cosa con soavità[75].

Estenderanno la loro carità anche fuori della scuola, sor­vegliando la condotta dei loro discepoli, memori che sono anime le quali costano il sangue di Gesù Cristo e che con po­ca fatica possono formare alla vita cristiana, con immenso vantaggio delle famiglie, preparando a se stessi una corona di gloria. Avviseranno i genitori sul contegno, profitto, e intor­no alle mancanze dei loro discepoli, mostrando a ogni occa­sione zelo prudente e caritatevole interesse per la buona riu­scita dei giovanetti[76].

 

“È più facile formare un oratore valente che un buon Catechista”

 

È più facile, si suol dire, formare un oratore valente che un buon Catechista, e perciò non incresca al parroco o a chi ne fa le veci, di chiamarsi intorno i maestri del Catechismo, e leggere egli stesso qualche lezione, spiegando il significato di ciascuna parola (...). Ne deve accontentarsi di far ciò qualche volta, ma deve continuare per mesi e anni sino a che il meto­do d’insegnamento sia penetrato e ben conosciuto[77].

 

“Reputo la Catechetica una delle scienze più necessarie”

 

Fare il Catechismo ai fanciulli si piglia ordinariamente per la cosa più facile del mondo: tutt’altro! Certo far ripetere pappagallescamente la dottrina del Catechismo la è cosa faci­lissima, ma la scienza e l’arte del catechizzare! ma la dottrina del Catechismo farla intendere ai fanciulli, sminuzzarla, adattarla a quelle piccole menti, renderla insomma latte ai pargoli! hoc opus hic Iabon. Si richiede per riuscirvi studio, diligenza, fatica e un buon corredo di cognizioni. Io per me reputo la Catechetica una delle scienze più necessarie agli ec­clesiastici, perché il catechizzare è una delle principali fun­zioni del sacro ministero.

Che voglio dedurne da tutto questo? Quello che fu accen­nato ieri mattina dal mio Ven.mo Confratello di Ventimi­glia, che cioè a mettere in favore l’insegnamento del Catechi­smo e assicurare quei frutti più abbondanti che richieggono i presenti bisogni del popolo cristiano, è indispensabile una scuola di buoni catechisti (...).

Vi sono scuole destinate a formare i maestri e le maestre elementari; e perché non potrà, anzi non dovrà esservene una destinata ad allevare e formare i maestri della più subli­me delle scienze, come della più difficile delle arti, qual e questa di insegnare il Catechismo?

Ed è appunto sulla istituzione di una scuola di Catecheti­ca, che verte la mia prima proposta[78].

 

“Una grande Associazione di Catechisti”

 

Tra le vane proposte, una io intendo di fame, che non sa­rebbe altro fuorché l’attuazione del pensiero tanto sapiente­mente e opportunamente esposto da Vostra Santità nella me­moranda Enciclica “Humanum Genus” e che purtroppo fino­ra fu lasciato lettera morta. L’attuazione cioè di una grande Associazione in Italia di Catechisti, la quale avesse per isco­po di caldeggiare l’istruzione religiosa nelle parrocchie, nelle famiglie, nelle scuole, che si adoperasse per raccogliere offer­te, per istituire le feste del Catechismo, della Prima Comu­nione, per distribuire premi, in una parola, per contrapporre un argine alla massoneria imperante (...). Senza dubbio que­sta Associazione prenderebbe subito grande slancio, qualora nell’imminente Congresso io potessi annunziare che Voi, Beatissimo Padre, ne avete non solo benedetta l’idea, ma in­coraggiata efficacemente l’attuazione. Oh, se potessi chiude­re il Congresso con questa semplice notizia: il nostro grande e generoso Pontefice Leone XIII offre, come base di questa Associazione, la somma di centomila lire![79].

 

 

d) LA PEDAGOGIA CATECHISTICA

 

“La cognizione e l’amore di Gesù Salvatore deve occupare il primo posto”

 

La cognizione e l’amore di Gesù Salvatore deve occupare assolutamente il primo posto nello spirito del cristiano, per­ciò bisogna trasfondergliene una grande idea sino dalla prima età, inspirandogliene il più tenero amore, la più grande con­fidenza, la più viva ed efficace devozione[80].

Chi insegna pertanto il Catechismo non deve mai dimenti­care che tutta l’istruzione religiosa ha per iscopo di far cono­scere Iddio e Gesù Cristo, la quale cognizione, come è Scritto nel Vangelo, e la vita eterna[81].

Oltre la parte del Catechismo assegnata a ciascuna classe, si mettano continuamente Sotto gli occhi dei giovanetti Gesù Cristo, la Chiesa, il suo Capo augusto. Gesù Cristo autore e consumatore della nostra Fede, centro della Religione, no­stra unica speranza, e ciò che Egli è, e come Dio, e come uo­mo: la Chiesa, immacolata sua sposa, colonna e fondamento di ogni vera, madre di tutti i fedeli, fuori della quale non vi è salute; il supremo Pastore, il Vescovo dei Vescovi, l’infalli­bile Maestro di verità, il Papa, devono formare oggetto della fede, della scienza, del più affettuoso e profondo rispetto dei fanciulli. La fede della generazione crescente e minacciata in mille modi rispetto a questi punti; è necessario pertanto cre­scerla soda, forte, illuminata; una fede senza serio fonda­mento, una pietà di abitudine e di sentimento mal potrebbe resistere al torrente degli errori, che al presente sconvolgono la società cristiana[82].

 

“Il Catechismo sia compreso nel significato di ogni sua parola e nell’insieme delle verità”

 

Il maestro soprattutto sia chiaro. «Chi ama davvero l’evidenza, così S. Agostino, non si cura di andare in traccia di belle parole, né di ciò, che riesca ben detto, ma piuttosto di ciò, che ben esprima e dichiari quello, che intende di esporre. Quindi, disse bene un cotale, trovasi in questo modo di esprimersi una certa diligente trascuratezza.»

I fanciulli infatti non le intendono quelle parole, e se vengono avvezzati a proferirle materialmente, non ne trarranno vantaggio alcuno. E necessario adunque spiegare colla maggior semplicità e famigliarità, con nozioni e figure sensibili tutte e ciascuna parola del Catechismo, affine di rendere capaci quei giovani intelletti di apprendere le auguste verità dogmatiche e morali della fede. È frequente il caso di udire giovanetti recitar francamente a memoria ciò, che non intendono; colpa dei maestri, che suppongono in essi soverchia facilità d’intendere le parole e le espressioni catechistiche.

Spiegato quindi il valore di ogni parola, il maestro riprenda da capo, sviluppando il senso e la forza della risposta, riproponendo sotto varii aspetti la cosa, sbagliando talora a bella posta le risposte, per lasciare ai fanciulli il vivo piacere della correzione, dispensando opportunatamente lodi e rimproveri, tenendo desta l’attenzione finché quella parte di Catechismo sia compresa nel significato di ogni sua parola e nell’insieme della verità augusta che significa (...).

«Il Catechista non si inoltri di più senza che prima abbia conosciuto dal tono della voce, dalla gaiezza dello sguardo dei fanciulli, che furono colpiti dalla verità proposta»

Quando si parla ai fanciulli, quando essi rispondono, è uopo studiarne i sentimenti, l’atteggiamento, l’aria del loro volto. Si direbbe che gl’interni loro sensi tutti traboccano  - all’esterno, e avidi di sapere, così S. Agostino, dimostrano con segni, quando hanno inteso. Il maestro, che non si attiene a questa regola tradirebbe il proprio mandato con grande danno dei giovanetti a lui affidati. Si guardi perciò il maestro di non annoiarsi; né di stancarsi dal ripetere, senza fretta di avanzare, memore del gran detto di S. Agostino: «è tanta la profondità della Dottrina Cristiana, che se dalla fanciullezza sino all’età decrepita non avessi studiato altro con tutto comodo, con sommo studio, con migliore ingegno, avrei ogni giorno fatto in essa maggior progresso[83].

La loro capacità è assai limitata, la memoria, la riflessione, l’intelligenza, non sono esercitate, il loro linguaggio è pove­rissimo e le risposte del Catechismo Diocesano spesse volte sono di troppo complesse per loro che abbisognano, dire coll’Apostolo, di latte, non di solido cibo, cioè di una istru­zione espressa con parole e frasi semplicissime, che non supe­rino la loro infantile portata. Ordinariamente quindi negli asili si fa uso di alcune domande e risposte stralciate dal Pic­colo Catechismo che non costituiscono punto un insegna­mento graduale, né sì intimamente collegato da sviluppare nell’animo del bambino il germe della fede e della vita cri­stiana, inserita in lui dalla grazia battesimale[84]

 

Renderlo quasi incancellabile”

 

Ciascun alunno abbia il Catechismo proprio della Classe, a cui appartiene, ed il maestro glielo faccia studiare il più pre­cisamente che sia possibile (...).

Un’importante verità è racchiusa in ciascuna delle sue formule; le parole e le frasi sono talmente ponderate che lo scambio con altre può talvolta alterare la sostanza delle cose (...). Di qui l’importanza di assegnare festa per festa una le­zione breve, ma da impararsi e recitarsi sempre alla lettera, non permettendo mai al fanciullo di mutar neppure una pa­rola, neppure una sillaba (...).

Un tale studio imprime si fortemente nella memoria il te­sto del Catechismo da renderlo quasi incancellabile con im­menso profitto delle anime, le quali, anche nei loro travia­menti, ne troveranno sempre nel loro spirito quasi indelebili le formole a rimprovero ed a condanna. Si sono veduti degli uomini, i quali avevano perduta la Fede, erano passati per tutte le fasi dell’incredulità, i quali tornando a Dio, dopo quaranta o cinquanta anni di vita irreligiosissima, si ricorda­vano di tutte le risposte del Catechismo con grande loro consolazione e vantaggio[85].

 

“L’immaginazione venga in soccorso dell’intelletto”

 

Bisogna adoperarsi perché l’immaginazione venga in soc­corso dell’intelletto, col porre innanzi immagini, che spieghi­no le verità del Catechismo. Il libro della natura, diceva S. Francesco di Sales, è atto per le similitudini, per le compara­zioni, per i paragoni e per altre mille cose. Gli antichi Padri ne sono ripieni, e le Sante Scritture ne hanno continuamen­te. Il Santo non si limitava a dar precetti, ma quando inse­gnava il Catechismo, usava di molte e sorprendenti immagi­ni, fiorivano sulle sue labbra le più adatte comparazioni. Se­gua il maestro questo nobilissimo modello e l’opera sua sarà feconda di frutti assai rilevanti[86].

Tenga però la maestra ben presente l’avvertenza di non insinuare nell’animo dei fanciulli a riguardo del Paradiso e dell’Inferno idee troppo materiali, inesatte o false allo scopo di fare impressione sul loro animo. Nell’insegnamento reli­gioso bisogna sempre attenersi a ciò che insegna la fede e non lasciarsi portare dalla fantasia, neppure per motivo di bene. Un’idea materiale può fare viva impressione infatti nei bambini, ma cresciuti in età ne conoscono la falsità ed insie­me coll’idea falsa troppo facilmente disprezzano e rigettano anche le più sacre verità[87].

Usino i maestri, per quanto è possibile, dei racconti; pare che essi rendano più lunga l’istruzione, ma invece l’accorcia­no di molto, e le tolgono l’aridità (...). Iddio, che conosce ap­pieno lo spirito dell’uomo da Lui creato, ha sistemato la Reli­gione in fatti popolari, i quali non aggravano, ma aiutano i semplici a concepirne ed a ritenerne i misteri[88].

 

“Sensi e spirito, tutto il fanciullo si occupi di ciò che studia”

 

La maestra tenga sempre presente questa osservazione:

Nell’istruzione religiosa anche della prima fanciullezza, non si deve separare dalla mente il cuore e la volontà, ma tutto lo spirito, cioè mente e cuore e volontà si devono informare al vero e al bene, che ci presenta la fede cristiana. Si valga in­somma di ogni occasione, anche della ricreazione, dei fiori, di tutto, per far ammirare ai bambini la grandezza, la bontà, la perfezione di Dio, e per coltivare il senso di Dio che gli è stato comunicato nel Santo Battesimo, quel germe divino della grazia battesimale inserito nell’animo per portare il suo frutto[89].

Si risvegli nei giovanetti l’entusiasmo del sentimento, si tocchino soavemente tutte le corde del cuore, si usufruttino tutte le loro buone qualità, perché abbiano a concepire idee amabili, gioconde, pietosamente belle della loro Religione, che li renda felici e lieti nella semplicità della loro fede. A rallegrare l’animo dei fanciulli e rendere cara la Religione giova moltissimo il canto[90].

Si valga delle tavole, delle quali sono forniti gli asili, che rappresentano il Cielo e la Terra, per far comprendere in qualche modo la grandezza e le leggi dell’universo, e riempi­re l’animo dei bambini di meraviglia e di stupore[91].

La passione e morte di Gesù Cristo deve essere raccontata spesso ai fanciulli (...). Per imprimere sempre più vivamente nei cuori questi misteri, si giovi la maestra dell’immagine del Crocifisso e di altre relative alla passione, che una costante esperienza insegna giovar moltissimo nell’istruzione religiosa della fanciullezza[92].

 

Prudenza e pazienza”

 

La prudenza, questa preziosa virtù, deve insegnare ai Maestri il modo di contenersi coi vari caratteri e colle svania­te indoli dei fanciulli. Usi prudenza nel riprendere a tempo e coi debiti modi i fanciulli dissipati, orgogliosi, immodesti, per far sentire loro il bisogno di essere savii ed attenti. Usi prudenza nel sostenere con affetto i primi sforzi, che il fan­ciullo fa contro se stesso per emendansi (...). Usi gran pru­denza nel non permettersi azione alcuna che non sia buona, e non presenti da nessun lato ombra di male[93].

Abbiate adunque molta pazienza, o Maestri, accumulate nella memoria del fanciullo buone idee; verrà tempo che esse si riordineranno da sé medesime. Abbiate molta pazienza nel sopportare i naturali vivaci, irrequieti, impetuosi[94].

Se non si usa massima parsimonia e cautela nei castighi, è troppo facile far nascere nell’animo dei giovanetti noia, di­Sgusto, avversione al catechista, al Catechismo e alla stessa Religione. La storia registra dei nomi, che suonano incredu­lità e cinismo, i quali confessarono d’aver incominciato la fu­nestissima lor disposizione all’empietà nella fanciullezza, quando vennero, nella scuola del Catechismo, troppo severa­mente puniti. Da quel giorno pendettero ogni piacere, ogni affetto per tale istruzione, e fatti padroni di se stessi, non vollero più sentirne parlare (...).

Le punizioni sono necessarie, ma occorre osservare con un sapiente educatore, che la gioia e la confidenza devono esse­re la disposizione ordinaria dei fanciulli, altrimenti si rimpicciolisce il loro spirito, si abbatte il loro coraggio; se sono vi­spi si irritano, se sono calmi, diventano quasi fatui. Il casti­go rigoroso è quel rimedio violento delle malattie estreme, che purga, ma altera l’organismo e lo frustra[95].

 

“Una forma che attiri e conquisti”

 

Farla conoscere questa Religione in tutta la sua natia bel­lezza e farla conoscere soprattutto alla gioventù studiosa (...): porgerle l’insegnamento religioso in modo più adatto ai bisogni dell’ora presente, in una forma che attiri e conquisti e, come si esprime benissimo un illustre oratore, in un am­biente, se pur si voglia, che non sia il tempio e che pure con­tinui l’opera del tempio. A provvedere a straordinarie neces­sità è inutile perderci in vane discussioni, occorrono mezzi fuor dell’usato[96].

E necessario scolpire nell’animo dei giovani i dettati della fede, premunirli contro i maestri d’empietà, che non manca­no in nessun luogo, mostrar loro nello stesso tempo tutta l’indegnità, la follia, la miseria degli uomini increduli; ma non già a modo di polemica, bensì con esposizione chiara, nobile, dignitosa, con istruzione catechistica soda, ben preparata, che convinca, sviluppi, illumini, fortifichi la fede, la quale, fondata in questo caso, come dice il Vangelo, non sull’arena, ma sulla noccia, resisterà vittoriosa contro ogni assalto dei nemici[97].

 

“Istruite con affetto”

 

Si tratta di alimentare la vita, non già materiale, ma spirituale dei fanciulli col pane dell’istruzione religiosa. Dovete ben persuadervi, Fratelli carissimi, non esservi forse oggidì opera di questa più santa e più gradita al Signore, più necessaria e più utile al civile consorzio, più consolante e più meritoria per voi medesimi. Con ogni sollecitudine rischiarate le menti, combattete l’ignoranza, distruggete i pregiudizi, fate conoscere ed amare la Religione, cominciando appunto dalla tenera infanzia.

I fanciulli, vi diremo colle parole così piene di   saggezza e così pratiche d’un eminente Vescovo italiano, i fanciulli accoglieteli con amore e con dolcezza paterna quando vengono a voi, e se non vengono, a somiglianza del divino Pastore domandate di loro, cercateli per le vie e per le piazze; stimolate l’inerzia e la trascuratezza dei genitori; instate presso di loro, pregateli affinché mandino alla dottrina i loro figliuoli. Lungi i castighi ed i rimproveri; lungi i modi duri ed aspri, che li allontanerebbero da voi; fatevi fanciulli voi pure, se è necessario per guadagnarli a Gesù Cristo; dissimulate la loro leggerezza e la loro indocilità; compatite la {27}loro rozzezza e la loro lentezza in apprendere ciò che insegnate: non mostratevi giammai stanchi od annoiati di loro; con una carità senza limiti, continua, ingegnosa, paziente, benigna, che tutto soffre, che tutto spera, bisogna supplire al difetto de’ mezzi e a quel manco di autorità, che il tempo e gli uomini ci hanno tolta. In una parola, non datevi pace insino a che le Domeniche e le Feste non vedrete intorno a voi la bella corona di tutti i fanciulli della Parrocchia. Nelle istruzioni siate brevi, chiari e semplici; i vostri modi siano amabili ed insinuanti: temperati l’aridità dell’insegnamento, frammezzando racconti ameni e morali, onde mescere il dolce all’utile, e invogliarli ad essere assidui alle vostre istruzioni. Dove i parrochi non abbiano coadiutori, o questi non siano atti, si rivolgano ad alcuni buoni laici, ad alcune pie donne, perché li aiutino, raccolgano e conducano alla chiesa i fanciulli e le fanciulle e mantengano il necessario silenzio.

Istruite, istruite i figliuoli che la Chiesa vi ha affidati e sia un’istruzione educatrice la vostra; poiché, e qui ponete ben mente, a nulla di bene tornerebbe un suono di labbro vanitoso e sterile, se quella parola non la convertite in un sentimento. Istruite con affetto e carità e istruite sempre[98].

 

 

e) UN CATECHISMO PER TUTTI

 

“Un codice della fede uguale per tutti”

 

Oggi più che mai, sì pel numero delle vie, che per la va­rietà e facilità dei trasporti, le nazioni più dissociabili e lon­tane si sono strette fra loro e avvicinate, si sono, per così dire, mescolate insieme e molti, per mancanza di lavoro, o per desiderio di arricchire, o anche solo per la speranza di mi­glior fortuna, si recano di città in città, di provincia in pro­vincia, di regno in regno, senza aver mai alcuna stabile dimora. Non mai, come oggi, fu sì grande il numero delle emigra­zioni e degli emigrati. Che ne viene perciò? Ne viene pur­troppo che i fanciulli, nell’animo dei quali e sì necessario gettare per tempo i semi delle cristiane virtù, costretti a seguire la sorte dei loro parenti, restano privi ben spesso di quella re­ligiosa educazione che si apprende fra le domestiche mura e assai difficilmente nelle cose dell’anima vengono istruiti.

Si ponga mente difatto. O essi emigrano dal paese natio ad altro paese di lingua diversa, il che non raro avviene oggi­giorno, e allora doppia difficoltà. La prima dalla differenza della lingua; la seconda dalla non uniformità, almeno quanto al senso ovvio, della dottrina da imparansi. Oppure, come ac­cade, si può dire, quotidianamente, fanno essi passaggio da una in altra Diocesi, dove il linguaggio è lo stesso, e allora chi non vede a qual confusione, qual turbamento debba l’intel­letto loro ancor debole andar soggetto per la diversità del te­sto?

Ben è veno che una stessa cosa può esprimersi in diversa maniera, intatta rimanendone la sostanza, ma ciò non arriva­no ad intendere i fanciulli e le persone più rozze. L’esperien­za dimostra infatti che meccanica più che altro è la loro me­mona, sicché nella loro mente, non sono già le cose che chia­mino i nomi, ma sono piuttosto i nomi che suggeniscono le cose; anzi vediamo che quando si mutano le parole vengono a mutare per essi anche le cose, non sapendo, per la loro sem­plicità, dalla sostanza distinguere gli accidenti. Ove ascoltino pertanto una stessa dottrina, ma esposta sotto forma diversa da quella già da essi appresa, credono s’insegni loro una dot­trina pure diversa. La confusione quindi, la noia e l’idea di nuova fatica li disanima, li avvilisce e il ritrae infine dalla scuola del Catechismo, con pericolo manifesto d’ignorarlo per sempre.

Di qui altresì la difficoltà per parte di chi deve insegnarlo, sia perché, ove sono fanciulli di altra Diocesi, deve vincere cotesta loro ripugnanza e premunirli contro lo scandalo che potrebbero prendere, al sentirsi esporre una dottrina, secon­do essi, totalmente diversa; sia perché e necessario ripigliar da capo l’insegnamento catechistico a loro riguardo, non senza grave fatica e perdita di tempo, e con danno degli altri fanciulli. Aggiungasi che tante volte questo tempo e questa fatica sono tempo e fatica gettati, mentre vi sono fanciulli i quali, dovendo seguire, come è detto, la sorte dei loro genitori, dopo poco tempo e nel meglio dell’opera sono costretti a troncarla per passare ad altre province dove il testo varia di nuovo e dove perciò e necessario andar incontro a diffi­coltà nuove sempre maggiori.

Infine sappiamo tutti quanto la retta intelligenza dei divi­ni misteri dipenda dalla scelta accurata delle parole. Lasciata pertanto la varietà dei Catechismi, nulla più facile ad avveni­re, in progresso di tempo, che la fede del popolo cristiano, ora specialmente che e dovunque insidiata, ne soffra. E allo­ra domandiamo noi, che sarà della novella generazione, fin da ora sì male avviata e sì poco addentro nelle cose dell’ani­ma e di Dio?

Tali sono, a parer nostro, i principali inconvenienti che dalla varietà e molteplicità dei catechismi derivano, inconve­nienti per altro che presto verrebbero tolti, ove unico ed uniforme fosse il catechismo per tutto l’Orbe cattolico.

Che anzi chi può dine quali e quanti vantaggi ne ritrarreb­be la Chiesa? Tre nondimeno ci sembrano manifesti: l’inte­grità, vale a dine, della dottrina cattolica; l’unità più salda e più estesa di tutti i fedeli tra di loro; un più sensibile attacca­mento e una devozione sempre maggiore verso quell’Aposto­lica Sede donde si diparte e si diffonde la luce fino agli estremi confini della terra, e donde la carità, che è vincolo di per­fezione, e l’infallibile Magistero che ci governa sempre ema­narono.

Cento un codice della fede uguale per tutti, al quali si ag­giungessero per tutti le stesse preghiere tanto mattutine che vespertine, specialmente riguardo agli atti di fede, speranza, carità e contrizione, più gli atti da farsi da ogni fedele prima e dopo la SS. Comunione, un codice tale approvato, promul­gato e stabilito dal Capo supremo e universale della Chiesa, sarebbe un Codice prezioso e ammirabile, non solo, ma ben anche terribile ai nemici della fede.

Noi perciò affrettiamo coi voti quel giorno in cui, ristabili­ta la pace, possa il Regnante Pontefice dar mano ad un’opera tanto salutare. Oh, quanto godremmo che d’una gloria sì bel­la andasse ricco il Pontificato già sì glorioso di Leone XIII[99].


 

 

3. I SORDOMUTI

 

Un apostolo della Parola e del Catechismo non poteva rima­nere indifferente al dramma di chi non ha il dono della parola e non può comunicare con gli altri per mezzo di questo “vincolo meraviglioso”.

Il sordomuto è tra i più poveri e infelici fra gli uomini: orfano in famiglia, solitario in mezzo alla gente, escluso dal consorzio umano, un esiliato in patria. La fede e la carità impongono non solo di assisterlo, ma di riammetterlo nel consorzio civile ed ec­clesiale, con un’istruzione che gli consenta di comunicare con gli uomini e, attraverso la mediazione umana, con Dio. I sacerdoti devono essere “lingua della loro mutolezza e orecchio della loro sordità”. Chiesa e società devono rendere “parlanti” i sordomuti.

L’Apostolo del Catechismo, cioè della comunicazione della fede mediante un linguaggio comprensibile è assimilabile, si fa apostolo dei sordomuti per ristabilire l’essenziale comunicazione umana del linguaggio, e apostolo degli emigrati, per ristabilire la comunicazione dell’uomo, isolato dall’emigrazione, con la so­cietà e la Chiesa. Un’unica ispirazione lo guida: “Andate e inse­gnate”; per un unico obiettivo lavora: la comunione degli uomi­ni tra loro e con Dio.

 

“Si diede principio ad una famiglia di sordomute”

 

Era la vigilia di quel giorno ch’io dovevo venire a prender possesso di questa cara Diocesi e congedarmi definitivamen­te dalla dolce patria mia. Come potevo dimenticare le povere sordo-mute che avevano formato per vanii anni l’oggetto del­le mie sollecitudini e del mio sacro ministero? Mi recavo in­fatti da loro per esortarle un’ultima volta, per raccomandarle di presenza alla divina bontà e impartir loro la mia benedi­zione. Dirvi le scene di quell’addio non m’è possibile. Il sordo-muto istruito sente una gratitudine vivissima, immen­sa, imperitura per tutti coloro che gli usano carità. Quelle buone figlie erano avvezze a considerare in me la loro guida spirituale, il loro catechista, il padre delle anime loro, uno dei loro proteggitori, e dopo avermi espressi i loro sentimenti squisitamente sublimi, terminavano un loro indirizzo così: Noi siamo oppresse per la voStra partenza da una tristezza mortale, ma essa si cangerà tosto in vivissima gioia se ci pro­metterete di caldeggiare nella vostra Diocesi l’istruzione del­le nostre sorelle di sventura. Lo promisi e partii commosso, risoluto di adoperarmi con tutte le forze a fine di mantenere la data parola.

Poneva quest’opera sotto la protezione di Maria SS. e nel giorno sacro alla sua Natività 1880, dirigevo, come sapete, al clero e popolo della città e diocesi un appello perché dai figli venisse qualche aiuto. La parola del pastone, benedetta da Dio, sortì, almeno in parte, il desiderato effetto. Un benefi­co uomo morendo imponeva alla moglie sua unica erede di consegnarmi una somma per l’esecuzione di parecchie sue benefiche disposizioni, tra le quali non ultima quella dei sordo-muti. Fu così che mi tornarono possibili e l’acquisto di questa casa e le spese non lievi per l’impianto di siffatto isti­tuto. Sia dunque benedetta la soave memoria del pio popola­no Giuseppe Rossetti!

Qui vennero tosto chiamate da varie parti della Diocesi le sordo-mute già adulte né più capaci di istruzione completa. Si procurò di insegnar loro almeno le cose necessarie per poterle ammettere ai SS. Sacramenti, rimandarle, dopo alcuni mesi, alle loro case rispettive, se con vero frutto non oserei affermarlo. Dio avrà tenuto conto del nostro e del loro buon desiderio.

Qui si die’ principio ad una famiglia di Sordomute che hanno compIto l’istruzione, né sanno spesse volte ove appog­giarsi, una specie di patronato. Esse vivono insieme, mezzo religiose, pregando e guadagnandosi il vitto con lavori, di Chiesa specialmente.

Qui si incominciò la istruzione regolare delle fanciulle di istruzione capaci, del profitto delle quali, o Signori, sarete ora testimoni. Questo loro profitto che io conosco già in par­te, se da un lato mi rallegra dall’altro mi fa sanguinare il cuo­re pensando che nella vastissima diocesi sono circa duecento i sordo-muti, come risulta da una statistica da me ordinata, la maggior parte dei quali cresciuti senza istruzione di Sorta.

Terminerò quindi esprimendo la mia gratitudine e ammi­razione verso queste buone religiose che nell’ampiezza della loro carità sarebbero disposte ad accoglierli tutti, e rinnovan­do il voto che fra le molte pie istituzioni onde va ricca la città nostra quella pure possa prosperare dei poveri sordo-muti, sicché Piacenza non abbia più ad invidiare, anche per que­sto, tante altre città italiane e straniere, ove già i sordo-muti d’ambo i sessi sono felicemente educati e restituiti alle fami­glie quali membri affatto rinciviliti, alla società quali utili cit­tadini, alla Chiesa quali figli devoti, a Dio quali fedeli adora­tori[100].

 

“Non c’è sventura pari a quella del sordomuto”

 

Non vi è sulla terra sventura, pari alla sventura del povero Sordomuto. Fornito di quelle facoltà, di cui fu larga ad ogni uomo la Provvidenza Divina, egli è privo di quell’organo me­raviglioso, per cui scendono all’anima le soavi armonie, si svolgono le affezioni più care della famiglia, si nutrono i sen­timenti più elevati della fede e si aprono, per così dire, le porte di quel santuario, in cui la coscienza domina sovrana.

La parola, questa potenza concreata al pensiero e rivelatri­ce di mondi ideali, questo vincolo misterioso, che congiunge alla fisica la morale natura, che unisce intelletto ad intelletto e cuore a cuore, va bensì a percuotere l’orecchio di lui, ma senza effetto di sorta, come il dardo lanciato nel marmo.

Cresce egli pertanto, cotesto innocente figlio della sventu­ra, in mezzo alla società, ma straniero quasi alla medesima. Il tesoro delle cognizioni comuni, delle quali a tutti e dato po­tersi arricchire, per lui sta rinchiuso; tace per lui l’esperienza dei secoli andati, e il patrimonio delle sue cognizioni è ri­stretto a quel pochissimo, di che i propri bisogni, la propria riflessione, la esperienza propria hanno potuto ammaestrar­lo, simile in ciò al selvaggio della foresta che nulla intende di quanto vedesi attorno.

Anzi, a ben riflettere, se la condizione del Sordo-muto s’agguaglia pienamente a quella del selvaggio rispetto all’ignoranza dell’intelletto, essa le è di molto inferiore rispetto alle amarezze del cuore.

Fu detto che la fame della verità non è meno prepotente di quella del pare quotidiano, ed e così veramente. Siane prova il fanciullo dotato della parola, che mai non rifinisce d’interrogarvi ora sopra di una cosa, ora sopra di un’altra, e s’indi­spettisce e mena strepito e piange, se subito non venga appa­gato.

Quale pertanto non deve essere il tormento del Sordo­muto, che sente dentro la stessa fame di sapere e si vede pri­vo persino del beneficio di interrogare! Vede gli altri discor­rere fra loro, e, a seconda dei loro discorsi, comporre il volto a riso, a pianto, a meraviglia, ed egli non può in guisa alcuna scoprirne la causa. Arde del desiderio di comprendere e di essere compreso, e non può nemmeno aver modo di far cono­scene questo suo desiderio! Forza è quindi si trovi, ben vede­te, in uno stato di continua amarezza, di violenza dolorosa, ed ahi, quanto dolorosa! O voi, che amate trattenervi soven­te in dolci colloqui coi vostri simili, immaginate quale per voi sarebbe quel giorno in cui foste per sempre condannati ad un ferreo silenzio! Eppure non è questa che una delle pe­ne cui è soggetto il Sordo-muto per tutto il corso di sua mor­tale carriera[101].

 

“Un solitario in mezzo agli uomini”

 

Se per tutti il Sordo-muto, senza istruzione, è un essere ragionevole che non ragiona, un orfanello isolato in famiglia, un solitario in mezzo agli uomini, un selvaggio nella civile società; nella Chiesa di Dio, per noi, e soprattutto un’anima di­giuna del pare di vita, un infedele quanto alla fede attuale, un ignorante di tutte le verità rivelate, di tutte, anche delle più elementari, necessarie a sapersi di necessità di mezzo. Oh, in questo punto di vista, non è a dire, il bisogno del Sordo-muto si fa estremo e il relativo provvedimento assume per noi il carattere non di semplice opera di beneficenza e di umanità, ma di religione altresì e di giustizia.

Non ha il Sordo-muto cognizione alcuna di Dio, né delle cose di Dio! Se a tal cognizione infatti non arrivano i fanciul­li dotati della facoltà di udire, ove manchino dell’istruzione opportuna; Se, pur troppo, vediamo sovente fanciulli i quali, trascurando lo studio catechistico, non sanno Ie principali verità della religione, anche dopo che hanno Sentito tante volte parlarne; come credere che possa giungere a conoscerle il Sordo-muto, destituito com’è di ogni mezzo, isolato in grembo alla famiglia e alla società, colla notte profonda che regna nel suo intelletto e col silenzio sepolcrale che lo circon­da?(...).

II mondo naturale non sarà altro per lui che un mistero, né altro per lui che un mistero sarà la vita dell’uomo. Il terribile assalto infatti del dolore, le lacrime della virtù, l’ipocrisia del vizio, i precetti del dovere, la potenza del pentimento, la speranza del perdono, il sublime delle affezioni, il sacrifizio delle passioni, il martirio della povertà, i contrasti delle false amicizie, le ingiuste persecuzioni non si spiegano senza Dio. E che mai sarebbe per noi il giorno dell’ultimo addio, se il raggio della immortalità non rischiarasse la tomba? No, non v’è che la Religione la quale conforti l’uomo nelle durissime prove. Ma la Religione, voi sapete, e rivelazione e la rivela­zione e parola; poiché la intelligenza divina non può comuni­carsi alla umana se non col mezzo della parola, cioè con la più puma e la meno materiale delle forme analoghe alla condizio­ne dell’uomo. E noi ascoltiamo questa parola, la quale chia­ma beati i poveri, i perseguitati, coloro che piangono, assicu­rando loro il regno dei cieli, e l’anima nostra si conforta in Dio suo Signore. Noi ascoltiamo questa parola in ogni circo­stanza, in ogni tempo, in ogni luogo, sul letto perfino dell’agonia, e il nostro cuore si apre alla speranza delle gioie future. Ma pel misero Sordo-muto non è così. Esso non pur, come noi, collegare il presente coll’avvenire, il visibile coll’invisibile, la natura cola grazia. Egli trovasi esposto a continue illusioni, privo d’ogni conforto, condannato a vive­re in questo esiglio senza direzione, senza speranza, senza amore. Dispetto, odio, melanconia, abbandono, pianto, livo­re, sono quindi la sua porzione quaggiù.

Egli è condannato da chi, potendo farro religiosamente istruire, non lo fa per indolenza o per mal inteso risparmio[102].

 

“La società non può ricusargli il beneficio dell’istruzione”

 

Mentre per legge si vuole obbligatoria l’istruzione del po­polo, affinché la luce del vero si diffonda e penetri anche nel­la officina del povero e dell’artigiano; mentre tanto si esige per tutelare il diritto che ha ciascuno di godere di tutti quei preziosi vantaggi, che sono procurati dalle condizioni sociali, come potrebbe esserne escluso il Sordo-muto? Non entra forse anch’egli nel novero degli uomini e dei cittadini? Non ha egli anzi maggior diritto alla compassione fraterna e alla sociale attenzione, appunto perché la sventura lo ha più cru­delmente colpito? No, né la Società può ricusargli il benefizio della istruzione, avendo la Provvidenza ispirato al genio dell’uomo i mezzi atti a dissiparne la ignoranza; né deve ricu­sarglielo, avendo essa grave obbligo di render atti i suoi membri a cooperare al miglioramento comune. È debito dunque dei Municipii, delle Province e di chiunque presieda alla pubblica cosa, di procurare, con ogni premura, l’educa­zione del Sordo-muto, soccorrendolo, non con una sterile compassione, bensì con amore operoso ed efficace, che valga a restituirgli i privilegi dell’uomo, a farlo entrare nel civile consorzio, a renderlo utile alla religione non meno che alla patria[103].

 

“Una storia pietosa”

 

La storia pietosa di questi nobili giovanetti sordo-muti mi venne spesse volte in mente nell’anno 1879. In quel rigidissi­mo inverno, perduto in mezzo alle campagne in quel di Car­paneto ed alla neve, quasi spento dal freddo, venne trovato un giovare sordo-muto. Condotto in città, dopo le cure ai piedi ed alle mani gelate, non sapendo l’autorità ove collocarlo, lo pose, sapete dove? in prigione, ove rimase per qual­che mese. Un magistrato d’allora, letta la mia Pastorale in­torno ai sordomuti, venne tosto a raccontarmi il caso ed a chiedermi se potessi provvedere. Sì, Signore, risposi, lo terrò con me in casa e con me lo tenni per qualche tempo. Egli non sapeva nulla, non capiva nulla, era di una certa età e poco su­scettibile di istruzione, e poco vantaggio ritrasse dal poco tempo che io potevo spendere per dirozzarlo. Per quante in­dagini si sieno fatte, nulla, non si poté saper nulla. Povera madre che die’ vita a questo infelice, che da certi indizi non mi sembrava di bassa origine, povera madre che forse moriva presagendo le sventure e la fine miseranda del figliuolo e por­tava seco nella tomba un dolore più fiero della monte. Voi che siete madri, mi comprendete. Era italiano? era forestie­ro? Quale mistero si nascondeva in quel fatto! poveretto, se fosse stato istruito, se avesse potuto parlare: una parola sola avrebbe svelato chi sa quale mistero d’iniquità; ma morì, senza poterla profferire![104].

 

“Non si ama senza conoscere”

 

Dal lato religioso il sordo-muto non istruito è privo di ogni conforto. L’uomo è religioso, come è perfettibile, e questi due grandi concetti procedono con mirabile accordo e l’uno conferma l’altro. Il che manifesta la ragione, per cui l’uomo divien tanto più religioso, quanto maggiormente si perfezio­na, e tanto più si perfeziona quanto più divien religioso (...).

Eccovi una famiglia raccolta nel santuario domestico. La madre offre al Signore dei Cieli i suoi figli, il padre li benedi­ce: i figli rendono grazie all’Altissimo, di cui ben compren­dono la Provvidenza tutelare e la paragonano ai genitori loro terreni. Un sordo-muto assiste alla scena: il suo cuore non palpita per affetto, perché la sua mente non penetra nel mi­stero. Eccovi una folla confusa adunata nel tempio. Tutte le anime vi sono raccolte; tutti gli spiriti sono assorti in uno stesso pensiero e il concerto dei canti disvela quello dei cuori (...). Tutti i cuori intendono i propri destini: tutti vi si prepa­rano in un comune trionfo; tutti progrediscono di pari passo verso il centro eterno del bene. L’umanità si rallegra: ma il sordo-muto non educato è presente con indifferenza allo spettacolo dell’amore, come assiste freddo allo spettacolo della vita. Sì, per sentire attraente il conforto della Religio­ne, bisogna amare; ne si ama senza conoscere pienamente l’oggetto, che attrae (...).

Qual raggio brillerà dunque nell’anima del sordo-muto non istruito per dissiparvi le tenebre dell’ignoranza, per di­svelarle i conforti della virtù, per eccitarvi le consolatrici spe­ranze dell’avvenire? L’istruzione; e i nuovi sistemi di educa­zione danno appunto al sordo-muto la parola; egli legge sul labbro altrui e risponde, s’intende, come rispondere può un sordo-muto e a seconda delle disposizioni organiche partico­lari, ma risponde e la redenzione del sordo-muto vaticinata dal Vangelo è compiuta: i sordi intendono, i muti parlano[105].

 

“Bisogna che altri pensino per loro”

 

Dopo tutto ciò chi è di voi che non veda la necessità che hanno cotesti infelici di essere soccorsi? Anche nell’Evange­lo sono tratti eloquentissimi a questo riguardo.

I lebbrosi, gli storpi, i languidi, i ciechi stessi conoscono la propria sventura e possono andare in cerca del divin Medi­co, o, se non altro, possono, quando Egli passa loro accanto, gridare: Gesù figliuol di David, abbi pietà di noi. Nessuno dei Sordo-muti al contrario trova aiuto da se stesso alla propria disgrazia, nessuno da se stesso trova la via per andare al Sal­vatone, e per questo bisogna che altri pensino per loro e a Lui pietosamente li guidino.

Ma anche condotti a Gesù, essi non Lo conoscono, né pos­sono rivolgergli alcuna preghiera. Quindi è che G.C., mentre da tutti, che a Lui ricorrevano, chiedeva una supplica, una confessione della loro miseria, un atto di fede, mai niente di ciò richiese dai Sordo-muti, volendo tuttavia che per essi pregassero e ravvivassero la fede quelli, che a Lui li presenta­vano[106].

 

 

“Lingua della loro mutolezza e orecchio della loro sordità”

 

Un’ultima parola a Voi, o Venerabili Sacerdoti, Nostri ca­rissimi Cooperatori nella vigna di Dio. Nessuno di voi certa­mente lascerà venir su nella sua Parrocchia un fanciullo o una fanciulla, colpiti di mutolezza e sordità, senza tentare ogni mezzo di renderla, coll’istruzione religiosa, capace di ricevere i santi Sacramenti della Chiesa, perché nessuno di voi vorrà certo tradire il proprio ministero, né rendersi in faccia alla Chiesa e a Dio colpevole della perdita di quell’anima, al suo zelo raccomandata. Non potete voi occuparvene diretta­mente? Potete però e dovete occuparvene indirettamente, finché non siete moralmente sicuri della salvezza di lei.

Cercate dunque di cotesti sgraziati nelle famiglie, dove spesso sono tenuti nascosti, e, notificateli a questa Curia, va­lendovi del modulo qui annesso. Dichiarate ai genitori l’obbligo di coscienza che hanno di farri istruire. Fate loro cono­scene l’esistenza del suddetto Istituto (...).

Consideratevi insomma, quali siete, i destinati dalla divi­na Provvidenza a divenire, secondo la frase dei Libri Santi, lingua della loro mutolezza e orecchio della loro sordità.

Venerabili Fratelli, è questo un nuovo apostolato che il cielo vi presenta (...). Il Sordo-muto adunque non e dalla Provvidenza abbandonato alla sua lagrimevole privazione. Essa lo colloca nelle braccia dei fedeli, lo commette alle loro viscere pietose, e, coprendolo del prezioso mantello della di­vina figliuolanza, dice a tutti loro: col provvedere che farete al religioso allevamento di quest’anima a me si cara, voi mi dimostrerete la grandezza dell’amore che mi portate[107].

 

“Non vivono più estranee alla società e alla famiglia”

 

II sordo-muto, o Signori, mi e sempre comparso come la più sventurata delle creature. Infatti l’organo dell’udito non è solo strumento per cui scende nell’anima un suono fuggevo­le, ma è il veicolo misterioso di quella parola che si parti dal Cielo per condurre l’umanità all’eterno suo fine. Non vi è vi­ta morale (per l’individuo, come per una nazione) senza una lingua. Il pensiero umano si ripiega sopra di sé, mediante la riflessione, la quale per opera dei segni determina e circoscri­ve le idee. Ma il favellare interiore, per cui lo spirito conver­sa con se medesimo, ha bisogno della parola esteriore e dell’umano consorzio. La parola e dunque per l’uomo indivi­duo la sorgente principale della verità e della scienza, per le nazioni l’aurea catena che lega insieme le intelligenze e i cuori, per l’umanità il vincolo meraviglioso che la congiunge al Cielo. Che cosa adunque è l’uomo senza la parola? Non vi è cuore, per quanto insensibile, che possa resistere allo spetta­colo del sordo-muto abbandonato a se medesimo. Egli vive al paridi noi in mezzo al frastuono del mondo, ma non ode punto se stesso, non ode gli altri. Un eterno silenzio lo circonda. Quell’orecchio chiuso per sempre alla soave armonia delle note, quell’occhio che si volge incantato sulle meravi­glie della sensibile natura e par che ricerchi bramoso altri mondi, altra patria, altre creature e l’Artefice sommo dell’universo, quel labbro su cui siede il silenzio, ci avvisa di quella tetra monotonia, che gli pesa sull’anima come l’eter­nità di una pena. Infelicissimo sopra ogni infelice, povero sordo-muto, non sarai tu dunque capace di destare un palpi­to d’amore in chiunque ti osserva?

Io lo vidi questo figlio della sventura lasciato il più delle volte quasi pianta a vegetar sulla terra, e vasti, forse troppo vasti, sorsero in me i desiderii. Oh perché, mi sono chiesto sovente, non mi fornì la Provvidenza di che rigenerare quan­ti sono sordomuti e sordomuti non ancora istruiti in Italia? Sorga almeno un umile asilo qui, dove essa, la Provvidenza, mi voile Padre di un popolo colto e gentile, e sia quell’asilo per le povere sordomute, come quelle che esposte a maggiori pericoli, abbisognano di più pronto soccorso. I sordi odano, i muti parlino, e sia anche Piacenza spettatrice davvicino di questo nuovo prodigio della cristiana carità. Dissi, e voi, o Signori, potrete averne stampato un altro piccolo saggio. Piccolo veramente, poiché non bisogna dimenticare che l’opera è ancona, si può dire, bambina: conta appena pochi anni di vita.

Ho tuttavia la consolazione di potervi annunziare che ben 60, oltre a quelle istruite regolarmente, sono a quest’ora le sordomute, che uscirono dirozzate da questo recinto. Diroz­zate, io dissi, perché sia per l’età troppo avanzata delle une, sia per l’inettitudine ad imparare delle altre, ci vedemmo co­stretti a restituirle, dopo alcuni mesi, alle rispettive famiglie, paghi di aver tentato di destare nei loro cuori sentimenti cri­stiani e civili. Dio avrà senza dubbio tenuto conto del nostro e del loro buon desiderio.

Di un’altra classe si compone la nostra piccola famiglia ed è di quelle fanciulle sordomute che, orbe di padre e di ma­dre, o altrimenti senza appoggio e senza conforto, o chiama­te ad una specie di vita religiosa, libere pur sempre di uscire, amano passar qui i loro giorni. Attualmente sono otto. Ve­stono un abito speciale e vivono ritirate, nel raccoglimento, nella preghiera e nel lavoro.

Viene terza una classe, che richiama tutta la vostra atten­zione, o Signori, ed e appunto la schiera delle fanciulle che vi vennero ora presentate. Si compone essa di quelle sordomu­te, che sono di regolare istruzione capaci. Alcune, entrate da pochi giorni, e perciò inette ancora a profferire parola, vi si mostrano in tutta la loro miseria e nella loro indole quasi Sel­vaggia. Le altre aspettano impazientemente di mostravi che hanno anch’esse una mente e un cuore, che si sono aperti alla luce del veno e degli affetti più santi, che vi intendono e che arrivano a farsi intendere. Tale, o Signori, è il frutto di quel­la educazione che loro in questo luogo si imparte. Esse, per tal modo, non vivono più estranee alla società e alla famiglia, che anzi all’una e all’altra sono di vantaggio e di conforto non lieve[108].

 

“Fatte parlanti”

 

E una scena, o Signori, sempre meravigliosa e commoven­te, vederle sitibonde ed ansiose pendere le lunghe ore dal labbro delle loro pazienti e caritatevoli educatrici, e le loro spiegazioni religiose accoglierle spesso cole lagrime agli oc­chi, cola gioia sul volto, l’entusiasmo e la riconoscenza nel cuore, poi, fatte riflessive, ravvedersi, amarsi, aiutarsi a vi­cenda, tradurre nella vita la santità del Vangelo e negli atti la loro fede che le sorregge e conforta. Ho udito spesso ripetere dai loro genitori e parenti che la loro sordomuta, fatta par­lante, è l’onore, la consolazione e il sostegno morale della loro casa, e le sordomute stesse scrivendomi, ripetono di fre­quente che benedicono l’Istituto particolarmente per averle fatte parlanti, perché con tal mezzo si trovano riabilitate alle famiglie e alla società, e sono più rispettate, il loro lavoro è più apprezzato e meglio retribuito, e quindi godono una vita non solo più tranquilla, ma altresì meno disagiata[109].

 

“L’Istituto delle Sordomute da me fondato”

 

L’Istituto delle Sordo-mute, esistente in queSta città, ven­ne da me fondato ventidue anni or sono.

Esso possiede la casa attualmente dalle sordomute abitata ed una villa con una ampia e bellissima casa civile, ove le po­vere disgraziate vanno a rinvigorire la salute in alcuni mesi dell’anno.

Al mantenimento delle sordo-mute provvedo io parte con annue £. 1.500, che verranno continuate anche dopo la mia morte; a questo sussidio si devono aggiungere £. 1.000 che si ricevono dalle pensioni, e altrettante che si ricavano dai la­vori manuali: per il resto si è dato incarico alla Provvidenza che tutto vede e tutto provvede; e ha veduto e provveduto quanto basta.

La spesa annua oscilla dalle undici alle dodici mila line.

Presentemente le sordo-mute sono 50 tra adulte e bambi­ne. Le adulte col lavoro fanno fronte in parte alle spese del loro mantenimento.

Le bambine vengono istruite da apposite maestre, scelte tra le Figlie di S. Anna (alle quali è affidata la direzione dell’Istituto), nella religione, nel leggere, nello scrivere, nel far di conto, nei lavori donneschi e in quanto occorre al buon governo di una famiglia e che possano all’occorrenza guada­gnansi il pare col lavoro.

In una parola è cura precipua delle maestre impartine alle sordomute quel corredo di cognizioni che sono richieste dal­la Legge sull’istruzione obbligatoria.

Del profitto che queste disgraziate ne ricavano, vi è prova la buona riuscita di tutte quelle fra esse che, terminato il cor­so di istruzione, abbandonano l’Istituto o per dedicarsi alle loro famiglie, o per prestare il loro servizio in casa altrui.

Ho il piacere di annunziarle inoltre che fra pochi mesi veder compiuto uno dei miei desideri più ardenti, l’apertura cioè dell’istituto per i sordomuti maschi della diocesi e provincia nostra. Sono persuaso che la novella istituzione tro­verà il conveniente appoggio da tutti: certo non gli fallirà quello di Dio[110].

 

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1 Fede, vigilanza, preghiera, Piacenza 1899, pp. 22-23.

2 Lett. Past. del 5.5.1905, Piacenza 1905, pp. 1-2. La sesta visita pastorale doveva cominciare l’11 giugno 1905, ma il vescovo morì il giugno.

3 Lett. a G. Bonomelli, 1.2.1883 (Carteggio S.B., p. 96).

4 Id., gennaio 1887 (ibid., p. 203). “Gli ho detto”: a Leone XIII.

5 Id., maggio 1889 (ibid. pp. 252-253).

6 Id., 10.7.1893 (ibid., pp. 310-311). Il Bonomelli, stanco della continua minaccia di essere rimosso dal governo della diocesi, aveva scritto: «Tra poco o mi fo frate o divento Savonarola» (cfr. Biografia, pp. 272-273).

7 Unione colla Chiesa, obbedienza ai legittini Pastori, Piacenza 1896, pp. 37-38. Le «profanazioni sacrileghe» erano state perpetrate dall’apostata D. Paolo Miraglia.

8 3° discorso del 2° Sinodo, 4.5.1893. Synodus Dioecesana Piacentina Secunda..., Piacenza 1893, p. 194 (trad. dal latino).

9 Unione colla Chiesa, obbedienza ai legittimi Pastori, Piacenza 1896, pp. 43-44.

10 La Chiesa Cattolica, Piacenza 1888, p. 41.

11 In occasione del compimento della Sacra Visita Pastorale, Piacenza 1880, pp. 10-15. Il primo dei 3 sinodi scalabriniani fu celebrato nel settembre 1879.

12 Lett. a Mons. P. Morganti, 1902 (AGS 3021/17).

13 La prima Lettera Enciclica di Sua Santità Pio X, Piacenza 1903, pp. 5-6.

14 Il Giubileo dell’Anno Santo, Piacenza 1900, pp. 13-14.

[1] Per la Visita Pastorale, Piacenza 1876, pp. 11-12.

[2] Ibid., pp. 16-18

[3] Lett. Past. del 5.5.1905, Piacenza 1905, pp. 4-5

[4] Parole d’ingresso in una visita pastorale (AGS 30 18/25).

[5] Ibid.

[6] Pel compimento della Sacra Visita Pastorale, Piacenza 1880, pp. 3-4.

[7] Ibid., pp.5-9.

[8] Relazione per la sesta visita “ad limina”, 20.12.1891 (ASV, Rub. 647/B, Placentina, S. C. Concilii Relationes).

[9] Lett. a G. Bonomelli, 17.6. 1894 (Carteggio SB., p.315).

[10] Id., 8.8.1902 (ibid., p. 372). Il “tempo perduto nell’anno scorso” era stato impiegato nella visita agli emigrati negli Stati Uniti.

[11] Id., 11.8.1903 (ibid., p. 378).

[12] Id., 4.10.1903 (ibid., pp. 378-379).

[13] La Divina Parola, Piacenza 1897, pp. 4-6.

[14] Ibid., pp. 7-9

[15] Ibid., pp. 3 1-32

[16] Ibid., p. 30.

[17] Ibid., pp. 33-34.

[18] discorso del 3° Sinodo, 29.8.1899. Synodus Dioecesana Placentina Tertia..., Piacenza 1900, p. 239 (trad. dal latino).

[19] Ibid., pp. 240-241.

[20] Ibid., p. 245.

[21] Ibid., pp. 243-244.

[22] Lettera Circolare (...) al Venerabile Clero della Città e della Diocesi, Piacenza 1898, pp. 3-5.

[23] Synodus Dioecesana Placentina Secunda..., Piacenza 1893, p. 31 (trad. dal latino).

[24] Educazione cristiana, Piacenza 1889, pp. 8-9.

[25] Ibid., pp. 5-6

[26] Lett. Past. (...) per la Santa Quaresima del 1879, Piacenza 1879, pp. 47-48. Le parole in corsivo sono citate dall’Enciclica Quod apostolici muneris di Leone XIII.

[27] Educazione cristiana, Piacenza 1889, pp. 11-13.

[28] Ibid., pp. 23-24.

[29] Ibid., pp. 14-15.

[30] 3° discorso del 3° Sinodo, 30.8.1899. Synodus Dioecesana Placentina Tertia..., Piacenza 1900, pp. 256-257 (trad. dal latino).

[31] I diritti cristiani e i diritti dell’uomo, Bologna 1898, pp. 10-11 (Lettera collettiva dell’episcopato emiliano, redatta da Mons. Scalabrini).

[32] La famiglia cristiana, Piacenza 1894, pp. 5-6.

[33] Ibid. pp. 6-7.

[34] Ibid., pp. 12-13

[35] Ibid., pp. 13-14

[36] Ibid., pp. 18-19

[37] Ibid., pp. 19-20

[38] Santificazione della festa, Piacenza 1903, pp. 7-8

[39] Ibid., pp. 14-15

[40] Ibid.,pp. 9-10

[41] Come santificare la festa, Piacenza 1904, pp. 23-24.

[42] Santificazione della festa, Piacenza 1903, pp. 20-21.

[43] Ibid., pp. 17-18

[44] Ibid., p.21

[45] Ibid., pp. 25-26

[46] Come santificare la festa, Piacenza 1904, p. 14.

[47] Atti e documenti del Primo Congresso Catechistico, Piacenza 1890, p. 120.

[48] Il Catechismo Cattolico, Piacenza 1877, p. IX.

[49] Sull’insegnamento del Catechismo, Piacenza 1876, p. 4.

[50] Il Catechismo Cattolico, Piacenza 1877, pp. 33-35.

[51] Ibid., pp. 1-3

[52] Ibid.,pp. 10-11.

[53] Atti e documenti del Prima Congresso Catechistico, Piacenza 1890, pp. 236-237.

[54] Per la Visita Pastorale, Piacenza 1876, pp. 15-16.

[55] Educazione Cristiana, Piacenza 1889, pp. 15-17

[56] Ibid., pp. 28-29

[57] Ibid., pp. 37-38.

[58] Discorso per la distribuzione dei premi presso i Fratelli delle Scuole Cristiane (AGS 3018/15).

[59] Il Catechismo Cattolico, Piacenza 1877, pp. 42.46.

[60] Premessa alla ristampa del Catechismo Diocesano, Piacenza 1881, pp. 10.11.

[61] Sull’insegnamento del Catechismo, Piacenza 1876, pp. 18-19.

[62] Ibid., pp. 19-21.

[63] Ibid., pp. 24-25

[64]Ibid., pp.47-49

[65] Ai Maestri e alle Maestre delle Scuole Catechistiche, Piacenza 1877, p. 33.

[66] Il Catechismo Cattolico, Piacenza 1877, pp. 95-102.

[67] Ibid., p.71.

[68] Ibid., p. 129.

[69] Ibid., p. 142.

[70] Ibid., p. 86.

[71] Ibid., p. 93.

[72] Ibid., pp. 85-86.

[73] Ai Maestri e alle Maestre delle Scuole Catechistiche, Piacenza 1877, pp. 23-24.

[74] Il Catechismo Cattolico, Piacenza 1877, pp. 88-89.

[75] Ibid., p. 127.

[76] Sull’insegnamento del Catechismo, Piacenza 1876, p. 46.

[77] Il Catechismo Cattolico, Piacenza 1877, p. 103.

[78] Atti e documenti del Primo Congresso Catechistico, Piacenza 1890, p. 187.        II “Ven.mo Confratello di Ventimiglia” è il Servo di Dio Mons. Tommaso dei Marchesi Reggio.

[79] Lett. a Leone XIII, 12.9.1889 (ASV-SS, Rub. 12/1889, pp. 242-243).

[80] Piccolo Catechismo proposto agli asili d’infanzia, Como 1875, p. 34.

[81] Ibid., p. 14.

[82] Il Catechismo Cattolico, Piacenza 1877, p. 111.

[83] Ibid., pp. 105-109.

[84] Piccolo Catechismo proposto agli asili d’infanzia, Como 1875, p. 8.

[85] Il Catechismo Cattolico, Piacenza 1877, pp. 104-105.

[86] Ibid., pp.110-111.

[87] Piccolo Catechismo proposto agli asili d’infanzia, Como 1875, p. 22.

[88] Il Catechismo Cattolico, Piacenza 1877, p. 109.

[89] Piccolo Catechismo proposto agli asili d’infanzia, Como 1875, p. 14.

[90] Il Catechismo Cattolico, Piacenza 1877, pp. 12-113.

[91] Piccolo Catechismo proposto agli asili d’infanzia, Como 1875, p. 37.

[92] Ibid., p.37.

[93] Il Catechismo Cattolico, Piacenza 1877, p. 91.

[94] Ibid., p. 88

[95] Ibid., p. 124.

[96] Scuola di Catechismo per la gioventù studiosa, Piacenza 1890, pp. 6-7.

[97] Il Catechismo Cattolico, Piacenza 1877, pp. 141-142.

[98] Educazione cristiana, Piacenza 1889, pp. 26-27.

[99] “Necessità di un Catechismo unico e universale”, minuta del 1889 (AGS 3018/14).

[100] Discorso per il saggio annuale delle sordomute, 27.7.1885 (AGS 3018/17).

[101] Intorno all’istruzione dei sordo-muti, Piacenza 1880, pp. 5-7.

[102] Ibid.,pp.8-12.

[103] Ibid., pp.20-21.

[104] Discorso per il saggio annuale delle sordomute, 9.12.1886 (AGS 30 18/17).

[105] Ibid.

[106] Intorno all’istruzione dei sordo-muti, Piacenza 1880, pp. 13-14.

[107] Ibid., pp. 22-24.

[108] Discorso per il saggio annuale delle sordomute, 6.12.1888 (AGS 3018/17).

[109] Discorso per il saggio annuale delle sordomute, 10.6.1897 (AGS 3018/17).

[110] Lett. al Prefetto di Piacenza, in risposta a lettera del Prefetto del 20.3.1903 su richiesta di informazioni da pare della Regina Mar­gherita di Savoia (AGS 3033). L’Istituto per i sordomuti fu fondato dal Servo di Dio Mons. Francesco Torta nel novembre 1903.