Lo Scalabrini dichiara esplicitamente che le sue iniziative apostoliche più caratteristiche (catechesi, visite pastorali, emigrati, sordomuti) non sono che adempimento del mandato missionario di Cristo: «Andate e insegnate». È l’uomo del kerigma, dell’annunzio missionario del Vangelo. Nella diocesi di Piacenza adotta un nuovo stile pastorale,
contrassegnato dall’amministrazione intensa della Parola e dei Sacramenti,
guidato da un’ardente «sete delle anime» e caratterizzato dal contatto
diretto con tutto il popolo, di tutte le classi, in tutti i luoghi. Cinque visite pastorali condotte personalmente in oltre 300
parrocchie, tre sinodi diocesani, settanta lettere pastorali sono una prova
concreta della sua aspirazione a farsi tutto a tutti per guadagnare tutti a
Cristo. Convinto che l’istruzione religiosa è il gran mezzo dell’educazione
cristiana, ridà alla catechesi il primato nell’evangelizzazione e nella
ricristianizzazione di una società in rapida scristianizzazione per
l’anticlericalismo, il razionalismo e il materialismo. Si fa quindi pioniere
del nuovo movimento catechistico, chiamando al ministero della catechesi
migliaia di laici, mirando a fare dei genitori i primi catechisti dei
figlioli, in seno alla famiglia, «chiesa domestica» in cui si prega e si
legge il Vangelo. Il «guai a me se non evangelizzo!» trova espressioni realistiche
nell’istruzione dei sordomuti, nell’ideale evangelico, non limitato agli
handicappati fisici, di ridare l’udito ai sordi e la parola ai muti, e nel
ricupero della sacralità della festa, giorno della celebrazione gioiosa e
comunitaria del banchetto della Parola e del Pane eucaristico. |
«Il bene delle anime soprattutto» è l’obiettivo dell’azione e
dell’attività sacerdotale ed episcopale: alla salvezza degli uomini sono
subordinati scelte e comportamenti. L’apostolo non può rimanere chiuso nel
tempio: come il Buon Pastore esce dalla tenda, esce dalla sagrestia, va in
cerca delle pecore disperse nei piani e sui monti, per «predicare a tutti Gesù
Cristo e questi crocifisso», pronto a dare la vita, prodigo di tutte le forze
fisiche e morali.
Fides ex auditu, auditus autem
per Verbum Christi. Cristo è il
Verbo; «la parola di Cristo non è meno del corpo suo». «
L’istruzione senza l’educazione è sterile. Papa, vescovi, sacerdoti e
genitori hanno il diritto e il dovere inalienabile di educare. La famiglia,
seconda anima dell’umanità, è il luogo della prima educazione cristiana. Il
giorno festivo è il tempo dell’istruzione e dell’educazione nella fede: il
momento in cui tutte le famiglie diventano una sola famiglia e anticipano
«Quelli che mi desti li ho custoditi»
Pregate anche per me che in questo dì, vigesimo anniversario della mia consacrazione a Vescovo delle anime vostre, sento più che mai il carico della responsabilità che ho per voi innanzi a Dio. Pregate, o miei buoni e carissimi figli, perché Egli mi conceda la grazia di amarvi sempre come vi amo, e che giunto all’estremo della mia vita, nel riconsegnarvi a Lui, io possa dirgli con serena fiducia: Padre, quelli che mi desti ho custoditi, e niuno di essi è andato perduto!1.
«Guadagnar tutti a Cristo, ecco la costante, la suprema aspirazione
dell’anima mia»
Sei lustri ormai sono scorsi,
dacché questa eletta porzione del gregge di Cristo veniva alle mie cure
affidata, e di questa a Lui dovrò un giorno, che non può essere lontano,
rendere strettissimo conto. Potrò io dirgli con serena fronte: Signore, quelli che mi desti li ho custoditi
e nessuno di loro si è per mia colpa perduto?
Pensiero terribile che mi sta del continuo innanzi alla mente, e che mi stringe, mi sprona a riparar con una visita generale, diligentissima, alla mancanza e ai difetti del mio non breve governo episcopale.
Vi annunzio pertanto, fratelli e figli miei, che ho stabilito di intraprendere personalmente la sesta Visita pastorale di tutte e singole le parrocchie della diocesi.
Se dovessi guardare alla mia età, dovrei certo andarne sgomento; ma è così vivo in me il desiderio di rivedervi ancora una volta e di indirizzarvi ancora una volta la mia parola di pastore e di padre, che ogni difficoltà mi par nulla, e leggiera mi sembra ogni fatica.
Del resto non in me stesso confido, conscio qual sono della mia pochezza, ma nell’aiuto del supremo Pastore Cristo Gesù; di Lui che recavasi attorno per le città e per i villaggi, evangelizzando e sanando ogni infermità fra il popolo, e che, dopo aver bagnato dei suoi sudori la terra, diede per le sue amate pecorelle il sangue e la vita.
Nel nome di Dio adunque verrò a voi, dilettissimi; e verrò per annunziarvi i suoi voleri, per richiamarvi le verità eterne, per premunirvi dal veleno dell’errore, per correggere, se mai vi fossero, abusi, per ricondurre all’ovile la pecorella smarrita, per chiamare sul capo dei vostri figli le benedizioni del cielo, per pregare con voi l’eterno riposo ai vostri cari defunti, per recare a tutti i conforti dello spirito e animarvi al bene.
Me felice, se al termine della
visita potrò in verità ripetere coll’Apostolo: Mi sono fatto tutto a tutti per guadagnar tutti a Cristo.
Guadagnar tutti a Cristo, ecco la costante, la suprema aspirazione dell’anima mia2.
«Il bene delle anime soprattutto»
Avete però fatto benissimo a dire chiare le cose come sono, e non mi offende punto che abbiate spedito qualche mia lettera là, dove credeste opportuno spedirle, giacché voi sapete che io ho nulla di secreto coi superiori. L’amor proprio soltanto se ne risente un pochino, trattandosi di lettere confidenziali ad un amico del cuore qual siete voi, e quindi buttate giù proprio, come suol dirsi, alla carlona.
Del resto, la verità, la giustizia, il bene delle anime soprattutto, ecco la mia, come la vostra ambizione.
Non ci perdiamo di coraggio, caro amico; calma, fortezza e preghiera; fisso lo sguardo a Gesù Cristo e fidenti in Lui solo3.
Ho, a chi ci intendiamo, scritto
e più volte e sempre forte e alto, forse troppo alto. Gli ho detto perfino che
presto dovrà trovarsi innanzi a Dio, al quale dovrà rendere conto dell’esercito
di anime, che si va perdendo, e dei dolori ineffabili causati ai Vescovi, i
quali non hanno ormai più libertà né di parola, né di azione, perché
sopraffatti dalla inframettenza dei laici, incoraggiati e premiati da chi
dovrebbe infrenarli; e più dal solito partito farisaico, tollerato, e più
favorito nell’atto che va scomponendo l’ordine gerarchico istituito da G.C. ecc. ecc. (...).
Io seguo la mia strada
profondamente persuaso che i Vescovi fedeli ed ossequiosi non sono già coloro
che, per malinteso rispetto, fomentano certi inganni e forse se ne valgono, ma
coloro, e sono pochi,
poveri minchioni! che sacrificano la loro pace, il loro avvenire e tutto,
perché il Santo Padre sia fatto accorto dell’inganno e sia libera
Pur troppo le cose vanno male e
male assai. Tutti lo veggono, e nessuno pensa al rimedio! Non c’è proprio da
sperare più che in Dio. Ora che neanche le trombe più sonore bastano a scuotere
dal sonno i dormienti, e a far crollare le ultime illusioni, lasciamo un po’
fare a lui. Noi tiriamo innanzi tranquilli e pensiamo a salvar il maggior
numero di anime che possiamo. Non può mancarci l’amore dei buoni e la
ricompensa di Dio5.
Per me... non est salus nisi a Domino. Farci frati, diventare Savonarola?
Sarebbe buona cosa la prima per chi ha vera vocazione; gloriosa la seconda per
chi si sente da tanto; ma sarà miglior cosa, forse, non ne far niente;
attendendo col maggior impegno possibile a promuovere la gloria di Dio e il
bene delle anime, sicuri che si scimus
tacere et pati videbimus auxilium Domini.
Lavoriamo intanto, preghiamo e speriamo tempi migliori6.
«Signore, abbi pietà del Pastore, pietà del gregge!»
Figliuoli miei dilettissimi,
ascoltate la voce di chi non cerca, non desidera, non vuole altro che il vostro
bene. Più volte vi dissi, e m’è dolce ripeterlo, che incessante oggetto di
consolazione e di gioia mi è la vostra fede, la vostra pietà, il vostro devoto
e sincero attaccamento alla Chiesa; pure io non posso dissimulare, devo dirvelo
per dovere di coscienza, guai a me se tacessi! il male è anche fra noi, ed
assai grave. O Piacenza! o città prediletta, pensa alla fede dei tuoi padri;
vedi come sei scaduta dall’antica grandezza! Chi ti tradì? chi ti ridusse a
tale? Giacché molti io vedo fra le tue mure i quali vivono
dimentichi d’ogni dovere che loro impone la fede, che la oltraggiano con
sataniche bestemmie, che offendono continuamente Dio con una vita affatto
pagana, che profanano i suoi giorni santi, che si danno alla lettura di libri e
giornali blasfemi, che osteggiano
Non mancano però, in mezzo ai dolori, i conforti. È conforto, o miei cari, il pensiero che c’è lassù chi tien conto di tutto ciò che soffriamo, e che prima di Noi fu sofferto dal Nostro divino Duce e Maestro. È conforto, anzi è balsamo soavissimo, la coscienza di patire per la giustizia, e di patire senza odio, anzi con amore di chi ci perseguita, perché si converta e viva7.
«Tali pastori si richiedono ai giorni nostri»
II parroco poi, come ben sapete, e il debitore di tutti, sempre pronto ad aiutare tutti. Si devono tuttavia evitare due eccessi opposti.
Parliamo praticamente, come conviene ad un padre.
Alcuni si dedicano cosi intensamente alla salvezza degli altri, da perdere a poco a poco lo spirito, finendo col perdere se stessi senza guadagnare gli altri. Si ricordino che potranno giovare agli altri solo nella misura in cui gioveranno a se stessi. Perciò anzitutto coltivino la pietà, perché «pietas ad omnia utilis est», ma specialmente alle opere del ministero. Meditino le parole di Cristo Signore: «Sicut palmes non potest ferre fructum a semetipso nisi manserit in vite, sic nec vos nisi in me manseritis» (Jo. 15, 12). Perciò non trascurino mai se stessi, ma siano solleciti della propria santificazione (...).
Altri, invece, si stabiliscono nella loro casa parrocchiale, come i negozianti nelle loro botteghe. Se sono richiesti, sono subito a disposizione, né trascurano l’istruzione dei fedeli presenti; ma per il resto non sono mossi da nessun zelo. Non pensano alle necessità e ai pericoli delle loro pecorelle: trascurano per prudenza intempestiva, pusillanimità o indolenza i mezzi necessari. Questi uomini si possono paragonare alle bandiere, issate bene in vista sui torrioni, che non sventolano né si increspano per soffiar di venti. Ne parla il Profeta: «Nihil patiebantur super contritione Israel» (Amos 6, 6). Non dev’essere così la vita di un pastore. Ricordate bene che cosa abbia comandato il padre di famiglia al suo servo:«Exi in viam et saepes et compelle intrare» (Luc. 14, 21-24).
Tali pastori, pieni di zelo, assolutamente si richiedono ai nostri giorni8.
«Uscite di sagrestia, ma uscite per santificare»
Voi primieramente, venerabili fratelli e cooperatori miei dilettissimi, ritempratevi ognor più nello spirito della vostra vocazione. Proseguite animosi nelle vostre parrocchiali fatiche, ché non debbono esser premiate dal mondo, ma da Colui che vi ha chiamati all’onore inestimabile di rivestire la sua divina Persona nell’opera di salvare le anime. Raddoppiate di operosità e di vigilanza, parlate chiaro e parlate alto, affine di premunire i vostri greggi dalle arti dei seduttori. In questo tempo massimamente, promovete con tutto zelo nel popolo la istruzione e la pietà. Uscite pure, come oggi suol dirsi di sagrestia, ma pieni la mente e il cuore dello Spirito Santo, uscite per santificare. I sacrifizi del vostro santo ministero sono grandi, grandissimi oggi ch’egli è tanto attraversato da ogni maniera di ostacoli, ma essi, infino al più lieve, sono tutti contati lassù. Pazienza adunque e coraggio!9.
«Usciamo dalle nostre tende!»
Oggi, come si esprime benissimo un insigne letterato moderno, non è più consentito starcene neghittosi nelle nostre case sospirando o piangendo, quando il fuoco della miscredenza e della immoralità si dilata e minaccia di distruggere (come umano fuoco può fare) l’arca della fede nelle nostre contrade. Usciamo dunque dalle nostre tende; e innanzi tutto ricordiamoci che non abbiamo altre armi che la fede e la carità. Con queste armi entriamo, secondo che le leggi civili e la coscienza di cattolici consentono, nella vita pubblica, senza guardare a parti politiche; pronti a morire anziché venire a patti mai col falso e l’ingiusto. Entriamo nella vita pubblica, non come nemici del potere costituito, ma come instancabili avversari del male, ovunque esso sia; entriamoci come uomini d’ordine che sappiano, seguendo l’esempio di Cristo e della sua Chiesa, tollerare anche il male; ma approvarlo o farlo essi stessi, non mai10.
«
Voi siete il Nostro gaudio e
La tristezza dei tempi, lo
scompiglio delle passioni, l’audacia dei partiti (che giova illuderci?),
produssero altrove gravissimi mali e non lasciarono intatta
Un certo spirito di egoismo e d’interesse si sforza d’invadere anche le classi meno agiate e spingerle a illeciti guadagni. Che più? la crescente generazione è affascinata da ridenti menzogne e studiasi ogni via per strapparla, se fosse possibile, ad ogni giogo, tranne a quello delle passioni. Ah, noi varchiamo un periodo di storia, che potrebbe riuscir fatale alla salvezza di molti! e ci preme nel più vivo dell’anima che tutti i Nostri buoni figliuoli abbiano a scampare da ogni laccio in questo secolo tenebroso, abbiano a tenersi costantemente nella via della verità e della giustizia.
Ciò accadrà senza dubbio, o Dilettissimi, se la fede non cesserà di regnare nel vostro cuore; se in ogni occasione vi manterrete docili alle materne cure e prescrizioni della Chiesa; se penserete sempre che un giorno a nulla varranno gli applausi del mondo, a nulla la protezione dei grandi, a nulla le ricchezze accumulate, a scapito della carità; ma che solo un’anima senza peccato, una coscienza retta e giusta innanzi a Dio, una vita rassegnata e piena di buone opere avranno diritto di ricompensa eterna (...).
A voi, Ven. Fratelli, pupilla
degli occhi Nostri e sostegno della Nostra debolezza, altra raccomandazione non
faremo che questa: leggete e meditate assiduamente, senza stancarvi mai, tutto
ciò che di vostro comune accordo abbiamo prescritto nel Sinodo, venuto testé
alla luce, essendo Nostra intenzione che esso entri pienamente in vigore, per
tutta
Quanto più a questo codice uniformerete la vostra condotta, tanto più santificherete voi stessi e santificherete gli altri, e sopra voi stessi e sopra gli altri attirerete le benedizioni di Dio (...).
La sacra Visita Pastorale e la celebrazione del Sinodo, ecco pertanto, V.F. e D.F., due gravissimi e importantissimi obblighi del Nostro Pastoral Ministero, coll’aiuto del Dio, felicemente compiuti11.
«Senza perderci nel passato, bensì preparando l’avvenire»
Grazie mille della cortese ed edificante sua lettera. Parmi che lo Spirito Santo le abbia concesso il sensum Christi per conoscere sì presto e sì bene lo stato della sua Diocesi.
Il clero che vive isolato sulla montagna, in generale, è buono, senza pretese, devoto al Vescovo. Più che di correzioni e di atti autoritari, abbisogna di incoraggiamento e di spinte amorevoli a fare il bene secondo i tempi. Non avrà pene dal suo Clero, parlo, ripeto, in generale.
Sì, ven. confr., bisogna, senza perderci nel passato, bensì preparando l’avvenire, ridestare nella generazione crescente lo Spirito cristiano, mezzo rovinato in gran parte degli adulti. Cosa non troppo difficile, se Dio le concederà la grazia di fare quello che medita. L’onda religiosa di spirito cristiano, per mezzo dei giovani raccolti negli oratorii, potrà far penetrare nelle famiglie. Queste sono sempre sensibilissime al bene che si fa ai loro figliuoli. Aver cura dei fanciulli e degli infermi, ecco i due mezzi per guadagnar tutto a Dio. È ciò che ripeto ai Parroci della mia Diocesi12.
«Instaurare omnia in Cristo»
È assolutamente necessario riporre Iddio alla testa della società;
ricondurre gli uomini a Gesù Cristo, via, verità e vita; richiamarli alla
Chiesa, madre, maestra, tutrice e vindice d’ogni diritto e d’ogni legittima
autorità; è necessario educare
cristianamente la gioventù, santificare la famiglia, ristabilire, a norma delle
prescrizioni e costumanze cristiane, l’equilibrio fra le diverse classi
sociali, camminare nella professione franca ed aperta della fede, esercitarsi
in ogni opera di carità, senza verun riguardo a se stessi ed a vantaggi
terreni; è necessario, in una parola,
ristorare ogni cosa in Cristo. Qui è
il rimedio ai Nostri mali; qui, qui solo è riposto il segreto di quella
grandezza e di quella forza che valgono ad assicurare la pace e la prosperità
così delle famiglie come delle nazioni13.
«Sarei disposto anche al
sacrificio della vita»
Non abusate più oltre della
bontà, pazienza e longanimità divina, non vi illudete più oltre. Scuotetevi dal
vostro sonno di morte, rientrate in voi stessi, ritornate a coscienza,
riconciliatevi con Dio. Questa è la preghiera del vostro pastore e padre che
sinceramente vi ama. Abbiate, o miei cari, pietà di voi stessi. Temete, oh! si,
temete che venga dì, in cui per vostro infortunio estremo cerchiate tempo a
penitenza, senza poterlo trovare. Se oggi udite la voce del Signore, fate e
fate tosto. Vi spaventa forse il numero e la gravità delle colpe? O temete che
Dio, da voi tanto offeso, non sia per accogliervi amorevolmente? Ah! se io,
misera creatura, sfornito qual sono di ogni virtù, adesso tanto mi struggo per
il desiderio del vostro bene, che parmi sarei disposto al sacrificio anche
della vita, pur di vedervi ritornare alla casa del Padre vostro celeste, come
non arderà egli di stringervi al suo seno, egli che è il Dio buono, clemente e
misericordioso, egli che si protesta di non volere la morte del peccatore, ma
che si converta e viva? Coraggio adunque! Vincete ogni timore, o
carissimi, e siate certi dell’aiuto divino. Ridivenuti amici di Dio, eredi del
paradiso, gusterete in questa vita la pace dei giusti, e nell’altra la gioia
degli eletti14.
b)
“Verremo a predicarvi con tutta
semplicità Gesù Cristo e questo crocifisso”
No; non v’aspettate da Noi
sublimità di eloquio, artifizii di umano sapere; verremo a predicarvi con tutta
semplicità Gesù Cristo e Questi crocifisso; Gesù Cristo che è
“Nel nome di Dio verremo a voi”
Nutriamo pertanto ferma fiducia,
che la rugiada del Cielo scenderà copiosa a fecondare le umili Nostre fatiche e
le vostre, o Venerabili
Nel Nome di Dio adunque, nulla fidando nelle Nostre deboli forze, ma tutto attendendo dalla grazia del Santo suo Spirito; Noi verremo, o Figli desideratissimi, sperando ogni bene per la vostra salute dal Signor nostro Gesù Cristo, il quale è il sostegno dei Vescovi della sua Chiesa; è la fiaccola che Li illumina; è il fuoco che Li riscalda, che comunica Loro la parola di vita, che Li anima ad annunziarla ai popoli, senza esitazione, senza tema, con tutta franchezza.
[2].
“La più dolce delle
consolazioni”
Per disporre poi convenientemente i fedeli a questa sacra Visita, ordino
che la medesima sia preceduta in ogni parrocchia da un corso di spirituali
esercizi, o almeno da un triduo di predicazione straordinaria.
Nulla risparmiate, miei venerabili cooperatori, perché io venendo possa a
tutti i miei figli dispensare il pane degli angioli, a tutti, dai giovanetti
della prima Comunione a coloro che stanno sulla soglia della eternità, a tutti,
senza eccezione.
Sarà questa, fratelli e figli miei, la più cara, la più dolce delle
consolazioni che voi potrete procurare al vostro Vescovo in mezzo alle cure
incessanti e alle gravi preoccupazioni del suo pastoral ministero.
Raccomandandomi di nuovo alle vostre preghiere e affrettando coi voti
più fervidi il momento di abbracciarvi tutti in Gesù Cristo, v’imparto con
l’effusione del più tenero affetto la pastorale benedizione[3].
“Sono qui per farmi tutto a
tutti”
Andate, disse G.C. ai suoi Apostoli, ammaestrate tutte le genti,
insegnando loro di osservare tutte le cose che vi ho prescritto: docentes eos servare omnia quaecumque
mandavi vobis. E gli Apostoli, obbedienti a quella voce, andarono, passando
di città in città, di borgata in borgata, di paese in paese, ovunque si
trovassero seguaci del Crocifisso, per recare a tutti la luce del vero e la
vita della grazia.
Successore, benché indegno degli Apostoli, eccomi un’altra volta in
mezzo a voi, figli carissimi e desideratissimi. Oh come volentieri vi riveggo
dopo tanti anni! Ricordo ancora con viva compiacenza le prove che mi deste
della vostra bontà la prima volta che posi piede in questa vostra insigne
borgata e queste prove avete volute rinnovarle salutando il mio arrivo tra voi
coi segni della più viva allegrezza. Ve ne ringrazio, cari figli, e ve ne
ringrazio in nome di G.C. del quale io non sono che l’umile rappresentante. Non
guardate in esso l’uomo, ché troppo è debole e infermo, ma sí appunto Colui che
egli rappresenta e nel cui nome egli parla, nel cui nome egli opera, e le cui
grazie egli è pronto a dispensarvi attingendole dai tesori della Chiesa (...).
Io sono qui venuto per recarvi la pace, per benedire le vostre famiglie,
i vostri commerci, i vostri campi, la tomba dei vostri morti. Sono qui per
farmi tutto a tutti: per parlare agli adulti col cuore pieno di paterno
affetto; per invocare lo Spirito Santo sul capo dei fanciulli nella
Confermazione: per consolare gli afflitti, per promuovere in ogni modo la
gloria di Dio e la salvezza delle anime[4].
“Le anime vostre mi sono tanto
care, quanto mi è cara l’anima mia”
Con la coscienza resa tranquilla, con la ricuperata pace del cuore,
corroborati alla Mensa dell’Agnello divino, vi sarà dolce, o figli miei cari,
unirvi al vostro Vescovo nelle sante funzioni ch’egli andrà celebrando. Noi ci
recheremo insieme là dove riposan le ceneri dei vostri cari genitori, dei
fratelli, delle spose, dei figli, dei parenti, degli amici, di tutti i vostri
compaesani, e, prostrati su quelle sacre zolle, tra il mesto e il sublime
silenzio delle tombe, imploreremo da Dio l’eterno riposo ai vostri poveri
morti.
Voi, o genitori, mi condurrete poi nella chiesa i vostri figli, perché
io segni le loro tenere fronti col sacro Crisma e faccia discendere in essi lo
Spirito Santo che li ricolmi dei suoi molteplici doni, affinché non siano dalla corruzione contaminati e guasti.
Interrogati da me, o genitori, i vostri figliuoli sulle cose che ogni
cristiano deve sapere per esser degno del nome che porta e per salvarsi, vi
sarà grato udirli rispondere con soddisfazione, come spero, alle mie domande.
Che se qualcuno dei figli vostri mostrerà di aver bisogno di maggiore
istruzione, voi farete in cuor vostro alla presenza di Dio il santo proposito
di vegliare in seguito con maggiore sollecitudine alla loro istruzione
religiosa, accompagnandoli sempre al Catechismo...
Oh che santa giornata sarà per tutti voi, o miei cari, quella che
passerete in compagnia del vostro Vescovo qualora, e non voglio dubitarne, la
passiate nell’allegrezza del Signore e nella preghiera. Deh fate, o
dilettissimi, che abbia poi a confortarmi il pensiero che anche questa volta
la mia Visita ha fatto un po’ di bene alle anime vostre: alle anime vostre che
mi sono tanto care, quanto mi è cara l’anima mia. Io non cerco che le anime,
non voglio che le anime dei miei figli, e che nessuna di esse si perda![5].
“Conosco le mie pecore e le mie
conoscono me”
Posti Noi dallo Spirito Santo, avvegnaché immeritevoli, al governo di questa, per tanti titoli, illustre e gloriosa Diocesi Piacentina, d’altro più non Ci demmo pensiero, Venerabili Fratelli e Dilettissimi Figli, che di voi e della salute delle anime vostre ad ottener la quale, Dio Ci è testimone, daremmo ben volentieri, se fosse d’uopo, il sangue e la vita.
Fu appunto pel desiderio della vostra salute, e per l’amore che vi portiamo ardentissimo in Gesù Cristo, che ci affrettammo di dar principio in mezzo a voi, come sapete, alla sacra Visita Pastorale.
Tardava troppo al cuore amoroso del padre il vedere cogli occhi propri l’aspetto de’ suoi figliuoli; tardava troppo alla sollecitudine del pastore il conoscere da vicino tutto quanto il suo gregge. Sia lode al Signore! I Nostri voti sono alfine compiuti.
Ora possiamo dire non esservi
parte, benché remota, di questa mistica vigna, che non Ci sia nota appieno;
possiamo, ad esempio del principe e modello dei pastori Gesù Cristo, ripetere
con tutta verità: conosco le mie
pecorelle e le mie conoscono me; possiamo affermare ciò che S. Paolo
desiderava poter dire ai fedeli di Roma: con
gaudio io venni a voi per volontà di Dio, e con voi tutto mi confortai[6].
“Abbiamo trovato in voi le
consolazioni della fede”
Ci confortammo, e grandemente Ci confortammo,
al vedere come lo spirito di religione, tanto combattuto dalla moderna empietà,
viva ancora ed operi potentemente nel
Ci confortammo alle tante splendide significazioni e testimonianze filiali di riverenza e di affetto, che da ogni ordine di persone Ci vennero spontaneamente tributate dovunque, come se Cristo accogliessero e ciò lodavamo, non per veruna importanza che Noi intendessimo dare alla persona Nostra indegnissima, sibbene perché grandissima importanza Noi davamo, come sempre daremo, a quel sentimento di sommessione e di rispetto del popolo fedele, nel riconoscere l’autorità di Gesù Cristo, comunque meschinamente rappresentata nel Pastor Diocesano.
Ci confortammo insomma, per aver trovato in voi, o Dilettissimi, quelle consolazioni cui tanto apprezzava l’Apostolo, le consolazioni della fede di quella fede che fu mai sempre il più grande ornamento, la gloria più bella della patria nostra; l’oggetto più caro dei pensieri e delle sollecitudini dei nostri maggiori; che formò la loro vera felicità
in questa vita, e nel cui seno tranquillamente spirarono, a noi, come il tesoro più prezioso, raccomandandola.Argomento di questa fede fu anzitutto il vedere accorrere ai tribunali di penitenza e accostarsi a ricevere dalle Nostre mani l’Eucaristico Sacramento, persone di ogni sesso, di ogni condizione, di ogni grado, giovanetti e fanciulle che per la prima volta accoglievano nel verginale loro cuore il mistico pane degli Angioli, con devota attenzione, con pio fervore, con dolci e commoventi melodie, con cantici di letizia e di ringraziamento.
Argomento di fede l’impegno vivissimo che misero tutti nell’intervenire a tutte le pubbliche preci, lasciando volentieri i loro lavori e i loro traffichi; nell’assistere devotamente alle sacre funzioni; nell’ascoltare con religiosa avidità la divina parola, cui più volte il giorno, e nelle parrocchie e nei pubblici oratorii e in qualsivoglia propizia occasione, non omettemmo di annunziar loro con libertà evangelica e con tutta semplicità, paternamente ammonendoli a star saldi nella fede e a camminare in maniera degna di Dio, piacendo a
Lui in tutte le cose, producendo frutti di ogni opera buona e crescendo nella scienza di Dio.Argomento di fede la paziente solerzia che scorgemmo in tutti, si può dire, i Maestri e le Maestre della Dottrina Cristiana, nell’istillare in seno ai fanciulli, coi primi rudimenti della fede, il timor santo di Dio; la saggia premura de’ buoni genitori nell’inviarli per questo fine alla chiesa; il condurli che essi facevano dinanzi a Noi con trasporto di viva allegrezza, perché fossero col santo crisma segnati del segnacolo dei forti.
Argomento di fede l’aver Noi trovato le chiese generalmente o restaurate o abbellite, o in via pur anco di costruzione, per la splendida liberalità e per le pie elargizioni dei fedeli, che uniti ai loro degni pastori, zelanti e solleciti del decoro della casa di Dio, non perdonando a sacrificii, le providero anche di suppellettili, di sacri arredi, di preziose opere, di nobili lavori.
Argomento di fede finalmente il venirci incontro a gran festa di ogni popolazione che andavamo volta per volta visitando; il prostrarsi devote al Nostro passaggio per esserne benedette; l’accompagnarci che esse facevano per lunghissimo tratto
alla Nostra partenza, non ostante, il più delle volte, l’asprezza e difficoltà dei sentieri, l’imperversar delle piogge, il gonfiar dei torrenti, le intemperie e le molestie della stagione.Oh quanto la rimembranza di queste cose Ci riempie di consolazione, o Carissimi! Potremmo noi dimenticarle? Non mai. Che anzi impresse Ci staranno continuamente nell’animo come un soave ricordo, in mezzo alle angustie e fatiche del formidabile Nostro Ministero.
Sì, ricorderemo sopratutto, con vera soddisfazione, i varii membri del Rev.mo Nostro Capitolo, che tanto, e con tanta abnegazione di sé medesimi, Ci coadiuvarono durante la lunga e faticosa peregrinazione.
Ricorderemo, con singolare compiacenza, la cordiale ospitalità ricevuta dai Nostri ottimi Vicarii Foranei, e da tutti in generale i Nostri amatissimi Parrochi, dei quali, nella massima parte, abbiamo dovuto encomiare l’amor dello studio, l’attività dello zelo, lo spirito di sacrificio, il desiderio del bene.
Con grato animo infine,
ricorderemo l’aiuto efficacissimo, che, nella loro ammirabile operosità e
sommessione, Ci prestarono del continuo gl’instan[7].
“Per la terza volta ho visitato
Per la terza volta, secondo la possibilità, ho visitato
Durante questa terza Visita Pastorale sono salito sul Monte Penna, che
s’innalza a
Consacrai 28 chiese, alcune delle quali del tutto nuove, altre restaurate
e abbellite. Benedissi inoltre 18 concerti di campane, salendo il più delle
volte sui campanili.
C’era urgente necessità di provvedere molte parrocchie rurali di cimiteri
adatti e decorosi secondo le prescrizioni della legge. Tutte le volte che si
presentò l’opportunità, non tralasciai di raccomandare la cosa alla competente
autorità civile in pubblico e in privato: e non invano, poiché in questo
triennio ho benedetto 35 cimiteri nuovi, adatti e disposti secondo le
prescrizioni canoniche e sinodali[8].
“Un lavoro superiore alle mie
forze”
Ritornato dalla Visita Pastorale, dopo l’assenza di parecchie settimane,
trovo qui la vostra carissima. La sospiravo da gran tempo e potete immaginare
quanto mi abbia fatto piacere. Sono lieto che stiate bene. Io pure, grazie a
Dio, godo buona salute, nonostante le continue fatiche. In tre settimane ho
visitato 20 parrocchie della più alta montagna, facendo a cavallo parecchie
centinaia di miglia. Come si sta bene in mezzo a quella gente piena di fede,
lontani da frastuoni e dai pettegolezzi del mondo!
Ripartirò in settimana per Borgotaro e continuerò le visite per tutto il
mese di Luglio[9].
È questa la 123a Parrocchia che visito in quest’anno; è cosa quasi da
matto; ma voglio ricuperare il tempo perduto nell’anno scorso. La salute mia,
grazie a Dio, è sempre ottima. Mi dicono che ringiovanisco: sì, la giovinezza
del fiore, che nasce al mattino bello e pieno di vita e la sera è bello e
spacciato. Ma poco importa, purché si arrivi dove siamo incamminati[10].
Pretendere di non aver incomodi alla nostra età, è un pochino troppo.
L’organismo si logora e ci avviciniamo a grandi passi all’ultimo passo.
Intanto si parla, si predica, si scrive, si cavalca, si gira, si suda, si
lavora per renderci propizio almeno il Signore[11].
Con gioia vivissima ricevo qui, ove mi trovo in Visita pastorale, la
vostra gentilissima del 2 corrente e vi ringrazio del vostro memore affetto corde magno et animo volenti. Questi
guasta mestieri di giornalisti mi dipinsero quasi morente, mentre la mia indisposizione
non fu che una febbriciattola di 24 ore, che mi sorprese proprio nel ritorno da
una visita faticosissima alle parrocchie dell’alto Appennino. Furono strapazzi
di ogni genere, che pagai con tre o quattro giorni di riposo e poi ripigliai
le mie corse. Non so moderarmi, né mi posso adattare al pensiero di cambiar
sistema, eppure dovrò farlo.
Gli anni crescono, 64, le fatiche si fanno sentire, i bisogni diventano
ognora più gravi, la marea socialistica monta e tutto mi persuade e mi spinge
ad un lavoro superiore alle mie debolezze fisiche e morali e avanti in nomine Domini sin che potrò[12].
“Il Verbo divino si fece uomo e
venne, ineffabile parola, a parlare agli uomini”
La parola di Dio, figliuoli
carissimi, noi dobbiamo anzitutto ascoltarla. E perché? Appunto perché parola
di Dio; perché parola di lui che è il nostro creatore, il nostro legislatore,
il nostro
Da tutta la eternità, ci dicono i
libri santi, Dio, contemplando sé stesso, pronuncia una parola, e questa
parola, vasta come la sua immensità, infinita come il suo essere, efficace come
la sua onnipotenza, è l’espressione viva, sostanziale, adeguata di tutto ciò
ch’egli è; è il suo Verbo, è la seconda persona dell’augustissima Triade.
Questo Verbo divino si fece uomo e venne, parola ineffabile, a parlare agli
uomini la parola di eterna vita[13].
“La parola di Dio è di eguale
necessità che la fede”
La fede, o miei cari, è il più prezioso di tutti i tesori, la sorgente di tutte le grazie, il fondamento di tutte le virtù, la radice della nostra giustificazione, la porta del cielo. Ma come questa fede si può averla?
Mediante la parola di Dio. Lo insegna espressamente l’Apostolo, dicendo: «Chi è che, invocando il Signore, giungerà a salvamento? Quegli che in prima avrà creduto. Ma e come crederà le verità della fede, se non venga istruito? E come verrà istruito, senza chi predichi?» Dunque la fede di Cristo si ha dall’udirla, e l’udirla viene dalla parola predicata di Cristo: Fides ex auditu, auditus autem per verbum Christi. Siegue da ciò, che se la fede si ha dall’udire la parola di Dio, la parola di Dio è di eguale necessità che la fede.Sì, miei cari, questa e questa
sola è la strada che, di legge ordinaria, Dio ha stabilita a salvare i
credenti. Poteva salvarli (qual dubbio?) per altre vie: per via di apparizioni
celesti, per via di superne ispirazioni, per via di miracoli, e andate dicendo.
Ma il fatto si è che a lui è piaciuto il contrario. A lui è piaciuto di
salvarli per mezzo della predicazione: Placuit
Dio per stultitiam praedicationis salvos facere credentes[14].
“La parola di Gesù Cristo non è
meno del corpo suo”
Dobbiamo ascoltarla, accogliendola appunto, non come parola dell’uomo, ma come parola di Dio. Ditemi, fratelli, chiede s. Agostino, quale di queste due cose vi pare di maggior dignità, la parola di Dio o il corpo di Gesù Cristo? Se volete dire il vero dovete certamente convenire che la parola di Gesù Cristo non è agli occhi della vostra fede punto meno pregevole e degna di stima del corpo suo: Non est minus verbum Dei quam corpus Christi.. Ora se è così, come è di fatto, se cosa non meno grande, non meno salutare, non meno divina del corpo di Cristo è la parola di lui, è facile il capire che da noi va udita con attenzione, con rispetto, col fermo proposito di praticarla.
Va udita con attenzione, in
maniera che, al dire dello stesso santo dottore, la diligenza che usiamo quando
ci vien dispensato il corpo di Cristo, affinché niente di esso cada in terra,
dobbiamo usarla verso la divina parola, badando bene che, mentre pensiamo ad
altro o parliamo di altro, alcun che di essa [15].
“L’efficacia della parola è attaccata
alla divinità del ministero”
la parola di Dio nulla perde del suo valore, e rimane sempre parola di Dio, anche sul labbro dell’infimo dei sacerdoti, purché legittimamente mandato. Solo che egli non travalichi i limiti della ortodossia, solo che non abbia rinunziato alla fede, il Verbo di Dio si obbliga di passare per la sua bocca, come sull’altare si obbliga di passar per le mani del ministro anche più imperfetto.
Dio, così un celebre oratore, ha
scelto l’uomo per illuminare, evangelizzare, istruire, santificare gli uomini,
ma non ha voluto che l’efficacia di questi ministeri affidati all’uomo
dipendesse dalla virtù, dalla santità dell’uomo, altrimenti gli uomini
sarebbero obbligati all’uomo della loro santificazione e della loro salute.
L’efficacia della parola di Dio, notatelo bene, o carissimi, è attaccata non
alle doti personali, non all’ingegno, e nemmeno alla santità del ministro, ma
alla divinità del ministero, alla parola dell’uomo, in quanto esso parla di
Gesù Cristo e in nome di Gesù Cristo, o piuttosto in quanto Gesù Cristo parla
nell’uomo[16].
“La parola evangelica è come
una lettera speditavi dal Padre”
La parola evangelica è come una lettera speditavi dal vostro Padre celeste. Ora un figlio affezionato non si ferma a considerare se la carta sia buona o cattiva, se nitidi o macchiati sieno i caratteri; corre senz’altro a quello che il padre gli dice. Dunque anche riguardo alla sacra predicazione, non attenzione a chi parla o al modo con cui parla, ma unicamente alle verità che annunzia. Non potrà fare allora che l’animo vostro non sia compreso dal rispetto più affettuoso e profondo.
La parola di Dio finalmente va
udita col fermo proposito di praticarla. Quale intatti, o dilettissimi, ne è lo
scopo? Quello di renderci cristiani buoni, cristiani di mente, cristiani di
cuore, cristiani di opere. Deve renderci cristiani di mente? Dunque dobbiamo
meditarla. Udir la parola di Dio, e poi non più pensarci è, secondo l’apostolo
s. Giacomo, come chi guarda il proprio volto nello specchio e passa oltre.
Quale impressione gliene rimane? Nessuna. E solo colla riflessione che l’uomo
impara a conoscere ciò ch’egli è e ciò che dev’essere, a pensare e giudicare in
ogni cosa cristianamente. Deve la parola di Dio renderci cristiani di cuore e
di opere? Dunque primieramente va trasformata in affetto. Non solo dobbiamo
intendere la verità, ma dobbiamo amarla, e non solo dobbiamo amarla, ma dobbiamo
altresì praticarla: Veritatem facientes
in cha[17].
“
Ecco il significato della vostra predicazione. Qui sta tutta la salvezza
e la prosperità della Chiesa. Frutto di questa predicazione e il lasciar
indietro l’infanzia, vivere e camminare per la via della prudenza. Che cosa
sarebbe
Una religione senza sacrificio, una società di utopisti, una casa fondata
sulla sabbia: Cristo stesso diventerebbe una favola, un mito[18].
“Il sacrificio senza la parola
sarebbe una commemorazione inefficace”
Cristo nell’Eucaristia è la forza e la sapienza di Dio: e noi predichiamo
Cristo virtù di Dio e sapienza di Dio. Riflettete sul concetto di predicazione.
Cristo, istituendo il sacrificio e consacrando i sacerdoti, disse: Hoc facite in meam commemorationem (I
Con. XI). Col suo stesso modo di agire congiunse la predicazione al sacrificio:
il sacrificio senza la parola sarebbe una commemorazione inefficace. Sapete
con quale sublime e divina eloquenza Cristo ha parlato agli Apostoli nell’ultima
cena prima e dopo l’istituzione dell’Eucaristia. Gli Apostoli ne hanno
continuato la predicazione (...). Si dedicavano alla predicazione della parola
e i fedeli, ascoltandoli, perseveravano nel partecipare in comunità alla
frazione del pane (...).
Il Fondatore divino della Chiesa ha comandato agli Apostoli e, in loro,
a noi il ministero della predicazione: predicate il Vangelo a tutti. Dopo
l’istituzione della Eucaristia ordinò: Fate questo in mia memoria. Quello che
vedete fare da me, ricordatelo con la rinnovazione del sacrificio, e tenete
viva la mia memoria nel cuore dei fedeli con la vostra predicazione. Il regno
di Cristo si perfeziona mediante l’Eucaristia, e voi, eletti a cooperare a
questa azione divina, dovete applicarvi incessantemente alla predicazione
eucaristica per dilatare e consolidare il regno di Dio. Mai fu necessaria questa
predicazione come ai nostri giorni, dei quali il profeta potrebbe dire: “la
mensa del Signore e stata disprezzata”.
Perché? Perché il dono di Dio è poco conosciuto: la grandezza di Cristo
in questo Sacramento è grandezza d’amore: in altre parole, perché raramente si
predica Cristo nel suo Sacramento. Qualcuno forse incolperà i tempi, gli
errori che si diffondono, gli scritti empi, i nuovi scandali che si moltiplicano
ogni giorno; chiamerà in causa le profanazioni, la crassa indifferenza, la diminuzione
della fede in molti. Ma donde nascono questi mali, se non dalla mancanza della
predicazione? Sentite 1’Apostolo Paolo: Fides ex auditu, auditus autem per Verbum Christi (Rom. X, 17)[19].
“La predicazione e il
sacrificio eucaristico: i due poteri di cui Cristo vi ha investiti”
Ponderate la profezia della Sapienza: “Annuncerò il tuo nome ai miei
fratelli; ti loderò in mezzo all’assemblea” (Ps. XXI). Cristo adempie la
profezia non con la sua bocca, ma con la nostra: con la vostra predicazione e
con il sacrificio eucaristico. Sono i due poteri di cui Cristo vi ha investiti
(...). Mediante il sacerdozio e il convito eucaristico, lo splendore di Cristo
sarà come una luce: “Ristette e squadrò la terra, guardò e le nazioni si
dileguarono, le montagne secolari si squarciarono, s’inchinarono le vette del
mondo” (Ibid. III, 6). Ecco la vittoria e la conquista della terra, promessa da
Cristo. Non vediamo ancora conquistato il mondo: ma alzate gli occhi e guardate
i campi che già biondeggiano per la messe[20].
Cristo in questa mensa ha mescolato l’utile col dolce: utile, perché,
come dice il poeta, ristora l’uomo, perduto dalla dolcezza del frutto proibito,
con un cibo più alto; e sconfigge il veleno del serpente col sacro sangue.
Dolce, perché, esclama la sposa: “fructus
eius dulcis gutturi meo”.
Unite i due aspetti nella vostra predicazione: l’utile con una
spiegazione adeguata del mistero eucaristico, secondo l’analogia della fede,
confermandola con l’autorità dei Padri e dei Dottori; il dolce, appoggiando i
vostri argomenti anche su ragioni fondate, desunte dalle scienze.
Non dovete lasciarvi scoraggiare dal timore che i fedeli non capiscano.
La comprensione dei misteri non risulta dall’intelligenza naturale, ma dalla
luce della fede, che Dio infonde, in occasione della predicazione, aprendo lui
i cuori. Poi, a forza di sentire, diventano intelligibili anche quei punti
che, in principio, sembravano meno accessibili, appunto perché si predicavano
raramente.
A tale impegno siete stati iniziati fin dalla giovinezza: ma pochi forse
hanno fatto progresso in questo campo, non badando alle parole del Cristo
Signore: “Haec est vita aeterna:ut
cognoscant Te, solum Deum verum et quem misisti lesum Christum” (Joan.
XVII, 3). Ci inganneremmo se, accontentandoci di una conoscenza mediocre, ci
limitassimo a presentare al popolo sempre latte, mai cibo solido. L’Eucaristia
e nel medesimo tempo il latte dei bambini e il cibo dei forti, il pane dei
robusti. Ai cristiani parliamo dunque della sapienza nascosta nel mistero.
Studiate soprattutto Cristo e il suo Sacramento: non predichiamo
soltanto il Cristo concepito per opera dello Spirito Santo, nato da Maria
Vergine, patito, morto, risorto, salito al cielo per essere nostro avvocato
presso il Padre; ma predichiamo anche il Cristo che ogni giorno cancella i
peccati con l’oblazione di se stesso, e diventa per noi tutti sapienza di Dio,
giustificazione, redenzione; predichiamo il Cristo che abita in noi fino alla
consumazione del mondo, il Cristo che vive nel Sacramento e che tutto attrae a
sé. Cristo non è un’apparizione subito scomparsa: ma è Gesù il Cristo ieri,
oggi e sempre[21].
“Non è la parola di Dio che si predica da
taluni, ma la parola dell’uomo”
Forse non si predicò mai tanto come al presente,
ma come va, si domanda, che il frutto che ne deriva e, per lo più, così
poco? Si suole comunemente incolparne gli uditori, e, a dire il vero, avviene
troppe volte che la mistica semente cada sopra una terra ingrata, dove sassi e
spine impediscono che germogli e cresca a maturità. Ma forseché la colpa non è
anche bene spesso di chi questa semente va spargendo nel campo del Signore?
Si, pur troppo, o fratelli! E inutile
dissimularlo: tante e tante predicazioni riescono infruttuose, perché non è già
la parola di Dio che si predica da taluni, ma la parola dell’uomo. Si vuol
sfoggiare, scrive un illustre oratore, una scienza moderna, si vuol sorprendere
e far stupire gli uditori con artifizi di retorica, con giuochi di memoria,
con una serie interminabile di nomi, con citazioni di autori d’ogni sorte, con
una eloquenza giornalistica, con allusioni che stuzzicano la curiosità malsana
del popolo, con la foga vertiginosa della recita (gia sfolgorata da S.
Girolamo), con la posa teatrale, con la forza dei polmoni, con le grida che
offendono e straziano gli orecchi. Ma io non mi stancherò mai di stimatizzare
siffatta eloquenza, quella sacra eloquenza che si vorrebbe oggi mettere in
voga a gran detrimento delle anime, a gran discredito della predicazione;
quella eloquenza, come altri disse, ricca di figure e povera di pensieri,
feconda di espressioni e sterile di sentimenti, fastoso apparato di una
opulenza mendace che, facendo servire al desiderio di piacere il gran ministero
d’istruire, e la parola di verità a mendicar l’adulazione, lusinga le orecchie
e lascia in pace le passioni, e, invece di predicare Gesù Cristo, non fa che
predicare se stessa; quella eloquenza, vano sfoggio di spiriti leggieri, di anime
profane, che si perde in dottrine vaghe, in frivole descrizioni, in pitture
troppo delicate, in concetti stravaganti, in periodi rotondi, in parole, in
frasi affettate, in artifici, in fiori, in ornamenti che il gusto più
indulgente perdonerebbe appena in un romanzo e di cui la verità santa è obbligata
ad arrossire, come un’onesta matrona al vedersi ricoperta delle vesti di una
danzatrice; quell’eloquenza infine che, profana nella sostanza non meno che
nella forma, degrada il sacro ministro sino al commediante, e sino alla
commedia il divin ministero[22].
“Debitori ai dotti e agli indotti”
Ricordino i sacri oratori, e specialmente i
parroci e i loro coadiutori, che non devono parlare con le allettanti parole
della sapienza umana, ma con dimostrazione di spirito e di virtù. Ricordino di essere debitori ai dotti e agli
indotti, e che perciò devono attendere alla semplicità, alla chiarezza e alla
brevità. Non salgano mai impreparati sul pergamo, né senza aver invocato la
luce dello Spirito Santo. Ricordino che le parole devono mirare sì a illuminare
l’intelletto, ma molto più a eccitare il cuore: mentre dunque non si deve mai
omettere la spiegazione delle più alte verità della fede, il discorso tuttavia deve contenere
sempre qualche cosa che riguardi la pratica, anche negli stessi panegirici[23].
d) EDUCAZIONE CRISTIANA E
ISTRUZIONE RELIGIOSA
La parola educare ha qualcosa in sé che vuol essere studiata. E’ una parola derivata dalla lingua latina e significa trarre fuori quel che è dentro, aprire e svolgere quello che è chiuso ed in germe.
Ora, applicando all’uomo quella parola, convien dire che la educazione sia la maniera di svolgere i germi che son riposti nel cuore umano e di trarre a luce quel che è nascosto in quei germi. Questo modo di parlare presuppone che Dio nel cuore dell’uomo abbia posto qualcosa che somiglia al germe onde esce poi il fiore tenero e fragrante.
E cosi è davvero. L’educatore, a parlare con proprietà, non mette nulla dal di fuori nell’animo del fanciullo, sì piuttosto coll’azione solerte e amorosa spiega e disvolge quel che è come inviluppato nei ripostigli del cuore e fa fiorire i semi e i germi delle virtù naturali non solo, ma ancora quei germi felici e quei semi di virtù sopranaturali, che furono inseriti col Battesimo nell’anima nostra.
A questo appunto si riduce la vera e soda edu
cazione; a questo l’opera vostra, o padri, o madri, o maestri, o istitutori, o sacerdoti, o parrochi, o voi tutti che siete chiamati in qualche modo al nobilissimo e divino ufficio di educare la gioventù.È da notare però, che accanto ai germi del bene si trovano nel cuore dell’uomo i germi del male. Il fanciullo porta nel fondo del suo essere i semi di uno scellerato o di un santo.
L’opera vostra pertanto, o dilettissimi,
deve altresì avere in mira di soffocare per tempo la rea semenza, perché la
buona possa levarsi e germogliar vigorosa. Dovete rompere gli istinti della
voluttà e dell’orgoglio, che si manifestano sin dall’infanzia; dovete fare in
guisa che il fanciullo siegua non già l’impeto della passione, ma l’impulso
della virtù; che si avvezzi ad operare per la rettitudine del bene, che splende
alla mente e non per l’attraimento del piacere, che i sensi alletta e corrompe.
Ma, direte voi, come riuscirvi? Innestando nell’animo di lui fino dai più
teneri anni il timor santo di Dio; imperocché fermatelo bene, o dilettissimi,
nella vostra mente: educazione vera non è possibile senza Religione. Educare il
fanciullo è deporre la verità, tutta la verità, nella sua mente, dalla più
semplice alla più elevata; è aprire il suo cuore ai più nobili sentimenti, a
quelli della purezza più delicata e dell’onore più puro; è far palpitare la sua
anima alle parole: Dio, patria, libertà, eguaglianza, fraternità, quali le
consacra il Vangelo[24].
“Il sistema della mummificazione o l’età
della pietra, no, non è Vangelo”
Ma in che consiste la vera educazione? Forse nell’apprendere bene un mestiere o una professione qualunque, o nell’arte di presentarsi nel mondo con grazia? Ciò potrà essere dell’educazione la corteccia, diremo così, o la vernice, ma non è la educazione.
E nemmeno vuolsi confondere, come usano molti, l’educazione colla istruzione, facendo di questa una sola e medesima cosa con quella. L’istruzione si volge all’intelletto, l’educazione s’indirizza alla volontà. L’istruzione fa gli uomini dotti, l’educazione forma gli uomini virtuosi. La prima guarda alla scienza, la seconda mira alla coscienza. Quella ha ragione di mezzo, questa ha ragione di fine. L’educazione pertanto è al disopra dell’istruzione e della scienza, come il bene sovrasta al vero e la virtù supera in pregio l’ingegno.
Eppure oggi non si parla che d’illuminare la mente. Istruzione, si grida da ogni parte, istruzione!
E
sta bene. Discepoli di quel Dio, che ama chiamarsi il Dio delle scienze, amiamo anche Noi i nobili studi, amiamo chi vi si dedica e li coltiva, amiamo che tutti, il ricco e il povero, il patrizio ed il plebeo, ognuno secondo il proprio grado, acquistino le cognizioni necessarie e convenienti al loro stato. Noi anzi per i primi reputiamo una conquista tutto ciò che contribuisce a farci avanzare anche un sol passo nella via del civile progresso e salutiamo con giubilo il rifiorire della patria che si abbella di nuove glorie. Quell’intestarsi al vecchiume e tenersi come polipi abbrancati all’antico, quel gridare la croce addosso a tutto che ha l’aria d’innovazione sul terreno stesso dei fatti, quel suscitar diffidenze contro chi non sa piegarsi a rappresentare il sistema della mummificazione, o l’età della pietra, no, non è Vangelo, non è religione, è sintomo d’ignoranza e di pertinacia, anziché di sapere e di onestà.Si coltivino pure le arti e le
scienze, purché, ben s’intende, non trascorrano oltre i loro confini naturali;
la luce dell’insegnamento si diffonda pure largamente per ogni dove, ma non si
dimentichi di unire all’istruzione l’educazione[25].
“Non risparmiate fatica per educare
cristianamente”
Padri e Madri, vegliate voi pure a custodire la vostra casa, ché i tempi corrono tristi assai e l’avversario d’ogni bene, come leone che rugge, va intorno cercando chi divorare dei vostri figli. Sono anime che costano sangue a Gesù ed Egli chiederavvene conto a prezzo di sangue. Deh! no; non perdonate a fatica per educarli cristianamente e per crescerli timorati di Dio, se volete averli docili, rispettosi, amorevoli. Vigilanza sui luoghi che frequentano, sulle compagnie che praticano, sui libri che leggono; ma sopratutto andate loro innanzi col buon esempio, sicché
abbiano in voi una scuola continuamente aperta di ogni cristiana virtù.Padroni, e capi di officina e quanti avete autorità sugli altri, fate sì che il frastuono del lavoro tacciasi nei dì festivi, e che tutte le voci dell’industria ammutoliscano per non lasciar favellare nel sacro giorno di Dio che la voce del Sacerdote e della Religione.
Maestri, istitutori, educatori
della gioventù, che Noi in singolar modo apprezziamo, una parola anche a voi.
Il problema dell’avvenire è in mano vostra. Tanti si domandano se le cose alla
fine volgeranno in meglio, né sanno che rispondere. Sì, rispondiamo Noi, senza
terna di errare, volgeranno in meglio se le vostre fatiche saranno degne della
nobile missione affidatavi, se metterete ogni impegno perché non solo il metodo d’insegnamento sia ragionevole e serio, ma
molto più perché lo stesso insegnamento sia sano e pienamente conforme alla
fede cattolica, tanto nelle lettere che nelle scienze (Encvc. sup. cit.).
Sarà così che formerete gli ottimi cittadini.
“L’istruzione religiosa: ecco il gran mezzo
della cristiana educazione”
Educazione e Religione sono dunque due cose inseparabili e questa dev’essere la base di quella.
Bisogna quindi far brillare alla mente del fanciullo la luce di quelle verità, che debbono essere la norma del suo pensare ed operare ed apprendergli in modo chiaro, facile, autorevole, stabile ed efficace tutti i suoi doveri; bisogna prendere questa giovinetta creatura dalla culla e condurla soavemente al suo fine supremo, che è di conoscere il suo Creatore, di amalo
e servirlo per andare poi a goderlo in eterno. Bisogna, in altri termini, istruire il fanciullo, ma istruirlo cristianamente.La istruzione religiosa: ecco il gran mezzo della cristiana educazione, ecco il bisogno supremo dell’età nostra, ed ecco, lo ripetiamo, il supremo dei vostri doveri, o genitori. Avete voi figliuoli? domanda il Signore per bocca dell’Ecclesiastico: istruiteli e piegateli al bene sin dall’infanzia.
Che sia questo un vostro preciso
dovere chi può metterlo in dubbio? Dite: che cosa è questa creatura, che venne
per mezzo vostro ad accrescere il numero dei viventi? questa creatura è un
uomo. In questo essere così grazioso, così tenue, come si esprime un insigne
scrittore, alberga un’anima che è celeste d’origine, quasi alito del cuore di
Dio e raggio di sua bellezza immortale; un’anima riscattata da Gesù Cristo a
prezzo del suo Sangue, un’anima che l’onda del santo Battesimo purificò e in
cui lo Spirito Santo diffonde le sue grazie più pure e trova le sue compiacenze
più vive. O padre, o madre, salutatela questa celeste straniera, che è venuta
ad assidersi accanto a voi, inchinatevi a quest’ospite divina, che raccolse le ali
per abitare con voi sotto il nome pur sempre benedetto di vostro figlio, o di
vostra figlia. Questo corpiciuolo che voi vedete e che tanto vi innamora, non è
[27].
“L’inalienabile diritto dei genitori di far
dare ai figli una istruzione sana e vivificante”
E diciamo bandirlo, poiché il provvedimento preso di apprestare l’istruzione religiosa solamente a que’ fanciulli, pei quali ne faranno espressa domanda, è del tutto illusorio. Non si riesce infatti a capire come gli autori della malaugurata disposizione non si sieno avveduti della sinistra impressione che deve fare sull’animo del fanciullo il vedere posto l’insegnamento religioso in condizioni così diverse dagli altri. Il fanciullo che per essere stimolato ad uno studio diligente ha bisogno di conoscere l’importanza e la necessità di ciò che gli viene insegnato, quale impegno potrà avere per un insegnamento, verso del quale l’autorità scolastica si mostra o fredda o ostile, tollerandolo a malincuore? E poi se vi fossero (come non è difficile trovarsene) genitori che o per malvagità di animo, o molto più per ignoranza e negligenza, non pensassero a chiedere per i loro figli il benefizio dell’istruzione religiosa, resterebbe una gran parte di gioventù priva dei più salutari documenti, con estremo danno non pure di quelle anime innocenti, ma, come abbiam visto, della stessa civile società.
E stando le cose in tali estremi, non sarebbe un dovere di chi presiede alla scuola rimediare all’altrui malizia o la trascuranza? Non è crudeltà che i fanciulli crescano senza idee e sentimenti di religione, finché sopravvenuta la fervida adolescenza si trovino in faccia a lusinghiere e violente passioni,
disarmati, sprovveduti d’ogni freno, colla certezza di venir travolti nei lubrici sentieri del delitto?Eppure è così. Giacché col promuovere, come si fa oggi, in nome della scienza e della libertà, la scuola laica, non si mira pur troppo che a strappare la gioventù alla religione e alla famiglia, per sacrificarla anima e corpo alla massoneria imperanti. Fino a qui i moderni riformatori si studiarono di nascondere con sottile astuzia il loro intendimento finale. Si poteva credere, che difendendo le pretese dello Stato sull’educazione, eglino pensassero piuttosto a servire i suoi interessi, anziché nuocere alla Chiesa, che i rettori della pubblica cosa si proponessero di foggiare ai loro sistemi, che mancano di passato, le generazioni dell’avvenire, quando riservavano a sé soli il diritto di educarle. Ma oggi la maschera è caduto. Non è più (lo diciamo addolorati fino alle lacrime, in vista dei danni gravissimi, irreparabili, che ne verranno alla Chiesa e alla patria, i due supremi amori dell’anima Nostra) non è più per formare, com’essi dicono, le nazioni forti e grandi, o soltanto per limitare su di un punto la potenza della Chiesa, che si vuol dare la gioventù in balia della potestà laica; è per istrappare dalle anime ancora tenere ogni sentimento di fede, ogni idea di Dio. Lo si confessa ora senza mistero alla luce del sole.
Da principio, i genitori
specialmente, non guar[28].
“Le prime impressioni sono potenti e
ordinariamente decisive”
Le prime impressioni sono potenti e ordinariamente decisive per tutta la vita. Deh, quanta amorosa cura deve porre in cuore a tutti questo pensiero! E’ nella prima età che le lezioni di fede e di morale s’imprimono più facilmente nella memoria, che le verità cristiane colpiscono più vivamente lo spirito, che i teneri convincimenti della pietà commovano più potentemente il cuore. Sulla cera molle s’imprime facilmente l’immagine di Dio, ma si richiede lo scalpello e ci vogliono sforzi e tempo, affine d’inciderla sul marmo. Quando non si hanno ancora pregiudizii da dissipare, né cattive abitudini da correggere, più facilmente l’anima si modella ai santi doveri. E quand’è che
il savio agricoltore mette il sostegno all’arboscello perché non pigli mala piega? Non è forse allora che questo è ancora tenero? Egli sa che più tardi sarebbe inutile. Così dovete far voi, o carissimi.Il seme della fede e della
religione che spargerete nel terreno ancor vergine dell’infanzia ne addiverrà
ben presto il sostegno. Allora il sentimento cristiano metterà in essa profonde
radici e crescerà in forte albero. I venti delle passioni potranno talora
scuoterlo, potranno gittarne a terra i frutti, spezzarne anche qualche ramo, ma
il tronco così spogliato starà e al primo sole di primavera metterà fuori nuovi
rami e darà frutti abbondanti[29].
“Infondere nei loro animi la conoscenza di
Cristo nel Sacramento”
I fanciulli e i giovani abbiano il primo
posto nel vostro zelo. Sapete che sono i prediletti di Cristo: “Lasciate che i
piccoli vengano a me e non impeditelo loro”, anzi rispettate questa attrattiva
che sentono verso di me e favoriteli. Insegnate loro che possederanno Cristo
credendo in lui e lo attireranno a sé imitandolo.
Esortate poi le madri che mediante questo
Sacramento s’impossessino di Cristo e lo presentino ai figli, istruendoli
tempestivamente fin dai teneri anni, secondo l’esempio di S. Monica; insegnate
loro la dottrina dell’Apostolo: “La donna si salverà mediante la maternità purché perseveri
nella fede” (I Tim. 2, 15). Convincete le madri che non potranno istruire
ed educare nettamente i figli, se non si preoccuperanno di infondere nei loro
animi la conoscenza di Cristo nel Sacramento. Ed anche ai padri i nostri
sacerdoti dovranno rivolgere l’invito che ricevano Cristo e a sé lo attraggano;
ed imparino da Cristo Signore nel sacramento la sollecitudine e la vigilanza
verso la loro famiglia.
E vorrei che i parroci riuscissero a
persuaderli a far celebrare tre o quattro messe all’anno per il bere spirituale
e temporale dei figli. Si richiamino all’esempio del santo Giobbe: “Giobbe
mandava a chiamare i figli e li purificava, e levandosi di buon mattino
offriva olocausti per tutti loro” (Giob. 1, 5). Inculcate perciò a tutti questa buona usanza,
sicuri
che non pochi aderiranno al vostro invito con grande beneficio delle loro
famiglie[30].
“Educando alla fede, educhiamo anche alla
vera libertà”
La sorte avvenire della vostra famiglia e
della patria è in poter vostro, o genitori cristiani. A voi la scelta se vi
conviene affidare i propri figliuoli, che debbono essere il dolce conforto e
lo sperato presidio della vostra tarda età, all’amorosa tutela di Gesù Cristo,
del divin maestro di verità e d’ogni ordinato progresso, o condannarli alla
sciagurata e disumana disciplina di maestri d’ogni sorta di ribellione.
Educando i vostri figliuoli alla fede di Gesù
Cristo Noi li educhiamo anche alla vera libertà. E a chi ci chiama nemici o
amici malfidi della libertà, perché detestiamo cordialmente quella ignominiosa
licenza che si arrogò il nome di libertà e il diritto di tutto osare, lecito o no, non abbiamo da rivolgere che questa risposta: la libertà Noi
l’amiamo con tutto l’ardore dell’anima, pronti sempre a difenderla
risolutamente come un sacro diritto largitoci dal Salvatone per esercitare il Nostro ministero di
pace, e a rivendicarla, per sentimento di dovere, a pro’ di tutte le anime cristiane a
Noi affidate. Ma per Noi questa libertà è il poter pensare, parlare e operate
sciolti da ogni vincolo ingiusto, solo sottomessi al governo di Dio, rispettosi
alle leggi degli uomini. E quanto all’altra libertà, che sembra essere il
dispettoso diritto di molestare tutti gli altri per contentare se stessi,
respingiamo sdegnosamente il nome e la cosa: chi vuole e pretende la libertà
per sé solo, profana un nome sacro chiamandosi libero: egli è degno di essere
schiavo[31].
e)
“La famiglia seconda anima dell’umanità”
Dopo
“Dio stesso è l’autore della famiglia”
Dio stesso è l’autore della famiglia, e Gesù Cristo venuto sulla terra a riparare i danni che la catastrofe dell’Eden aveva accumulato sulla povera umanità, comincia l’opera sua rigeneratrice dal ricondurre la famiglia alla sua origine primitiva. Seguendo costantemente il piano divino di far precedere alla parola l’esempio, Esso, Uomo e Dio insieme, nasce nella famiglia, cresce nella famiglia, conduce i suoi giorni nella famiglia, e col primo miracolo che compie alle nozze di Cana per far palese la sua divinità, dimostra evidentemente che esordisce la grand’opera dell’umana Redenzione col santificare e rimettere in onore la famiglia, comunicandole la vita soprannaturale della sua grazia. Ma perché una tale comunicazione non avesse a venir meno giammai, a tutela appunto e a salvezza della famiglia, che fa Egli il divin Redentore? Ammiratene la sapienza e la bontà. A base dell’edificio domestico non si contenta di porre solo il mutuo consenso, il semplice contratto umano, ma vi colloca tutta la dignità e la virtù di un Sacramento, il Sacramento del Matrimonio. Ed ecco benedetta l’unione dei coniugi, santificato il loro amore, rassicurata la loro convivenza, alleggeriti i pesi, facilitati i doveri, stabiliti i vicendevoli rapporti, nobilitata ogni azione, spianata la via del Cielo.
Non basta: rassodata la base, il
divino Artefice mette mano a completare l’edificio. E poiché non è dato
all’umana paternità di trasmettere colla vita naturale quella eziandio della
grazia, Egli, nei tesori della sua bontà infinita, trova modo di immettere quel
fluido celeste nei membri tutti della famiglia pel canale misterioso degli
altri Sacramenti. Con essi infatti è santificata la culla, tutelata la puerizia,
corroborata la virilità, sostenuta la vec[33].
“La famiglia cristiana è un piccolo regno
fondato sull’amore”
La famiglia cristiana! Essa è un
piccolo regno fondato sull’amore, cresciuto per l’amore e governato dall’amore.
L’armonia perfetta de’ cuori, l’intreccio degli affetti più soavi, la più
intima unione degli animi è l’unica legge che ne moderi la vita. Siffatto
amore, santificato dalla grazia, purificato dalla virtù, nobilitato dalla fede
depone la fragile natura, si trasforma di terreno in celeste, e riempie il
consorzio domestico di quella pace, che è quaggiù, si può dire, un saggio
anticipato delle gioie del Paradiso. Oh, quanto è bello il Matrimonio fatto
coll’intervento di Dio, benedetto dalla Chiesa, infiorato dal sorriso della
Religione! In esso la grazia di Gesù Cristo, comunicata nel Sacramento,
penetra, identifica due vite, due cuori, due anime talmente da formare
quell’unità sacra e inalterabile che niuna forza della terra vale a
disciogliere, ne a rallentare. E chi potrebbe separare due cuori che si amano
nell’amore e coll’amore di Gesù Cristo? Forse il mondo colle sue seduzioni? no;
ché a questo santuario, tinto col sangue dell’Agnello divino e chiuso col
suggello della fede appié dell’altare[34].
Quanto è felice la paternità coronata
dalla Religione! Guardate quei due giovani sposi cristiani, sui quali è discesa
la benedizione preziosa della fecondità, e un fanciullo che, rigenerato dalla
grazia di Gesù Cristo, mediante il Battesimo, vagisce e sorride nella culla
sotto i loro sguardi. Quell’angioletto, dono del Cielo, è una felicità terrena,
[35].
“Genitori, educate”
Genitori quanti siete, educate. L’educazione dei figli sia il vostro primo studio, il vostro continuo pensiero. Il Signore non vi proibisce, purché sia onestamente, di accrescere il vostro patrimonio e di aggiungere nuovo splendore al vostro casato; non vi vieta, purché sieno leciti, di usare a vostro profitto dei beni del mondo. Vivete pure in mezzo alla società e attendete liberamente ai vostri affari; ma ricordatevi sempre, che il vostro primo principio è Dio, giacché foste creati da Lui; che il vostro ultimo fine è Dio, giacché foste creati per Lui; che non siete al mondo per far roba o danaro o per godere i piaceri della vita, ma per salvare l’anima; e l’anima voi non potrete salvarla, se non salverete, per quanto a voi spetta, quella de’ figli vostri. È sentenza comune de’ Santi Padri, che i genitori né si salvano soli, né si dannano soli. Dipende infatti da voi, o padri e madri, la buona o la cattiva riuscita dei figli. Voi, voi soli ne siete i responsabili.
Educate adunque, educate. Io
insisto su questo punto, o miei cari, perché d’importanza suprema. La [36].
“La vostra vita sia come un libro sempre
aperto”
La vostra vita sia quindi come un
libro sempre aperto in cui essi possano leggere senz’altro i loro doveri.
Parlate loro sovente di Dio, prendendo occasione da tutto quello che può
impressionarli. Procurate che il loro labbro infantile pronunci spesso con
rispetto e con fiducia il suo Nome santissimo. Mostrate ad essi in tutte le
cose l’impronta della bontà, della grandezza, della onnipotenza di Lui, e,
dall’armonia che insieme unisce le varie parti dell’universo, fate loro dedurre
l’obbligo imposto all’uomo di vivere in armonia col fine pel quale venne
creato. Insegnate loro per tempo le prime verità della fede e non lasciate mai
di condurli nei giorni festivi alla Dottrina cristiana, alla santa Messa, alle
funzioni di Chiesa. Leggete loro, ne’ dì festivi almeno, qualche pagina del
Catechismo e della vita dei Santi. Assuefateli al bacio devoto del
f)
“La domenica! quanto di sublime si contiene
in questa parola!”
La domenica è il giorno santo per eccellenza; santo in sé medesimo, santo nella sua istituzione, santo nel suo fine, santo nelle opere che prescrive, santo negli effetti che produce; ed è ugualmente salutare. E’ il giorno della vera libertà, della vera uguaglianza, della vera fraternità, il giorno del nostro riscatto, della nostra grandezza, delle nostre speranze, della nostra gloria, del nostro gaudio, preludio di un giorno beatissimo senza tramonto.
La domenica è sopratutto il giorno del Signore, il giorno delle sue meraviglie, delle sue benedizioni, de’ suoi trionfi. E’ nella domenica che egli, creando la luce, dava principio all’opera stupenda di questo universo. Nella domenica accese la stella che guidò i Magi, primizie dei gentili, alla cognizione del vero Dio; nella domenica Gesù Cristo ricevette nel Giordano il battesimo e iniziò la sua vita pubblica; nella domenica egli operò il primo de’ suoi miracoli; nella domenica fece il suo trionfale ingresso in Gerusalemme; nella domenica uscì glorioso dal sepolcro, dandoci il pegno sicuro della nostra immortalità; nella domenica conferì agli apostoli il mandato di predicare il Vangelo a tutte le genti e la potestà di rimettere i pec{8}cati; nella domenica mandò agli stessi apostoli il divin Paracleto e li trasformò in banditori e difensori magnanimi della sua dottrina; nella domenica infine stabilì indefettibilmente la sua Chiesa.
Gloria alla domenica! esclama il
Crisostomo. Questo giorno è il monumento da Dio stesso innalzato fra il cielo e
la terra a perenne testimonianza de’ suoi benefizi e della nostra duplice
alleanza con lui; monumento di sapienza infinita, su cui le umane generazioni
leggeranno compendiate a caratteri luminosi, fino al tramonto dei secoli, i
grandi avvenimenti della religione e dell’umanità, i prodigi della natura e
della grazia, i miracoli della potenza e dell’amore, il nome del Padre che ci
ha creati, il nome del figliuolo che ci ha redenti, il nome dello Spirito Santo
che ci ha santificati. La domenica è tre volte il giorno del Signore![38].
“Il giorno che Dio si è riservato nel tempo è
sacro”
Luogo separato da ogni altro luogo e destinato alla preghiera, ecco il tempio; giorno distinto dagli altri giorni e consacrato al divin culto, ecco la festa. Quello che è il tempio per rispetto al rimanente della città o del paese, lo è il giorno festivo per rispetto agli altri giorni della settimana. Il luogo scelto da Dio per sua dimora sulla terra è sacro e inviolabile, e per conseguenza chi lo contamina è sacrilego: il giorno che Dio si è riservato nel tempo è non meno sacro ed inviolabile, per conseguenza non meno sacrilego deve dirsi chi lo profana. Del tempio il Signore dice: è la casa mia, rispettatela: Pavete ad sanctuarium meum; e della festa dice del pari: è il giorno mio, santificatelo: Memento ut diem sabbati sactifices.
Dio certamente ha il diritto di
comandare che una parte almeno di quel tempo, che è suo dono, venga da noi
impiegato esclusivamente ad onor suo. Non è egli il nostro Creatore e Signore?
Non è il padrone assoluto del tempo e dello spazio?[39].
“I giorni dei Santi sono inviolabili come i
giorni di Dio”
La profanazione della festa è divenuta anche fra noi una delle piaghe più tristi e lagrimevoli, un vero scandalo.
Certo vi hanno ancora famiglie cristiane in gran numero, sia nella città, sia nelle diocesi, che, nonostante la tristizia dei tempi e gli sfor
zi dell’empietà offrono, nei giorni festivi specialmente, lo spettacolo di una pietà davvero edificante, e dobbiamo ringraziarne l’Autore d’ogni bene; ma troppo più sono quelli che del divino comando non si curano affatto, se pure non lo calpestano sfacciatamente.Giudicatelo voi, fratelli e figli carissimi. Non ci contristano forse la vista i negozi aperti e le merci esposte nella domenica, come negli altri giorni? Non ci ferisce tante volte l’orecchio il rumor delle macchine, il gemere dei carri, il risuonar dei martelli? Non è cosa che stringe il cuore vedere bene spesso ne’ dì festivi i poveri operai, e persino i fanciulli, condannati a lavorare senza tregua né posa, come il resto della settimana? Nelle nostre campagne altresì, colpa il più delle volte certi padroni (bisogna dire senza fede e senza pietà), non si conduce da taluni, anche nei giorni festivi, l’aratro? Non si fanno le semine? Non si raccolgon le messi? E tra que’ medesimi che in tali giorni sospendono ogni lavoro, deh, quanti che si danno alla pazza gioia! che si abbandonano a teatri, a balli, a giuochi a stravizi, e peggio! Che dicono qui la ragione, il cuore, la fede?
La ragione, il cuore, la fede
protestano altamente contro tanto disordine, e altamente ripetono a ciascuno di
noi la grande, la solenne parola: Memento
ut diem sabbati sanctifices; ricordati di santificare la festa[40].
“Lasciate all’operaio almeno un giorno per
attendere a se stesso”
L’industria! Il commercio! Sante e nobilissime cose, non v’ha dubbio, ed io faccio voti che abbiano ad estendersi e moltiplicarsi ogni dì più; ma non debbono mai e poi mai estendersi e moltiplicarsi a detrimento di cose ben più nobili e sante, quali sono la dignità e libertà umana. E che! Per moltiplicare i vostri godimenti, per aumentare a vostro profitto la produzione, vorreste fare dell’uomo uno schiavo, una bestia da soma? Barbari che siete! Ignorate forse che in quel corpo abbronzato dal sole, in quelle membra indurite dalla fatica, vive un’anima al pari della vostra immortale? Non sapete voi che, agli occhi della scienza e della fede cristiana, l’operaio è in tutto, fuor che nella condizione, eguale al più nobile dei principi, al più potente dei monarchi? Egli anzi, appunto perché operaio, riflette più al vivo l’immagine dell’Artefice eterno che die’ essere e forma alle cose, e del divino Artigiano di Nazaret il quale, col suo esempio, nobilitò la povertà e il lavoro.
Non lo uccidete dunque, il povero
operaio, non lo avvilite, nol degradate così! Rispettatene la dignità,
lasciategli almeno un giorno per attendere a sé stesso, lasciategli agio
d’istruirsi ne’ suoi doveri, di assidersi al focolare domestico, di prender
parte alle pubbliche solennità, di pregustare nel tempio le gioie dello spirito
[41].
“Nella domenica si aprono all’uomo le quattro
sorgenti della divina misericordia: la parola evangelica, la preghiera, il
sacrificio, i sacramenti”
Il precetto della festiva
osservanza è proprio, a preferenza degli altri precetti, giogo soave, peso leggiero; è, dirò con uno scrittore eminente, un
ritorno alle benedizioni dell’Eden, una sospensione della terribile legge del
lavoro penoso, una tutela del povero e
del debole contro le oppressioni del ricco e del potente, un grido di libertà
santa, un invito del Padre celeste che, raccogliendo intorno a sé la sparsa
famiglia, entra con tutti i suoi figli nelle più intime e affettuose
comunicazioni. In quel giorno si aprono all’uomo, ad ogni uomo, le quattro
sorgenti della divina misericordia: la parola evangelica, la preghiera, il
sacrifizio, i sacramenti. In quel giorno la terra s’innalza, il cielo si
abbassa, le creature tutte ci parlano con linguaggio di fede, di speranza, di
amore, e l’anima sente tutta la propria morale grandezza e gusta, anche in mezzo alle dure
prove della vita, gioie in paradiso[42].
“Un giorno in cui l’anima possa elevarsi
libera”
L’ignoranza in fatto di religione, quale si scorge pur troppo in tanti e tanti, specie della classe operaia, non è forse più spaventosa che la miseria? Oggi più che mai, è vero, si fanno sforzi lodevolissimi per istruire le masse popolari; ma quante volte, sotto la maschera dell’istruzione, s’insegnano e si diffondono massime che sono del popolo la rovina! Fu e sarà sempre gloria immortale della Chiesa l’essere stata in ogni tempo la grande maestra degli uomini. Senza dubbio la scienza non può essere che privilegio di pochi, ma le verità fondamentali della religione debbono essere patrimonio di tutti. Si possono, come dice benissimo un insigne prelato, ignorare gli ardui problemi dell’algebra, ma non i problemi della vita; si può ignorare la storia di tanti popoli, ma non la storia della nostra origine; si può ignorare se vi sieno abitatori nei pianeti, ma non già che noi dobbiam divenire abitatori del cielo. Ora a siffatta necessità di cognizioni provvede appunto la festa. In tale giorno su tutta la terra si aprono ai popoli i sacri templi
e da essi, come da una scuola universale, si diffonde a vantaggio di tutti la scienza più nobile e più sublime.Non basta. Qual’è, o dilettissimi, il nostro vero titolo di superiorità su tutte le cose che ne circondano? Egli è questo senza dubbio: che entro il fragile involucro del nostro corpo, destinato a soccombere, vi ha ciò che dà vita alla materia inerte, vi ha ciò che trascende lo spazio, che sfida il tempo e che trionfa della morte; Vi ha il pensiero che rispecchia in sé l’universo; vi ha il sentimento che abbraccia l’infinito; vi ha la volontà con la sua libera energia; vi ha l’anima, in una parola, l’anima fatta ad immagine di Dio, che di Dio ha sete continua e che a lui anela incessantemente, come il cervo anela alla fonte, come l’ago tende alla calamita, come l’onda precipita al mare.
Orbene; non dovrà esservi ogni
settimana un giorno in cui quest’anima, alleggerita dal peso delle cure
terrene, sottratta alle agitazioni della vita materiale, possa a Dio
avvicinarsi? Un giorno in cui possa elevarsi libera ai più puri orizzonti e
godere un po’ di pace?[43].
“La festa è il giorno della famiglia”
Giorno di Dio e giorno dell’uomo, la festa è altresì il giorno della famiglia.
Oh, la famiglia! Quanti dolci
pensieri, quanti gentili affetti suscita in noi questa cara parola! Si lamenta
da tutti, e con ragione, che lo spirito di famiglia vada di giorno in giorno
affievolendosi in mezzo all’odierna società; ma il lavoro della festa, divenuto
più frequente che per lo passato, non è forse una delle cause principali di sì
funesto disordine? E come i membri di una stessa famiglia non diverrebbero in
qualche modo stranieri gli uni agli altri, se non venisse la festa a riunirli
nell’intimità delle domestiche pareti? Negli altri giorni la famiglia è, più o
meno dispersa. Il padre sta occupato nell’esercizio della sua professione, la
madre nel governo della casa. E i figli? O sono a scuola o nella officina. Non
vi ha che la domenica in cui tutti possono ritrovarsi, rivedersi un po’ a
lungo, intrattenersi a loro agio, stringere i vincoli di un affetto reciproco e
godere insieme della felicità della vita domestica. Passare la festa in famiglia, questa frase così comune nel
linguaggio de’ nostri padri, compendiava per essi le gioie più pure, com’è
d’altra parte la espressione fedele del sentimento morale[44].
“Nella festa tutti si sentono padroni del
tempo, dei pensieri, degli affetti, della vita, dell’anima”
Osservate una popolazione cristiana in quel giorno. Tutti s’incontrano nel tempio. La gioia brilla su tutti i volti, la pace discende in tutti i cuori.
Libertà, uguaglianza, fraternità
non sono più per quel popolo vane parole, ma una realtà consolante. Il povero
come il ricco, il servo come il padrone, l’umile operaio come il grande
capitalista, l’infimo impiegato come il magistrato più distinto sono liberi di
sé. In quel giorno tutti senza eccezione sentonsi padroni del tempo, dei
pensieri, degli affetti, della vita, dell’anima loro. Tutti si trovano fra le
braccia della stessa Madre, innalzano al cielo la stessa preghiera,
s’inginocchiano col sentimento della stessa adorazione, ascoltano la stessa
parola di verità, professano la stessa fede, offrono lo stesso sacrificio, si
assidono alla stessa mistica mensa, sospirano alla stessa patria, e tutti, per
la comunanza dello stesso dovere compiuto, si sentono più intimamente figliuoli
del medesimo Padre che è nei cieli; e dal tempio esce un’aura di amore e di
pace che tutto vivifica e tutto ricrea[45].
“Assistere alla Messa nella propria
parrocchia”
L’opera che
“Apostolo del Catechismo” fu
definito Mons. Scalabrini da Pio IX. I suoi primi pensieri come parroco e come
vescovo furono rivolti all’istruzione religiosa della gioventù mediante il
catechismo, primo e naturale insegnamento, compendio della dottrina
cattolica, sorgente di vita cristiana. Al rifiorimento catechetico dedicò il
primo Congresso Nazionale nel 1889.
Il catechismo deve essere insegnato “dappertutto e sempre”, dal pulpito
e nella scuola, nella famiglia e nelle apposite Scuole della Dottrina
Cristiana. L’insegnamento deve essere graduale e ciclico, comprendendo tutto
l’arco formativo, dai bambini agli adulti. E insegnamento vitale, perché educa
nella fede, se i maestri e le maestre si modellano sul “primo catechista”,
Gesù Cristo, ricopiandone lo zelo e l’amore.
La catechesi è eminentemente cristologica: far conoscere e amare Gesù
Salvatore. La pedagogia catechetica è l’arte più difficile: deve essere
studiata, esperimentata e perfezionata secondo la metodologia più adatta al
catechizzando, che deve essere impegnato nell’intelligenza, nella volontà, nel
cuore, nei sensi. La catechesi è l’apostolato più efficace, perché mira a
formare Cristo nei fedeli.
La scarsa cultura popolare del tempo induce lo Scalabrini a pronunziarsi
per un catechismo unico: “un codice della fede uguale per tutti” i cattolici e
per tutti i paesi, di modo che la mobilità geografica non pregiudichi nel
popolo la sicurezza della regola della fede e della morale.
“Apostolo del Catechismo”
A me piange il cuore in vedere che tanti
giovani studenti si perdono, mentre tanto facilmente noi potremmo salvarli!...
Siano per essi, o fratelli, le nostre cure più sollecite e affettuose. Salviamola; oh salviamola cotesta
povera gioventù studiosa, e tutto avremo salvato con essa!... Non è solo per
l’affetto grande che io le porto, che ardisco qui di nuovo innanzi a voi questo
grido, ma anche per sdebitarmi, dirò così, di una promessa che già feci a Pio
IX di s.m. — Continui, mi disse un giorno con quel suo fare tutto paterno, continui,
Monsignore, ad essere l’Apostolo del Catechismo — e in così dire, forse perché non avessi a dimenticare la
raccomandazione, mi regalava, alla presenza di parecchi Vescovi, questa croce... Confuso a
un tratto di degnazione tanto improvviso quanto immeritato, non so che
rispondessi. Questo però ricordo benissimo, che presi impegno di tradurre in
atto, meglio che per me si potesse, quelle parole ed anche di ripeterle in
ogni opportuna circostanza ai miei Confratelli di Ministero. Adunque, parroci
e sacerdoti quanti qui siamo, armiamoci di zelo fonte, illuminato, costante;
facciamoci gli Apostoli del Catechismo[47].
Distanti, più che non sia il
Cielo dalla terra, dallo zelo di un S. Carlo Borromeo, di un S. Francesco di
Sales, di un B. Paolo Burali, Nostro glorioso antecessore, da un V. Bellarmino e
di altri insigni Pastori viventi, Ci sentiamo ardere però da vivissimo
desiderio di seguirne, almeno da lontano, le orme in quest’Opera salutare del
Catechismo, né mai e poi mai cesseremo di pregare, di affaticarci, di instare
opportunamente ed importunamente, con ogni pazienza, fino a che non Ci riesca
vederla perfettamente compita e possa
“I nostri primi pensieri furono rivolti alla
gioventù”
Appena che fummo dal Supremo Gerarca destinati al regime di questa nobile ed insigne Diocesi, i nostri primi pensieri furono rivolti alla gioventù, e parlando con voi, V. F., vi esortammo a tener fronte al danno incalcolabile prodotto dai libri e dai giornali cattivi, che come diluvio irrompe ad invadere la terra, onde schiantare od impedire lo sviluppo del sentimento cattolico; Vi scongiurammo in nome di Dio a vegliare attentamente l’istruzione religiosa dei fanciulli, ad abbassarvi insino a loro, a non perderli mai di vista, a dividere insieme ai loro genitori le premure di indirizzarli alla pietà, di ammaestrarli in tutti i punti della Dottrina Cristiana, a rassodarli nella fede cattolica.
Le nostre parole che alludevano
all’insegnamento del Catechismo erano da voi accolte con plauso, o V. F., e Noi
siamo lieti di rendere questa pubblica testimonianza al vostro zelo, sperando
che i voti ardenti del Nostro cuore intorno al Catechismo saranno coronati[49].
“Il Catechismo è il più naturale e il primo
insegnamento”
L’anima, sebben giovanetta, quando sia bene istrutta nel Catechismo, sente in se stessa il suo Dio, vi si slancia con ardore, lo ama, lo adora attraverso le bellezze, che adornano l’universo. Chi ha fatto qualche esperienza in proposito non abbisogna di parole per esserne convinto. Parlate di Dio ad un fanciullo in quel modo che si conviene alla sua età e capacità, ed egli vi mostrerà che voi non gli parlate di un Essere estraneo alla sua natura. Nel fondo dell’animo di lui l’Essere Supremo ha fatto sentire la sua esistenza sino dai primordii della vita, e pel Catechismo sviluppandosi nel fanciullo questo germe prezioso gradatamente secondo l’età, gli fa brillare alla mente la parte più bella e sublime di sua vita.
L’idea di Dio apparisce fin dai primi albori dell’umana ragione, e le stolide teoriche delle scuole senza Catechismo, sono confutate tuttodì dalle madri, che parlano ai loro pargoletti del Padre celeste, a Cui alzano le loro preghiere; e questi colle mani giunte, cogli occhi volti al Cielo, colla voce commossa ripetono le sacre parole che pronunzia la madre e il loro cuore intenerito si armonizza ai battiti di quello che li inspira. L’idea vaga, la simpatia di quell’Essere misterioso e benefico che, quantunque invisibile, è pur sempre presente ed accoglie i voti dei miseri mortali, basta per commoverli profondamente fin dall’età nella quale comincia a snodarsi la loro lingua.
Educate religiosamente un giovanetto e lo vedrete tenerello ancora proferire con rispetto il nome di Dio, e, senza che pur se ne avvegga, prenderà le massime della fede come prima legge della sua mente, del suo spirito che comincia a sentire se stesso. Ascoltando con meraviglia i miracoli della creazione, gl’immensi beneficii della redenzione, conoscerà con allegrezza purissima il vincolo, che unisce la terra al cielo, l’uomo a Dio. Sentirà svegliarsi nell’anima l’affetto, la riconoscenza verso il Creatore, pregherà con amore e con fede; e tutto ciò eserciterà un’influenza grande sopra il suo avvenire, il suo spirito, la sua coscienza, il suo carattere, e forse sopra i destini di tutta intera la vita.
L’istruzione religiosa facendo rifiorire nei giovanetti le prime e più elette virtù, la fede, l’obbedienza, la pietà, la modestia, l’angelico pudore, che rifugge da ogni idea meno casta, che insegna a schivare quanto vorrebbe inchinare l’animo a cose indegne, lo cresce a sostegno e a decoro della Chiesa, ad ornamento e ad onore della patria e della famiglia.
Mentre adunque si è destato nella
società un vero entusiasmo per dare ai bambini, e ciò sta bene, la più perfetta
educazione fisica e morale, perché non si vorrà intendere la necessità ben più
urgente di insegnar loro assai per tempo quei rudimenti di fede, che sono il
principio della grande opera della cristiana educazione, il fondamento e la
base di tutta la vita? Non v’ha dubbio: l’insegnamento del Catechismo, deve
essere la prima istruzione da impartirsi ai fanciulli[50].
“Il Catechismo è il compendio di tutti i
dogmi e di tutta la morale della Chiesa Cattolica”
Il Catechismo cattolico preso nel suo significato generale altro non è che un breve compendio di tutti i dogmi, di tutte le dottrine, di tutta la morale della Chiesa cattolica; compendio mirabile che soddisfa a tutte le aspirazioni delle umane facoltà, a tutti i bisogni dell’anima, alla quale dilucida e spiega le più ardue e grandi questioni che la interessano.
Il Catechismo è quindi il codice, che dirige la coscienza, che fa conoscere Dio, gli alti destini dell’uomo, i sacri doveri che lo stringono al Creatore, al prossimo, a se stesso. È una compendiata, ma completa esposizione della fede, e tutte le sue parole furono talmente ponderate, che disse ottimamente, chi lo definì: la più pura sostanza dei dogmi e della morale del Cristianesimo. È una Teologia elementare, ma profonda, accomodata all’intelligenza di tutti, positivissima, perché ciascuna delle sue formole racchiude una precisa verità, espressa, scolpita con parole esatte ed evidenti.
Il Catechismo, così Monsig. Rendù
Vescovo di Annecy, è un corso di altissima filosofia compiuta, che non lascia
senza risposta veruna delle quistioni che toccano l’umanità; veramente
universale e popolare, che dà le sue soluzioni in modo da essere intese anche
dai più volgari, e che nelle nostre borgate forma ogni di assai più sapienti
che non ne abbia mai posseduto
Il Catechismo contiene una
scienza tutta divina, che ha per maestro Dio, innanzi al Quale i più grandi
ingegni del mondo, che menarono tanto grido e furono tenuti in conto di
oracoli, non sono che un nulla e tutti gli splendori della loro sapienza che
ombre e nulla più. Questa scienza infatti, sollevando l’uomo al dissopra di
ogni creata cosa, lo trasporta sino al trono dell’Eterno Padre e gli svela la
generazione del divin Verbo e la processione dello Spirito Santo; gli scopre in
quell’oceano di grandezze perfezioni infinite e una infinità di infinite
perfezioni e misericordie ineffabili e misteri meravigliosi quale
l’Incarnazione,
Il Catechismo quindi, che si
fonda tutto intero sulla parola rivelata da Dio alla sua Chiesa e che in germe
tutto si contiene in quell’ordine del divin Maestro agli Apostoli: andate e
ammaestrate tutte le genti, è un libro che supplisce a tutti i libri, a
tutta la umana sapienza; è il libro dei piccoli non meno che dei grandi, degli
idioti, non meno che dei dotti, il solo libro che conta in tutte le classi
milioni di credenti, pronti a difenderlo anche a costo del sangue, perché
contenendo tutta la dottrina evangelica, propriamente parlando, riconosce per
suo primo autore la stessa Incarnata Sapienza. Non vi ha adunque, dopo la santa
Scrittura, libro più nobile, né che possa e debba interessare sì vivamente la
società quanto il Catechismo cattolico[51].
“Vera sorgente della vita cristiana”
Dirvi, o Confratelli, i sentimenti ond’è
compreso l’animo mio in questo momento, non m’è possibile. Le eloquenti parole che
risuonarono fra queste pareti fin dal principio, le tante belle e confortevoli
cose qui udite, le tanto utili propoSte discusse, le tanto care ed opportune
considerazioni pur ora applaudite e che furono degno suggello ai nostri lavori,
hanno dato pienamente a conoscere quanto sia grande l’amore che arde nei vostri
cuori verso Colui che ha detto — altro non voglio — ignem veni mittere in terram et quid volo
nisi ut accendatur? A Lui pertanto, a Lui solo l’onore e la gloria, a
Lui oggi l’inno della lode e del ringraziamento.
Sì, ringraziamolo che ci abbia qui non invano
raccolti. Il frutto del primo Congresso Catechistico si può dire in parte
già ottenuto. Non poterono infatti i nostri popoli rimanere indifferenti
all’opera nostra.
Gran cosa, s’è udito esclamare testé, gran cosa
convien dire che sia cotesto Catechismo se, unicamente per fare che venga meglio
conosciuto, si sono qui radunati tanti insigni personaggi; se un Principe della
Chiesa e dei più illuminati, se tanti Presuli illustri, se tanti zelanti
pastori di anime, se tanti dotti scrittori venuti da ogni parte d’Italia, e non senza
sacrifizi e disagi, d’altro non si occuparono in questi giorni che di ravvivarne lo
studio e la pratica! Gran cosa per cento dev’essere!... E tale riflessione fatta qui, e
sicuramente in tutti i paesi donde veniste, credete voi, Ven. Confratelli, non
abbia fatto del bene? Credete voi non sia germe di buoni e santi propositi per
l’avvenire? Ma noi tutti sappiamo che neque qui plantat est aliud, neque qui
rigat, sed qui incrementum dat, Deus. A lui nuove azioni di grazie[53].
“Promovete l’istruzione religiosa con ardore
di carità”
Promovete, ve lo raccomandiamo
caldissimamente, l’istruzione religiosa, curandone il regolare andamento con
ardore di carità nelle Scuole del
Catechismo. Deh! o Venerabili Parrochi [54].
b)
“Istruzione religiosa, o, in altri termini,
CatechismoLa
Istruzione adunque, V. F. e F. C., istruzione religiosa; o, in altri termini: Catechismo! essendo appunto il Catechismo il fondamento di siffatta istruzione.
Potessimo di questo libro farvi apprezzare come
si conviene tutta la grandezza e l’importanza, tutta la efficacia!Il Catechismo è il perno della
vita cristiana. Esso, per usare le belle espressioni di uno dei più dotti
scrittori moderni, è il libro dei libri; e, ancorché abbia apparenza di
libriccino assai umile, pure, se si eccettui
Il Catechismo! Esaminatelo anche
per poco, ma attentamente, e vedrete, diremo con altri, come questo libro
ammirabile, questo codice di popolare sap[55].
“Catechizzate dappertutto e sempre”
La prima Comunione,
Soprattutto però importa che
vinciate un grave pregiudizio, invalso tra molti, che cioè il Catechismo
s’abbia da insegnare soltanto ai fanciulli, quasi che
Ma vi hanno anime che richieggono
in modo particolare le vostre cure più sollecite e affettuose e sono, come vi
dicemmo altre volte, i sordomuti e le sordomute, che si trovassero per avventura
nelle vostre Parrocchie. Deh, che anch’essi per opera vostra giungano ben
presto al conoscimento delle verità e possano assidersi rigenerati a questo
festino dello spirito![56].
“Educhiamo, educhiamo!”
Educhiamo, educhiamo! Colla
cristiana educazione noi possiamo tutto; senza di essa tutto il resto che
giova? Se le arti, se le amene lettere, se le umane discipline si vogliono
veder rifiorire, conviene che torni a ravvivarle la fede. Se si vuole il vero
progresso della scienza, conviene che il seme delle celesti dottrine sia sparso
a larga mano nel campo del Signore e che fino dai più teneri anni s’infondano
nell’animo dei giovani gli insegnamenti della Chiesa cattolica. Quanto più i
nemici della Religione si adoprano a spargere dottrine, che offuscano la mente
e corrompono il cuore, tanto maggiore dev’essere [57].
“Ritorni il catechismo nelle scuole
e con esso vi ritorni Dio”
Mi sia permesso parlare con quella libertà che nessuno può contendere ad
un Vescovo. Mi sia permesso di fare un voto, anzi di rivolgere a tutti nel nome
di Dio, per la salvezza delle anime, pel bene della stessa società civile, una
preghiera, che mi sgorga dal fondo del cuore in questo momento. Ritorni,
ritorni
“Perfezionare le facoltà
dell’uomo armoniosamente”
L’istruzione, anche del solo intelletto, e l’alfabeto che ne è il primo
gradino, è un bene, un bene da diffondere quanto e più di altri, come sarebbero
per esempio, la salubrità dei luoghi e l’igiene del corpo umano. È uno
svolgimento della natura umana, anzi uno dei più nobili svolgimenti, e chi lo
avversa è reo di lesa umanità. Ma come tutto ha una misura, e tutto ha un
fine, questa istruzione si proporziona non solo alle varie classi degli
uomini, ma deve armonizzarsi con tutte le perfezioni, di cui è ciascuno capace.
Il perfezionare le facoltà dell’uomo armoniosamente si dice educare, e l’educazione
abbraccia il corpo e lo spirito, il cuore, gli affetti, la fantasia, la volontà
insieme con l’intelletto (...).
Ogni volta, che non si cerca di religiosamente educare nel fanciullo la
natura e la dignità umana; ogni volta che si trascura di formare in lui l’uomo
come Dio lo concepì, l’uomo come Dio lo ha creato, l’uomo come Dio vuole che si
formi e si compia; ogni volta che non si adempiono queste cose, si tradisce, si
viola il rispetto che e dovuto al fanciullo ed alla sua grandezza originale. Infatti l’uomo, nato essenzialmente
imitatore e libero di sé, ove non sappia quelle grandi verità, che trovano si
facile credenza in un cuor retto, che è, secondo
la bella espressione di Tertulliano, naturalmente cristiano, ne sia formato
all’esempio di virtù e di religiosi esercizi, crescerà deforme, qual pianticella
selvaggia, e apportatrice di tristissimi frutti, né a sì grave male si potrà facilmente recare opportuno rimedio. Il
comporre infatti a virtù ed al bene l’animo ancor tenero, è facile cosa, ma
estirpare i vizii cresciuti cogli anni è difficilissima[59].
“Si sveglino i genitori”
Ma perché tutte le diligenze e industrie dei Parroci e del Ven. Nostro
Clero e di tutti i ven e fervidi Operai della Dottrina Cristiana, troppo
scarso frutto daranno sempre, finché non si sveglino i genitori ad intendere ed
esercitare il loro debito sacrosanto verso i figliuoli, perciò a loro rivolti,
all’orecchio loro intimiamo con
quanto abbiamo di forze, che si riscuotano e si rammentino
Non siate quindi, o padri e madri, ve ne scongiuriamo per le viscere di
Gesù Cristo, non siate di quegli sgraziati genitori più solleciti di educare i
proprii figli pei comodi e vantaggi temporali, e di far loro apprendere cose
vane e fors’anche pericolose, di quello che si diano pensiero del loro vero
bene spirituale ed eterno, più solleciti di formarli allo spirito, alle
massime, agli usi tutti del mondo, che ai sentimenti di religione, di pietà e
di fede[60].
I nuovi bisogni dei popoli esigono nuove cure e sollecitudini senza fine per trasfondere lo spirito cristiano nei fanciulli, fortificarne nel bene la volontà, illuminarne e volgere a rettitudine la coscienza, nobilitarne i sentimenti, formare, secondo la mirabile espressione dell’Apostolo, Gesù Cristo, nelle anime loro, sublimandole fino a Dio. I giovanetti sono gli uomini dell’avvenire, entro pochi anni essi saranno i padri, le madri, gli operai, i ricchi, i mercanti, i magistrati delle Parrocchie e dell’intera Diocesi; guadagnarli a Dio, ecco la via più breve e più sicura per riformar tutto. In tempo di pace generale e di fede, Parroci buoni, regolari, di una comune virtù possono bastare, ma ora che il grido dell’empietà, non più si ode da lungi, ma ci incalza e mena strage, ora che il furioso uragano freme e scoppia e a guisa di traripante fiumana nel suo impeto minaccia travolgere e seco trascinare tutte cose, è necessario che l’apostolato per l’istruzione religiosa dell’infanzia, eccitata in altri tempi da Dio, rinasca in tutta la sua ampiezza, e che lo zelo sia pari almeno alla malvagità dei tempi.
Ma tutte le diligenze e le cure
del Clero cadrebbero in gran parte a vuoto se voi non vi svegliaste, o
genitori, ad intendere ed esercitare i vostri doveri verso dei figli, divenuti
in tempi sì tristi [61].
“Voi padri e madri, avete
l’officio e l’obbligo di partecipare l’insegnamento della Chiesa ai vostri
figli”
A voi poi, o Madri, in modo particolare ram
menteremo che dovete la prima istruzione religiosa ai vostri figli, i quali, sempre con voi, ascoltano la vostra voce, vi credono, vi obbediscono a preferenza di qualunque altro, a voi che nella qualità esclusiva che adorna la maternità, avete delle risorse che vi rendono atte più che altri a questo nobilissimo dovere. Quella premura pertanto, che voi avete perché non manchi ai vostri figli l’alimento corporale, dovete usarla pel sostentamento della loro vita spirituale mediante la prima istruzione catechistica. Quelle grandi verità apprese dal materno labbro non si cancelleranno sì facilmente dalla mente e dal cuore dei vostri figli, e voi, o Madri cristiane, adempiendo a questa parte gloriosa dell’apostolato cattolico affidatovi, avrete ben meritato delle anime e della Chiesa. Scolpite però bene in mente, o genitori, che i fanciulli vivono di imitazione e che l’esempio vostro, più che le parole, valgono a loro vantaggio ed incoraggiamento.Non vi accontentate adunque di
mandare i vostri figli alla Dottrina Cristiana, ma conduceteli voi per tempo,
siate frequenti voi stessi onde abilitarvi ad istruirli. Sebbene vi trovaste
per ventura anche in possesso di tutta la scienza della Fede, pensate che le verità
della Religione quanto più si ascoltano e si meditano, tanto più in esse si
scuopre di lume celeste che rischiara e diletta le anime, e che d’altra parte
c) LE SCUOLE E I MAESTRI DELLA DOTTRINA CRISTIANA
“Erigiamo in tutta
Noi conosciamo, V. F., le gravi difficoltà, le molte fatiche a tal uopo necessarie; ma nulla è impossibile alla carità ed allo zelo: essi sono i grandi inspiratori e maestri di ogni bene. Vi sono Parroci, e Noi ben lo sappiamo, che collocati anche in difficilissime posizioni, colla carità appunto e collo zelo hanno saputo fare quanto vi abbiam detto, anzi alcuni assai più, istituendo feste ed esami e premii pel Catechismo, chiamando a brevi spirituali esercizii i giovanetti della Prima Comunione, a cui danno meritamente una suprema importanza, istruendo per
lungo tempo i Maestri e le Maestre, valendosi di tutto e di tutti per promuovere quest’Opera del Signore.Sì, o V. F., colla carità e collo
zelo si operano grandi cose, vi diremo con S. Agostino, senza molta fatica,
poiché lo zelo è fecondo, inventivo, paziente infaticabile, la carità non teme
le fatiche, anzi le ama e ne è beata: «
Ubi amatur non laboratur, aut si laboratur, labor amatur; » colla carità e
collo zelo si pensa a tutto, tutto si tenta e si continua, succedono industrie
ad industrie, alle quali è sostegno e sprone l’infallibile promessa di Dio:
Coloro che ammaestreranno molti nella giustizia, scintilleranno quasi stelle
nella interminabile eternità. (Dan.12)
Noi quindi richiamiamo in pieno
vigore
In ogni Parrocchia si formeranno quattro Classi:
1. Alla prima Scuola si ascriveranno i più piccoli fanciulletti che devono apprendere le principali verità della fede, e nelle Parrocchie popolose, questa Classe potrà essere suddivisa secondo il numero dei Maestri che si hanno e dei giovinetti che vi intervengono.
L’istruire a parte quelli che si preparano per la prima Confessione, è cosa ottima, giacché sull’animo dei fanciulli fa sempre grande e salutare impressione l’essere separati dagli altri per uno scopo religioso e santo.
2. Alla
Scuola della Prima Comunione saranno ascritti i fanciulli e le fanciulle che
entro l’anno devono ammettersi alla mensa Eucaristica. Quanto all’età, seguendo
Un anno intero, ed anche due pei meno capaci, di speciale istruzione e di ansiosa aspettazione, non è soverchio, anzi necessario e di sommo vantaggio.
3. La terza Scuola servirà per quelli e per quelle che vennero di già ammessi alla Prima Comunione. In questa Scuola, che potrà essere suddivisa in varie Classi secondo il bisogno, è uopo completare l’insegnamento religioso con una esposizione chiara, nobile, dignitosa, sempre facile e piana; con istruzione soda, ben preparata, che convinca, sviluppi e fortifichi la fede, che formi di ogni giovinetto un cristiano di retti giudizii, franco, che trovi nella sua fede non impressioni passaggiere, ma profonde di virtù, di sante abitudini, che sappia resistere ai venti furiosi che flagelleranno la sua credenza, ai marosi che le ruggiranno intorno.
Alla quarta Classe apparterranno infine
gli adulti. E’ questa
“Chi non arde di questo fuoco
celeste non può dirsi veramente cristiano”
Chi ha fede, chi vive di fede, non solo ama Dio, ma sentesi spinto a
farlo amare anche dagli altri, ché l’amore non si adatta mai all’indifferenza.
Di qui quella febbre dei santi di tutto sacrificansi per la salvezza delle
anime. Di qui quei prodigi di carità e di zelo che leggiamo nelle loro storie
e che formano l’ammirazione dei secoli. Lo zelo della gloria di Dio li
consumava, ne li lasciava mai riposare un istante. Chi non arde di questo fuoco
celeste, no, non può dirsi veramente cristiano, veramente cattolico. Vero
cristiano e cattolico è colui che non dice solo cole labbra ogni giorno:
Signore, venga il tuo regno; ma che studia tutti i modi, adopera tutti i mezzi,
impiega tutte le sue forze, perché questo regno sempre più si dilati e si renda
stabile sulla terra. Vero cristiano e cattolico è colui che ha fame e sete
della giustizia, che cerca di farla e conoscere ed amare dagli altri, col
promuovere specialmente l’istruzione religiosa e coll’applicarvisi egli stesso[65].
“Gesù Cristo l’eterno modello”
L’amore ineffabile e le
tenerissime sollecitudini di Gesù Cristo verso i fanciulli sono la gloria e l’eterna
benedizione dell’infanzia cristiana, sicché il Maestro del Catechismo non può
né deve avere altro esemplare diverso da Colui, che ha catechizzato tutta la
terra. I più grandi Maestri del Catechismo, i più perfetti, non furono tali, se
non perché ricopiarono in se stessi, e più degli altri, l’immagine di questo
divino modello (...).
Accendete in voi
adunque, o Maestri del Catechismo, il sacro fuoco d’amore che ardeva nel cuore
di Gesù per la fanciullezza, e siate persuasi che non sarete mai degni del
vostro ministero, se non amerete Gesù Cristo e in Gesù Cristo quelle giovani
pecorelle del suo mistico gregge (...).
Ma Gesù Cristo deve essere adorato non solo come modello del modo, col
quale devonsi trattare i giovinetti, ma anche
del modo di istruirli. Il metodo adoperato da Gesù Cristo nell’insegnare è
divino, e quindi il più conveniente ai fanciulli.
Dalle pagine immortali del Vangelo appare che Gesù Cristo istruiva con
tutta l’autorità, ma nello stesso tempo cola massima semplicità. Egli si vale
di esempi, di brani di storia, propone parabole, similitudini. Gesù interroga,
si lascia interrogane, dà schiarimenti, brevissime risposte. Nel tempio, sulle
rive del Giordano, sopra una barca, seduto in cima al monte inculca con
famigliari istruzioni le più profonde verità dogmatiche e morali, interrompe
sovente i suoi sermoni, e chiede soavemente: avete capito quanto vi spiego? Intellexistis haec omnia? Ora comincia
con una interrogazione, e per imprimere più vivamente nello spirito la verità
impegna dialoghi animati cogli uditori (...).
Il Vangelo si può dire il libro del Catechismo di Gesù Cristo Nostro
Signore, ed ogni istruzione è divinamente larga, soda, magnifica,
semplicissima; essa riempie di luce celeste, scuote, commuove, trascina con
tutta la pienezza della verità, dell’autorità; essa sarà eterno ed adorabile
modello dell’insegnamento cristiano, come Gesù Cristo e l’eterno ed adorabile
modello della carità e della santa tenerezza, che il Maestro del Catechismo
deve professare per l’infanzia[66].
“La scuola del Catechismo non
si limita ad insegnare, ma educa nella fede”
La scuola del Catechismo non si
limita ad insegnare ai fanciulli le verità della fede, ma educa i fanciulli
stessi nella fede; non insegna soltanto il Cristianesimo ai fanciulli, ma educa
i fanciulli nel Cristianesimo. Non bisogna solo istruire, ma educare; non
coltivare e sviluppare solo la mente, ma il cuore. Il Catechista, appellato da
S. Paolo non tanto pedagogo ma padre, deve allevare per Dio, per
. Non si tratta già solo di far apprendere ai
fanciulletti le principali verità della fede, ma di formare e di sviluppare in
essi la coscienza ed il sentimento cristiano; si tratta di prepararli alle
grandi pratiche religiose, a ricevere i Sacramenti della Penitenza e della
Cresima; si tratta di avvezzarli a parlare il linguaggio della fede, a temere,
a sperare in Dio[68].
Non basta pertanto l’istruire, è
mestieri che questo Catechismo di perseveranza dia una vera e forte educazione
cristiana, che sia non solo una buona scuola di religioso insegnamento, ma
bensì una grande istituzione religiosa; che non solo insegni ed inculchi i
principii della fede, ma li insinui nel cuore, li faccia entrare nelle
quotidiane abitudini della vita[69].
“Adoperino i Maestri lo zelo
particolarmente”
S. Bernardo vuole che lo zelo verace sia infiammato dalla carità, informato dalla scienza, reso invincibile dalla costanza, circospetto nella scelta dei mezzi, fervido ed invitto nel ridurli alla pratica attuazione. Quando il Maestro è fornito di tale zelo, egli non si attiene ad alcuna condotta particolare. Egli è calmo, rigoroso, pieghevole, coraggioso, facile, purché salvi le anime. Tale zelo tutto insegna per crescere alla vera pietà le anime dei fanciulli e distoglierli dalle gioie menzognere e strepitose del mondo.
Adoperino i Maestri lo zelo
particolarmente, così S. Carlo, in cercare di mantenere e di accrescere ogni
giorno un’opera di tanta importanza, il che faranno, se con diligenza e
prontezza procurerà ciascuno di far bene l’ufficio suo, non risparmiando a
fatica veruna, che vedrà esser per quella necessaria[70].
“Unire all’insegnamento una
soda pietà”
Ma, perché l’insegnamento del
Catechismo produca frutti ubertosi, è uopo che sia impartito con singolare
pietà, giacché non a chi pianta, né chi irriga, ma è Dio che dà il necessario
incremento. La grazia, è vero, non distrugge, ma perfeziona la natura, non
esclude, ma suppone le umane industrie, a quel modo istesso che la forma
suppone la materia; nondimeno è sempre la grazia divina che irrora e feconda le
fatiche del Catechista, il quale perciò deve unire all’insegnamento una soda
pietà, affine di chiamare sopra di sé de’ suoi alunni le più elette benedizioni
celesti[71].
Pregate adunque, o Maestri del Catechismo, e Colui, che è ricco in
misericordia, vi esaudirà al di là dei vostri voti; pregate con pietà: è questa la vita dei santi, la vita
nascosta con Gesù Cristo in Dio; colla pietà e colla preghiera diventerete
ancor voi colonne della casa di Dio, delizia della Chiesa, salvezza dei
fanciulli, che troveranno in voi il più forte sostegno, la luce più viva[72].
“Capiscano i vostri allievi che
voi li amate”
Conoscano i vostri piccoli allievi che voi li amate; che se vi
affaticate, vi affaticate unicamente pel loro bene, e allora essi riceveranno
volentieri anche i vostri ammonimenti e volentieri vi ascolteranno.
Persuadetevi: i fanciulli han bisogno, più che altro, della tenerezza, ma
della tenerezza della pietà. Lungi pertanto da voi quel fare aspro e severo,
quel tono di voce imperioso che tanto li disgusta[73].
Sia compagna al Maestro del Catechismo una grande dolcezza di modi che
non pieghi e non degeneri in mollezza, che si converta talvolta in una prudente
severità, ma non giunga a durezza. La è tal via di mezzo difficile a
conseguirsi, ma pure la si può raggiungere, quando si pensa agli immensi vantaggi,
dei quali è nobile sorgente[74].
I Maestri devono sempre aver presente che l’indulgenza coi fanciulli e
sempre più giusta del soverchio rigore, che non devono pretendere troppo, che
vi ê una sobria perfezione, difficilissima ad aversi, ma senza la quale tutte
le regole, anche le più sagge, valgono a poco, che infine la natura del fanciullo,
più cattivo in superficie che in fondo al cuore, bisogna indirizzarla,
aiutarla, non mai violentarla, tendendo con forza al fine, ma disponendo ogni
cosa con soavità[75].
Estenderanno la loro carità anche fuori della scuola, sorvegliando la
condotta dei loro discepoli, memori che sono anime le quali costano il sangue
di Gesù Cristo e che con poca fatica possono formare alla vita cristiana, con immenso
vantaggio delle famiglie, preparando a se stessi una corona di gloria.
Avviseranno i genitori sul contegno, profitto, e intorno alle mancanze dei
loro discepoli, mostrando a ogni occasione zelo prudente e caritatevole
interesse per la buona riuscita dei giovanetti[76].
È più facile, si suol dire, formare un oratore valente che un buon
Catechista, e perciò non incresca al parroco o a chi ne fa le veci, di
chiamarsi intorno i maestri del Catechismo, e leggere egli stesso qualche
lezione, spiegando il significato di ciascuna parola (...). Ne deve
accontentarsi di far ciò qualche volta, ma deve continuare per mesi e anni sino
a che il metodo d’insegnamento sia penetrato e ben conosciuto[77].
“Reputo
Fare il Catechismo ai fanciulli si piglia ordinariamente per la cosa più
facile del mondo: tutt’altro! Certo far ripetere pappagallescamente la dottrina
del Catechismo la è cosa facilissima, ma la scienza e l’arte del catechizzare!
ma la dottrina del Catechismo farla intendere ai fanciulli, sminuzzarla,
adattarla a quelle piccole menti, renderla insomma latte ai pargoli! hoc opus hic Iabon. Si richiede per
riuscirvi studio, diligenza, fatica e un buon corredo di cognizioni. Io per me
reputo
Che voglio dedurne da tutto
questo? Quello che fu accennato ieri mattina dal mio Ven.mo Confratello di
Ventimiglia, che cioè a mettere in favore l’insegnamento del Catechismo e
assicurare quei frutti più abbondanti che richieggono i presenti bisogni del
popolo cristiano, è indispensabile una scuola di buoni catechisti (...).
Vi sono scuole destinate a formare i maestri e le maestre elementari; e
perché non potrà, anzi non dovrà esservene una destinata ad allevare e formare
i maestri della più sublime delle scienze, come della più difficile delle
arti, qual e questa di insegnare il Catechismo?
Ed è appunto sulla istituzione di una scuola di Catechetica, che verte
la mia prima proposta[78].
“Una grande Associazione di
Catechisti”
Tra le vane proposte, una io intendo di fame, che non sarebbe altro
fuorché l’attuazione del pensiero tanto sapientemente e opportunamente esposto
da Vostra Santità nella memoranda Enciclica “Humanum Genus” e che purtroppo finora fu lasciato lettera morta.
L’attuazione cioè di una grande Associazione in Italia di Catechisti, la quale
avesse per iscopo di caldeggiare l’istruzione religiosa nelle parrocchie,
nelle famiglie, nelle scuole, che si adoperasse per raccogliere offerte, per
istituire le feste del Catechismo, della Prima Comunione, per distribuire
premi, in una parola, per contrapporre un argine alla massoneria imperante
(...). Senza dubbio questa Associazione prenderebbe subito grande slancio,
qualora nell’imminente Congresso io potessi annunziare che Voi, Beatissimo
Padre, ne avete non solo benedetta l’idea, ma incoraggiata efficacemente
l’attuazione. Oh, se potessi chiudere il Congresso con questa semplice
notizia: il nostro grande e generoso Pontefice Leone XIII offre, come base di
questa Associazione, la somma di centomila lire![79].
d)
“La cognizione e l’amore di
Gesù Salvatore deve occupare il primo posto”
La cognizione e l’amore di Gesù Salvatore deve occupare assolutamente il
primo posto nello spirito del cristiano, perciò bisogna trasfondergliene una
grande idea sino dalla prima età, inspirandogliene il più tenero amore, la più
grande confidenza, la più viva ed efficace devozione[80].
Chi insegna pertanto il Catechismo non deve mai dimenticare che tutta
l’istruzione religiosa ha per iscopo di far conoscere Iddio e Gesù Cristo, la
quale cognizione, come è Scritto nel Vangelo, e la vita eterna[81].
Oltre la parte del Catechismo assegnata a ciascuna classe, si mettano
continuamente Sotto gli occhi dei giovanetti Gesù Cristo,
“Il Catechismo sia compreso nel
significato di ogni sua parola e nell’insieme delle verità”
Il maestro soprattutto sia chiaro. «Chi ama davvero l’evidenza, così S. Agostino, non si cura di andare in traccia di belle parole, né di ciò, che riesca ben detto, ma piuttosto di ciò, che ben esprima e dichiari quello, che intende di esporre. Quindi, disse bene un cotale, trovasi in questo modo di esprimersi una certa diligente trascuratezza.»
I fanciulli infatti non le intendono quelle parole, e se vengono avvezzati a proferirle materialmente, non ne trarranno vantaggio alcuno. E necessario adunque spiegare colla maggior semplicità e famigliarità, con nozioni e figure sensibili tutte e ciascuna parola del Catechismo, affine di rendere capaci quei giovani intelletti di apprendere le auguste verità dogmatiche e morali della fede. È frequente il caso di udire giovanetti recitar francamente a memoria ciò, che non intendono; colpa dei maestri, che suppongono in essi soverchia facilità d’intendere le parole e le espressioni catechistiche.
Spiegato quindi il valore di ogni
parola, il maestro riprenda da capo, sviluppando il senso e la forza della
risposta, riproponendo sotto varii aspetti la cosa, sbagliando talora a bella
posta le risposte, per lasciare ai fanciulli il vivo piacere della correzione, dispensando
opportunatamente lodi e rimproveri, tenendo desta l’attenzione finché quella
parte di Catechismo sia compresa nel significato di ogni sua parola e
nell’insieme della verità augusta che significa (...).
«Il Catechista non si inoltri di più senza che prima abbia conosciuto dal tono della voce, dalla gaiezza dello sguardo dei fanciulli, che furono colpiti dalla verità proposta»
Quando si parla ai fanciulli,
quando essi rispondono, è uopo studiarne i sentimenti, l’atteggiamento, l’aria
del loro volto. Si direbbe che gl’interni loro sensi tutti traboccano - all’esterno, e avidi di sapere, così S.
Agostino, dimostrano con segni, quando hanno inteso. Il maestro, che non si
attiene a questa regola tradirebbe il proprio mandato con grande danno dei
giovanetti a lui affidati. Si guardi perciò il maestro di non annoiarsi; né di
stancarsi dal ripetere, senza fretta di avanzare, memore del gran detto di S.
Agostino: «è tanta la profondità della Dottrina Cristiana, che se dalla
fanciullezza sino all’età decrepita non avessi studiato altro con tutto comodo,
con sommo studio, con migliore ingegno, avrei ogni giorno fatto in essa maggior
progresso[83].
La loro capacità è assai limitata, la memoria, la riflessione,
l’intelligenza, non sono esercitate, il loro linguaggio è poverissimo e le
risposte del Catechismo Diocesano spesse volte sono di troppo complesse per
loro che abbisognano, dire coll’Apostolo, di latte, non di solido cibo, cioè di
una istruzione espressa con parole e frasi semplicissime, che non superino la
loro infantile portata. Ordinariamente quindi negli asili si fa uso di alcune
domande e risposte stralciate dal Piccolo Catechismo che non costituiscono
punto un insegnamento graduale, né sì intimamente collegato da sviluppare
nell’animo del bambino il germe della fede e della vita cristiana, inserita in
lui dalla grazia battesimale[84]
“Renderlo quasi incancellabile”
Ciascun alunno abbia il Catechismo proprio della Classe, a cui
appartiene, ed il maestro glielo faccia studiare il più precisamente che sia
possibile (...).
Un’importante verità è racchiusa in ciascuna delle sue formule; le parole
e le frasi sono talmente ponderate che lo scambio con altre può talvolta
alterare la sostanza delle cose (...). Di qui l’importanza di assegnare festa
per festa una lezione breve, ma da impararsi e recitarsi sempre alla lettera,
non permettendo mai al fanciullo di mutar neppure una parola, neppure una
sillaba (...).
Un tale studio imprime si fortemente nella memoria il testo del
Catechismo da renderlo quasi incancellabile con immenso profitto delle anime,
le quali, anche nei loro traviamenti, ne troveranno sempre nel loro spirito
quasi indelebili le formole a rimprovero ed a condanna. Si sono veduti degli
uomini, i quali avevano perduta
“L’immaginazione venga in
soccorso dell’intelletto”
Bisogna adoperarsi perché l’immaginazione venga in soccorso
dell’intelletto, col porre innanzi immagini, che spieghino le verità del
Catechismo. Il libro della natura, diceva S. Francesco di Sales, è atto per le
similitudini, per le comparazioni, per i paragoni e per altre mille cose. Gli
antichi Padri ne sono ripieni, e le Sante Scritture ne hanno continuamente. Il
Santo non si limitava a dar precetti, ma quando insegnava il Catechismo, usava
di molte e sorprendenti immagini, fiorivano sulle sue labbra le più adatte
comparazioni. Segua il maestro questo nobilissimo modello e l’opera sua sarà
feconda di frutti assai rilevanti[86].
Tenga però la maestra ben presente l’avvertenza di non insinuare
nell’animo dei fanciulli a riguardo del Paradiso e dell’Inferno idee troppo
materiali, inesatte o false allo scopo di fare impressione sul loro animo.
Nell’insegnamento religioso bisogna sempre attenersi a ciò che insegna la fede
e non lasciarsi portare dalla fantasia, neppure per motivo di bene. Un’idea materiale
può fare viva impressione infatti nei bambini, ma cresciuti in età ne conoscono
la falsità ed insieme coll’idea falsa troppo facilmente disprezzano e
rigettano anche le più sacre verità[87].
Usino i maestri, per quanto è possibile, dei racconti; pare che essi
rendano più lunga l’istruzione, ma invece l’accorciano di molto, e le tolgono
l’aridità (...). Iddio, che conosce appieno lo spirito dell’uomo da Lui
creato, ha sistemato
“Sensi e spirito, tutto il
fanciullo si occupi di ciò che studia”
La maestra tenga sempre presente questa osservazione:
Nell’istruzione religiosa anche della prima fanciullezza, non si deve
separare dalla mente il cuore e la volontà, ma tutto lo spirito, cioè mente e
cuore e volontà si devono informare
al vero e al bene, che ci presenta la fede cristiana. Si valga insomma di ogni
occasione, anche della ricreazione, dei fiori, di tutto, per far ammirare ai bambini
la grandezza, la bontà, la perfezione di Dio, e per coltivare il senso di Dio
che gli è stato comunicato nel Santo Battesimo, quel germe divino della grazia
battesimale inserito nell’animo per portare il suo frutto[89].
Si risvegli nei giovanetti l’entusiasmo del sentimento, si tocchino
soavemente tutte le corde del cuore, si usufruttino tutte le loro buone
qualità, perché abbiano a concepire idee amabili, gioconde, pietosamente belle
della loro Religione, che li renda felici e lieti nella semplicità della loro
fede. A rallegrare l’animo dei fanciulli e rendere cara
Si valga delle tavole, delle quali sono forniti gli asili, che
rappresentano il Cielo e
La passione e morte di Gesù Cristo deve essere raccontata spesso ai
fanciulli (...). Per imprimere sempre più vivamente nei cuori questi misteri,
si giovi la maestra dell’immagine del Crocifisso e di altre relative alla
passione, che una costante esperienza insegna giovar moltissimo nell’istruzione
religiosa della fanciullezza[92].
“Prudenza e pazienza”
La prudenza, questa preziosa virtù, deve insegnare ai Maestri il modo di contenersi
coi vari caratteri e colle svaniate indoli dei fanciulli. Usi prudenza nel
riprendere a tempo e coi debiti modi i fanciulli dissipati, orgogliosi,
immodesti, per far sentire loro il bisogno di essere savii ed attenti. Usi
prudenza nel sostenere con affetto i primi sforzi, che il fanciullo fa contro
se stesso per emendansi (...). Usi gran prudenza nel non permettersi azione
alcuna che non sia buona, e non presenti da nessun lato ombra di male[93].
Abbiate adunque molta pazienza, o Maestri, accumulate nella memoria del
fanciullo buone idee; verrà tempo che esse si riordineranno da sé medesime.
Abbiate molta pazienza nel sopportare i naturali vivaci, irrequieti, impetuosi[94].
Se non si usa massima parsimonia e cautela nei castighi, è troppo facile
far nascere nell’animo dei giovanetti noia, diSgusto, avversione al
catechista, al Catechismo e alla stessa Religione. La storia registra dei nomi,
che suonano incredulità e cinismo, i quali confessarono d’aver incominciato la
funestissima lor disposizione all’empietà nella fanciullezza, quando vennero,
nella scuola del Catechismo, troppo severamente puniti. Da quel giorno
pendettero ogni piacere, ogni affetto per tale istruzione, e fatti padroni di
se stessi, non vollero più sentirne parlare (...).
Le punizioni sono necessarie, ma occorre
osservare con un sapiente educatore, che la gioia e la confidenza devono
essere la disposizione ordinaria dei fanciulli, altrimenti si rimpicciolisce
il loro spirito, si abbatte il loro coraggio; se sono vispi si irritano, se
sono calmi, diventano quasi fatui. Il castigo rigoroso è quel rimedio violento
delle malattie estreme, che purga, ma altera l’organismo e lo frustra[95].
“Una forma che attiri e
conquisti”
Farla conoscere questa Religione in tutta la sua natia bellezza e farla
conoscere soprattutto alla gioventù studiosa (...): porgerle l’insegnamento
religioso in modo più adatto ai
bisogni dell’ora presente, in una forma che attiri e conquisti e, come si esprime
benissimo un illustre oratore, in un ambiente, se pur si voglia, che non sia
il tempio e che pure continui l’opera del tempio. A provvedere a straordinarie
necessità è inutile perderci in vane discussioni, occorrono mezzi fuor
dell’usato[96].
E necessario scolpire
nell’animo dei giovani i dettati della fede, premunirli contro i maestri
d’empietà, che non mancano in nessun luogo,
mostrar loro nello stesso tempo tutta l’indegnità, la follia, la miseria degli
uomini increduli; ma non già a modo di polemica, bensì con esposizione chiara,
nobile, dignitosa, con istruzione catechistica soda, ben preparata, che
convinca, sviluppi, illumini, fortifichi la fede, la quale, fondata in questo
caso, come dice il Vangelo, non sull’arena, ma sulla noccia, resisterà
vittoriosa contro ogni assalto dei nemici[97].
“Istruite con affetto”
Si tratta di alimentare la vita,
non già materiale, ma spirituale dei fanciulli col pane dell’istruzione
religiosa. Dovete ben persuadervi, Fratelli carissimi, non esservi forse oggidì
opera di questa più santa e più gradita al Signore, più necessaria e più utile
al civile consorzio, più consolante e più meritoria per voi medesimi. Con ogni
sollecitudine rischiarate le menti, combattete l’ignoranza, distruggete i
pregiudizi, fate conoscere ed amare
I fanciulli, vi diremo colle parole così piene di saggezza e così pratiche d’un eminente Vescovo italiano, i fanciulli accoglieteli con amore e con dolcezza paterna quando vengono a voi, e se non vengono, a somiglianza del divino Pastore domandate di loro, cercateli per le vie e per le piazze; stimolate l’inerzia e la trascuratezza dei genitori; instate presso di loro, pregateli affinché mandino alla dottrina i loro figliuoli. Lungi i castighi ed i rimproveri; lungi i modi duri ed aspri, che li allontanerebbero da voi; fatevi fanciulli voi pure, se è necessario per guadagnarli a Gesù Cristo; dissimulate la loro leggerezza e la loro indocilità; compatite la loro rozzezza e la loro lentezza in apprendere ciò che insegnate: non mostratevi giammai stanchi od annoiati di loro; con una carità senza limiti, continua, ingegnosa, paziente, benigna, che tutto soffre, che tutto spera, bisogna supplire al difetto de’ mezzi e a quel manco di autorità, che il tempo e gli uomini ci hanno tolta. In una parola, non datevi pace insino a che le Domeniche e le Feste non vedrete intorno a voi la bella corona di tutti i fanciulli della Parrocchia. Nelle istruzioni siate brevi, chiari e semplici; i vostri modi siano amabili ed insinuanti: temperati l’aridità dell’insegnamento, frammezzando racconti ameni e morali, onde mescere il dolce all’utile, e invogliarli ad essere assidui alle vostre istruzioni. Dove i parrochi non abbiano coadiutori, o questi non siano atti, si rivolgano ad alcuni buoni laici, ad alcune pie donne, perché li aiutino, raccolgano e conducano alla chiesa i fanciulli e le fanciulle e mantengano il necessario silenzio.
Istruite, istruite i figliuoli
che
“Un codice della fede uguale
per tutti”
Oggi più che mai, sì pel numero delle vie, che per la varietà e facilità
dei trasporti, le nazioni più dissociabili e lontane si sono strette fra loro
e avvicinate, si sono, per così dire, mescolate insieme e molti, per mancanza
di lavoro, o per desiderio di arricchire, o anche solo per la speranza di miglior
fortuna, si recano di città in città, di provincia in provincia, di regno in
regno, senza aver mai alcuna stabile dimora. Non mai, come oggi, fu sì grande
il numero delle emigrazioni e degli emigrati. Che ne viene perciò? Ne viene
purtroppo che i fanciulli, nell’animo dei quali e sì necessario gettare per
tempo i semi delle cristiane virtù, costretti a seguire la sorte dei loro
parenti, restano privi ben spesso di quella religiosa educazione che si
apprende fra le domestiche mura e assai difficilmente nelle cose dell’anima
vengono istruiti.
Si ponga mente difatto. O essi emigrano dal paese natio ad altro paese di
lingua diversa, il che non raro
avviene oggigiorno, e allora doppia difficoltà. La prima dalla differenza
della lingua; la seconda dalla non uniformità, almeno quanto al senso ovvio,
della dottrina da imparansi. Oppure, come accade, si può dire,
quotidianamente, fanno essi passaggio da una in altra Diocesi, dove il
linguaggio è lo stesso, e allora chi non vede a qual confusione, qual
turbamento debba l’intelletto loro ancor debole andar soggetto per la
diversità del testo?
Ben è veno che una stessa cosa può esprimersi in diversa maniera, intatta
rimanendone la sostanza, ma ciò non arrivano ad intendere i fanciulli e le
persone più rozze. L’esperienza dimostra infatti che meccanica più che altro è
la loro memona, sicché nella loro mente, non sono già le cose che chiamino i
nomi, ma sono piuttosto i nomi che suggeniscono le cose; anzi vediamo che quando si mutano le parole vengono a
mutare per essi anche le cose, non sapendo, per la loro semplicità, dalla
sostanza distinguere gli accidenti. Ove ascoltino pertanto una stessa dottrina,
ma esposta sotto forma diversa da quella già da essi appresa, credono s’insegni
loro una dottrina pure diversa. La
confusione quindi, la noia e l’idea di nuova fatica li disanima, li avvilisce e
il ritrae infine dalla scuola del Catechismo, con pericolo manifesto d’ignorarlo
per sempre.
Di qui altresì la difficoltà per parte di chi deve insegnarlo, sia
perché, ove sono fanciulli di altra Diocesi, deve vincere cotesta loro
ripugnanza e premunirli contro lo scandalo che potrebbero prendere, al sentirsi
esporre una dottrina, secondo essi, totalmente diversa; sia perché e necessario ripigliar da capo
l’insegnamento catechistico a loro riguardo, non senza grave fatica e perdita
di tempo, e con danno degli altri fanciulli. Aggiungasi che tante volte questo
tempo e questa fatica sono tempo e fatica gettati, mentre vi sono fanciulli i quali, dovendo seguire,
come è detto, la sorte dei loro genitori, dopo poco tempo e nel meglio
dell’opera sono costretti a troncarla per passare ad altre province dove il
testo varia di nuovo e dove perciò e necessario
andar incontro a difficoltà nuove sempre maggiori.
Infine sappiamo tutti quanto la retta intelligenza dei divini misteri
dipenda dalla scelta accurata delle parole. Lasciata pertanto la varietà dei
Catechismi, nulla più facile ad avvenire, in progresso di tempo, che la fede
del popolo cristiano, ora specialmente che e dovunque insidiata, ne soffra. E
allora domandiamo noi, che sarà della novella generazione, fin da ora sì male
avviata e sì poco addentro nelle cose dell’anima e di Dio?
Tali sono, a parer nostro, i principali inconvenienti che dalla varietà e
molteplicità dei catechismi derivano, inconvenienti per altro che presto
verrebbero tolti, ove unico ed uniforme fosse il catechismo per tutto l’Orbe
cattolico.
Che anzi chi può dine quali e quanti vantaggi ne ritrarrebbe
Cento un codice della fede uguale per tutti, al quali si aggiungessero
per tutti le stesse preghiere tanto mattutine che vespertine, specialmente
riguardo agli atti di fede, speranza, carità e contrizione, più gli atti da
farsi da ogni fedele prima e dopo
Noi perciò affrettiamo coi voti quel giorno in cui, ristabilita la pace,
possa il Regnante Pontefice dar mano ad un’opera tanto salutare. Oh, quanto
godremmo che d’una gloria sì bella andasse ricco il Pontificato già sì
glorioso di Leone XIII[99].
Un apostolo della Parola e del
Catechismo non poteva rimanere indifferente al dramma di chi non ha il dono
della parola e non può comunicare con gli altri per mezzo di questo “vincolo
meraviglioso”.
Il sordomuto è tra i più poveri e
infelici fra gli uomini: orfano in famiglia, solitario in mezzo alla gente,
escluso dal consorzio umano, un esiliato in patria. La fede e la carità
impongono non solo di assisterlo, ma di riammetterlo nel consorzio civile ed ecclesiale,
con un’istruzione che gli consenta di comunicare con gli uomini e, attraverso
la mediazione umana, con Dio. I sacerdoti devono essere “lingua della loro
mutolezza e orecchio della loro sordità”. Chiesa e società devono rendere
“parlanti” i sordomuti.
L’Apostolo del Catechismo, cioè
della comunicazione della fede mediante un linguaggio comprensibile è
assimilabile, si fa apostolo dei sordomuti per ristabilire l’essenziale
comunicazione umana del linguaggio, e apostolo degli emigrati, per ristabilire
la comunicazione dell’uomo, isolato dall’emigrazione, con la società e
“Si diede principio ad una
famiglia di sordomute”
Era la vigilia di quel giorno ch’io dovevo venire a prender possesso di
questa cara Diocesi e congedarmi definitivamente dalla dolce patria mia. Come
potevo dimenticare le povere sordo-mute che avevano formato per vanii anni
l’oggetto delle mie sollecitudini e del mio sacro ministero? Mi recavo infatti
da loro per esortarle un’ultima volta, per raccomandarle di presenza alla
divina bontà e impartir loro la mia benedizione. Dirvi le scene di quell’addio
non m’è possibile. Il sordo-muto istruito sente una gratitudine vivissima,
immensa, imperitura per tutti coloro che gli usano carità. Quelle buone figlie
erano avvezze a considerare in me la loro guida spirituale, il loro catechista,
il padre delle anime loro, uno dei loro proteggitori, e dopo avermi espressi i
loro sentimenti squisitamente sublimi, terminavano un loro indirizzo così: Noi
siamo oppresse per la voStra partenza da una tristezza mortale, ma essa si
cangerà tosto in vivissima gioia se ci prometterete di caldeggiare nella
vostra Diocesi l’istruzione delle nostre sorelle di sventura. Lo promisi e
partii commosso, risoluto di adoperarmi con tutte le forze a fine di mantenere
la data parola.
Poneva quest’opera sotto la protezione di Maria SS. e nel giorno sacro
alla sua Natività 1880, dirigevo, come sapete, al clero e popolo della città e
diocesi un appello perché dai figli venisse qualche aiuto. La parola del
pastone, benedetta da Dio, sortì, almeno in parte, il desiderato effetto. Un
benefico uomo morendo imponeva alla moglie sua unica erede di consegnarmi una
somma per l’esecuzione di parecchie sue benefiche disposizioni, tra le quali
non ultima quella dei sordo-muti. Fu così che mi tornarono possibili e
l’acquisto di questa casa e le spese non lievi per l’impianto di siffatto istituto.
Sia dunque benedetta la soave memoria del pio popolano Giuseppe Rossetti!
Qui vennero tosto chiamate da varie parti della Diocesi le sordo-mute già
adulte né più capaci di istruzione completa. Si procurò di insegnar loro almeno
le cose necessarie per poterle ammettere ai SS. Sacramenti, rimandarle, dopo
alcuni mesi, alle loro case rispettive, se con vero frutto non oserei
affermarlo. Dio avrà tenuto conto del nostro e del loro buon desiderio.
Qui si die’ principio ad una famiglia di Sordomute che hanno compIto
l’istruzione, né sanno spesse volte ove appoggiarsi, una specie di patronato.
Esse vivono insieme, mezzo religiose, pregando e guadagnandosi il vitto con
lavori, di Chiesa specialmente.
Qui si incominciò la istruzione regolare delle fanciulle di istruzione
capaci, del profitto delle quali, o Signori, sarete ora testimoni. Questo loro
profitto che io conosco già in parte, se da un lato mi rallegra dall’altro mi
fa sanguinare il cuore pensando che nella vastissima diocesi sono circa
duecento i sordo-muti, come risulta da una statistica da me ordinata, la maggior
parte dei quali cresciuti senza istruzione di Sorta.
Terminerò quindi esprimendo la mia gratitudine e ammirazione verso
queste buone religiose che nell’ampiezza della loro carità sarebbero disposte
ad accoglierli tutti, e rinnovando il voto che fra le molte pie istituzioni
onde va ricca la città nostra quella pure possa prosperare dei poveri
sordo-muti, sicché Piacenza non abbia più ad invidiare, anche per questo,
tante altre città italiane e straniere, ove già i sordo-muti d’ambo i sessi
sono felicemente educati e restituiti alle famiglie quali membri affatto
rinciviliti, alla società quali utili cittadini, alla Chiesa quali figli
devoti, a Dio quali fedeli adoratori[100].
“Non c’è sventura pari a quella
del sordomuto”
Non vi è sulla terra sventura, pari alla sventura del povero Sordomuto.
Fornito di quelle facoltà, di cui fu larga ad ogni uomo
La parola, questa potenza concreata al pensiero e rivelatrice di mondi
ideali, questo vincolo misterioso, che congiunge alla fisica la morale natura,
che unisce intelletto ad intelletto e cuore a cuore, va bensì a percuotere
l’orecchio di lui, ma senza effetto di sorta, come il dardo lanciato nel marmo.
Cresce egli pertanto, cotesto innocente figlio della sventura, in mezzo
alla società, ma straniero quasi alla medesima. Il tesoro delle cognizioni
comuni, delle quali a tutti e dato potersi arricchire, per lui sta rinchiuso;
tace per lui l’esperienza dei secoli andati, e il patrimonio delle sue
cognizioni è ristretto a quel pochissimo, di che i propri bisogni, la propria
riflessione, la esperienza propria hanno potuto ammaestrarlo, simile in ciò al
selvaggio della foresta che nulla intende di quanto vedesi attorno.
Anzi, a ben riflettere, se la condizione del Sordo-muto s’agguaglia
pienamente a quella del selvaggio rispetto all’ignoranza dell’intelletto, essa
le è di molto inferiore rispetto alle amarezze del cuore.
Fu detto che la fame della verità non è meno prepotente di quella del
pare quotidiano, ed e così veramente. Siane prova il fanciullo dotato della
parola, che mai non rifinisce d’interrogarvi ora sopra di una cosa, ora sopra
di un’altra, e s’indispettisce e mena strepito e piange, se subito non venga
appagato.
Quale pertanto non deve essere il tormento del Sordomuto, che sente
dentro la stessa fame di sapere e si vede privo persino del beneficio di
interrogare! Vede gli altri discorrere fra loro, e, a seconda dei loro
discorsi, comporre il volto a riso, a pianto, a meraviglia, ed egli non può in
guisa alcuna scoprirne la causa. Arde del desiderio di comprendere e di essere
compreso, e non può nemmeno aver modo di far conoscene questo suo desiderio!
Forza è quindi si trovi, ben vedete, in uno stato di continua amarezza, di
violenza dolorosa, ed ahi, quanto dolorosa! O voi, che amate trattenervi sovente
in dolci colloqui coi vostri simili, immaginate quale per voi sarebbe quel
giorno in cui foste per sempre condannati ad un ferreo silenzio! Eppure non è
questa che una delle pene cui è soggetto il Sordo-muto per tutto il corso di
sua mortale carriera[101].
“Un solitario in mezzo agli
uomini”
Se per tutti il Sordo-muto, senza istruzione, è un essere ragionevole che
non ragiona, un orfanello isolato in famiglia, un solitario in mezzo agli uomini,
un selvaggio nella civile società; nella Chiesa di Dio, per noi, e soprattutto
un’anima digiuna del pare di vita, un infedele quanto alla fede attuale, un
ignorante di tutte le verità rivelate, di tutte, anche delle più elementari,
necessarie a sapersi di necessità di mezzo. Oh, in questo punto di vista, non è
a dire, il bisogno del Sordo-muto si fa estremo e il relativo provvedimento
assume per noi il carattere non di semplice opera di beneficenza e di umanità,
ma di religione altresì e di giustizia.
Non ha il Sordo-muto cognizione alcuna di Dio, né delle cose di Dio! Se a
tal cognizione infatti non arrivano i fanciulli dotati della facoltà di udire,
ove manchino dell’istruzione opportuna; Se, pur troppo, vediamo sovente
fanciulli i quali, trascurando lo studio catechistico, non sanno Ie principali
verità della religione, anche dopo che hanno Sentito tante volte parlarne; come
credere che possa giungere a conoscerle il Sordo-muto, destituito com’è di ogni
mezzo, isolato in grembo alla famiglia e alla società, colla notte profonda che
regna nel suo intelletto e col silenzio sepolcrale che lo circonda?(...).
II mondo naturale non sarà altro per lui che un mistero, né altro per lui
che un mistero sarà la vita dell’uomo. Il terribile assalto infatti del dolore,
le lacrime della virtù, l’ipocrisia del vizio, i precetti del dovere, la
potenza del pentimento, la speranza del perdono, il sublime delle affezioni, il
sacrifizio delle passioni, il martirio della povertà, i contrasti delle false
amicizie, le ingiuste persecuzioni non si spiegano senza Dio. E che mai sarebbe
per noi il giorno dell’ultimo addio, se il raggio della immortalità non
rischiarasse la tomba? No, non v’è che
Egli è condannato da chi, potendo farro religiosamente istruire, non lo fa per indolenza o per mal inteso
risparmio[102].
“La società non può ricusargli
il beneficio dell’istruzione”
Mentre per legge si vuole obbligatoria l’istruzione del popolo, affinché
la luce del vero si diffonda e penetri anche
nella officina del povero e dell’artigiano; mentre tanto si esige per
tutelare il diritto che ha ciascuno di godere di tutti quei preziosi vantaggi,
che sono procurati dalle condizioni sociali, come potrebbe esserne escluso il
Sordo-muto? Non entra forse anch’egli nel novero degli uomini e dei cittadini?
Non ha egli anzi maggior diritto alla compassione fraterna e alla sociale
attenzione, appunto perché la sventura lo ha più crudelmente colpito? No, né
“Una storia pietosa”
La storia pietosa di questi nobili giovanetti sordo-muti mi venne spesse
volte in mente nell’anno
“Non si ama senza conoscere”
Dal lato religioso il sordo-muto non istruito è privo di ogni conforto.
L’uomo è religioso, come è perfettibile, e questi due grandi concetti procedono
con mirabile accordo e l’uno conferma l’altro. Il che manifesta la ragione, per
cui l’uomo divien tanto più religioso, quanto maggiormente si perfeziona, e
tanto più si perfeziona quanto più divien religioso (...).
Eccovi una famiglia raccolta nel santuario domestico. La madre offre al
Signore dei Cieli i suoi figli, il padre li benedice: i figli rendono grazie
all’Altissimo, di cui ben comprendono
Qual raggio brillerà dunque nell’anima del sordo-muto non istruito per
dissiparvi le tenebre dell’ignoranza, per disvelarle i conforti della virtù,
per eccitarvi le consolatrici speranze dell’avvenire? L’istruzione; e i nuovi
sistemi di educazione danno appunto al sordo-muto la parola; egli legge sul
labbro altrui e risponde, s’intende, come rispondere può un sordo-muto e a
seconda delle disposizioni organiche particolari, ma risponde e la redenzione
del sordo-muto vaticinata dal Vangelo è compiuta: i sordi intendono, i muti parlano[105].
“Bisogna che altri pensino per
loro”
Dopo tutto ciò chi è di voi che non veda
la necessità che hanno cotesti infelici di essere soccorsi? Anche
nell’Evangelo sono tratti eloquentissimi a questo riguardo.
I lebbrosi, gli storpi, i languidi, i ciechi stessi conoscono la propria
sventura e possono andare in cerca del divin Medico, o, se non altro, possono,
quando Egli passa loro accanto, gridare: Gesù
figliuol di David, abbi pietà di noi. Nessuno dei Sordo-muti al contrario
trova aiuto da se stesso alla propria disgrazia, nessuno da se stesso trova la via per andare al Salvatone, e per
questo bisogna che altri pensino per
loro e a Lui pietosamente li guidino.
Ma anche condotti a Gesù, essi non Lo conoscono, né possono rivolgergli
alcuna preghiera. Quindi è che G.C., mentre da tutti, che a Lui ricorrevano,
chiedeva una supplica, una confessione della loro miseria, un atto di fede, mai
niente di ciò richiese dai Sordo-muti, volendo tuttavia che per essi pregassero
e ravvivassero la fede quelli, che a Lui li presentavano[106].
“Lingua della loro mutolezza e
orecchio della loro sordità”
Un’ultima parola a Voi, o Venerabili Sacerdoti, Nostri carissimi
Cooperatori nella vigna di Dio. Nessuno di
voi certamente lascerà venir su nella sua Parrocchia un fanciullo o una
fanciulla, colpiti di mutolezza e sordità, senza tentare ogni mezzo di renderla,
coll’istruzione religiosa, capace di ricevere i santi Sacramenti della Chiesa,
perché nessuno di voi vorrà certo
tradire il proprio ministero, né rendersi in faccia alla Chiesa e a Dio
colpevole della perdita di quell’anima, al suo zelo raccomandata. Non potete
voi occuparvene direttamente? Potete però e dovete occuparvene indirettamente,
finché non siete moralmente sicuri della salvezza di lei.
Cercate dunque di cotesti sgraziati nelle famiglie, dove spesso sono
tenuti nascosti, e, notificateli a questa Curia, valendovi del modulo qui
annesso. Dichiarate ai genitori l’obbligo di coscienza che hanno di farri
istruire. Fate loro conoscene l’esistenza del suddetto Istituto (...).
Consideratevi insomma, quali siete, i destinati dalla divina Provvidenza
a divenire, secondo la frase dei Libri Santi, lingua della loro mutolezza e
orecchio della loro sordità.
Venerabili Fratelli, è questo un nuovo apostolato che il cielo vi
presenta (...). Il Sordo-muto adunque non e dalla Provvidenza abbandonato alla
sua lagrimevole privazione. Essa lo colloca nelle braccia dei fedeli, lo
commette alle loro viscere pietose, e, coprendolo del prezioso mantello della
divina figliuolanza, dice a tutti loro: col provvedere che farete al religioso
allevamento di quest’anima a me si cara, voi mi dimostrerete la grandezza
dell’amore che mi portate[107].
“Non vivono più estranee alla
società e alla famiglia”
II sordo-muto, o Signori, mi e sempre comparso come la più sventurata
delle creature. Infatti l’organo
dell’udito non è solo strumento per cui scende nell’anima un suono fuggevole,
ma è il veicolo misterioso di quella parola che si parti dal Cielo per condurre
l’umanità all’eterno suo fine. Non vi è vita morale (per l’individuo, come per
una nazione) senza una lingua. Il pensiero umano si ripiega sopra di sé,
mediante la riflessione, la quale per opera dei segni determina e circoscrive
le idee. Ma il favellare interiore, per cui lo spirito conversa con se
medesimo, ha bisogno della parola
esteriore e dell’umano consorzio. La parola e dunque per l’uomo individuo la
sorgente principale della verità e della scienza, per le nazioni l’aurea catena
che lega insieme le intelligenze e i cuori, per l’umanità il vincolo
meraviglioso che la congiunge al Cielo. Che cosa adunque è l’uomo senza la
parola? Non vi è cuore, per quanto insensibile, che possa resistere allo spettacolo
del sordo-muto abbandonato a se medesimo. Egli vive al paridi noi in mezzo al
frastuono del mondo, ma non ode punto se stesso, non ode gli altri. Un eterno
silenzio lo circonda. Quell’orecchio chiuso per sempre alla soave armonia delle
note, quell’occhio che si volge incantato sulle meraviglie della sensibile
natura e par che ricerchi bramoso altri mondi, altra patria, altre creature e
l’Artefice sommo dell’universo, quel labbro su cui siede il silenzio, ci avvisa
di quella tetra monotonia, che gli pesa sull’anima come l’eternità di una
pena. Infelicissimo sopra ogni infelice, povero sordo-muto, non sarai tu dunque
capace di destare un palpito d’amore in chiunque ti osserva?
Io lo vidi questo figlio della sventura lasciato il più delle volte quasi
pianta a vegetar sulla terra, e vasti, forse troppo vasti, sorsero in me i
desiderii. Oh perché, mi sono chiesto sovente, non mi fornì
Ho tuttavia la consolazione di potervi annunziare che ben 60, oltre a
quelle istruite regolarmente, sono a quest’ora le sordomute, che uscirono
dirozzate da questo recinto. Dirozzate, io dissi, perché sia per l’età troppo avanzata delle une, sia per
l’inettitudine ad imparare delle altre, ci vedemmo costretti a restituirle,
dopo alcuni mesi, alle rispettive famiglie, paghi di aver tentato di destare nei
loro cuori sentimenti cristiani e civili. Dio avrà senza dubbio tenuto conto
del nostro e del loro buon desiderio.
Di un’altra classe si compone la nostra piccola famiglia ed è di quelle
fanciulle sordomute che, orbe di padre e di madre, o altrimenti senza appoggio
e senza conforto, o chiamate ad una specie di vita religiosa, libere pur
sempre di uscire, amano passar qui i loro giorni. Attualmente sono otto. Vestono
un abito speciale e vivono ritirate, nel raccoglimento, nella preghiera e nel
lavoro.
Viene terza una classe, che richiama tutta la vostra attenzione, o
Signori, ed e appunto la schiera delle fanciulle che vi vennero ora presentate.
Si compone essa di quelle sordomute, che sono di regolare istruzione capaci.
Alcune, entrate da pochi giorni, e perciò inette ancora a profferire parola, vi
si mostrano in tutta la loro miseria e nella loro indole quasi Selvaggia. Le
altre aspettano impazientemente di mostravi che hanno anch’esse una mente e un
cuore, che si sono aperti alla luce del veno e degli affetti più santi, che vi
intendono e che arrivano a farsi intendere. Tale, o Signori, è il frutto di
quella educazione che loro in questo luogo si imparte. Esse, per tal modo, non vivono più estranee alla
società e alla famiglia, che anzi all’una e all’altra sono di vantaggio e di
conforto non lieve[108].
“Fatte parlanti”
E una scena, o Signori, sempre meravigliosa e commovente, vederle
sitibonde ed ansiose pendere le lunghe ore dal labbro delle loro pazienti e
caritatevoli educatrici, e le loro spiegazioni religiose accoglierle spesso
cole lagrime agli occhi, cola gioia sul volto, l’entusiasmo e la riconoscenza
nel cuore, poi, fatte riflessive, ravvedersi, amarsi, aiutarsi a vicenda,
tradurre nella vita la santità del Vangelo e negli atti la loro fede che le
sorregge e conforta. Ho udito spesso ripetere dai loro genitori e parenti che
la loro sordomuta, fatta parlante, è l’onore, la consolazione e il sostegno
morale della loro casa, e le sordomute stesse scrivendomi, ripetono di frequente
che benedicono l’Istituto particolarmente
per averle fatte parlanti, perché con tal mezzo si trovano riabilitate alle
famiglie e alla società, e sono più rispettate, il loro lavoro è più apprezzato
e meglio retribuito, e quindi godono una vita non solo più tranquilla, ma
altresì meno disagiata[109].
“L’Istituto delle Sordomute da
me fondato”
L’Istituto delle Sordo-mute, esistente in queSta città, venne da me
fondato ventidue anni or sono.
Esso possiede la casa attualmente dalle sordomute abitata ed una villa
con una ampia e bellissima casa civile, ove le povere disgraziate vanno a
rinvigorire la salute in alcuni mesi dell’anno.
Al mantenimento delle sordo-mute provvedo io parte con annue £. 1.500,
che verranno continuate anche dopo la mia morte; a questo sussidio si devono
aggiungere £. 1.000 che si ricevono dalle pensioni, e altrettante che si
ricavano dai lavori manuali: per il resto si è dato incarico alla Provvidenza
che tutto vede e tutto provvede; e ha veduto e provveduto quanto basta.
La spesa annua oscilla dalle undici alle dodici mila line.
Presentemente le sordo-mute sono 50 tra adulte e bambine. Le adulte col
lavoro fanno fronte in parte alle spese del loro mantenimento.
Le bambine vengono istruite da apposite maestre, scelte tra le Figlie di
S. Anna (alle quali è affidata la direzione dell’Istituto), nella religione,
nel leggere, nello scrivere, nel far di conto, nei lavori donneschi e in quanto
occorre al buon governo di una famiglia e che possano all’occorrenza guadagnansi
il pare col lavoro.
In una parola è cura precipua delle maestre impartine alle sordomute quel
corredo di cognizioni che sono richieste dal
Del profitto che queste disgraziate ne ricavano, vi è prova la buona
riuscita di tutte quelle fra esse che, terminato il corso di istruzione,
abbandonano l’Istituto o per dedicarsi alle loro famiglie, o per prestare il
loro servizio in casa altrui.
Ho il piacere di annunziarle inoltre che fra pochi mesi veder compiuto uno
dei miei desideri più ardenti, l’apertura cioè dell’istituto per i sordomuti
maschi della diocesi e provincia nostra. Sono persuaso che la novella
istituzione troverà il conveniente appoggio da tutti: certo non gli fallirà
quello di Dio[110].
1 Fede, vigilanza, preghiera, Piacenza 1899, pp. 22-23.
2 Lett. Past. del 5.5.1905, Piacenza 1905, pp. 1-2. La sesta visita pastorale doveva cominciare l’11 giugno 1905, ma il vescovo morì il 1° giugno.
3 Lett. a G. Bonomelli, 1.2.1883 (Carteggio S.B., p. 96).
4 Id., gennaio 1887 (ibid., p. 203). “Gli ho detto”: a Leone XIII.
5 Id., maggio 1889 (ibid. pp. 252-253).
6 Id., 10.7.1893 (ibid., pp. 310-311). Il Bonomelli, stanco della continua minaccia di essere rimosso dal governo della diocesi, aveva scritto: «Tra poco o mi fo frate o divento Savonarola» (cfr. Biografia, pp. 272-273).
7 Unione colla Chiesa, obbedienza ai legittini Pastori, Piacenza 1896, pp. 37-38. Le «profanazioni sacrileghe» erano state perpetrate dall’apostata D. Paolo Miraglia.
8 3° discorso del 2° Sinodo,
4.5.1893. Synodus Dioecesana Piacentina
Secunda..., Piacenza 1893, p. 194 (trad. dal latino).
9 Unione colla Chiesa, obbedienza ai legittimi Pastori, Piacenza 1896, pp. 43-44.
10 La Chiesa Cattolica, Piacenza 1888, p. 41.
11 In occasione del compimento della Sacra Visita Pastorale, Piacenza 1880, pp. 10-15. Il primo dei 3 sinodi scalabriniani fu celebrato nel settembre 1879.
12 Lett. a Mons. P. Morganti, 1902 (AGS 3021/17).
13 La prima Lettera Enciclica di Sua Santità Pio X, Piacenza 1903, pp. 5-6.
14 Il Giubileo dell’Anno Santo, Piacenza 1900, pp. 13-14.
[1] Per la Visita Pastorale, Piacenza 1876, pp. 11-12.
[2] Ibid., pp. 16-18
[3] Lett. Past. del 5.5.1905, Piacenza 1905, pp. 4-5
[4] Parole d’ingresso in una visita pastorale (AGS 30 18/25).
[5] Ibid.
[6] Pel compimento della Sacra Visita Pastorale, Piacenza 1880, pp. 3-4.
[7] Ibid., pp.5-9.
[8] Relazione per la sesta visita “ad limina”, 20.12.1891 (ASV, Rub. 647/B, Placentina, S. C. Concilii Relationes).
[9] Lett. a G. Bonomelli, 17.6. 1894 (Carteggio SB., p.315).
[10] Id., 8.8.1902 (ibid., p. 372). Il “tempo perduto nell’anno scorso” era stato impiegato nella visita agli emigrati negli Stati Uniti.
[11] Id., 11.8.1903
(ibid., p. 378).
[12] Id., 4.10.1903 (ibid., pp. 378-379).
[13] La Divina Parola, Piacenza 1897, pp. 4-6.
[14] Ibid., pp. 7-9
[15] Ibid.,
pp. 3 1-32
[16] Ibid., p. 30.
[17] Ibid., pp. 33-34.
[18] 2° discorso del 3° Sinodo, 29.8.1899. Synodus Dioecesana Placentina Tertia..., Piacenza 1900, p. 239 (trad. dal latino).
[19] Ibid., pp. 240-241.
[20] Ibid., p. 245.
[21] Ibid., pp. 243-244.
[22] Lettera Circolare (...) al Venerabile Clero della Città e della Diocesi, Piacenza 1898, pp. 3-5.
[23] Synodus Dioecesana Placentina Secunda..., Piacenza 1893, p. 31 (trad. dal latino).
[24] Educazione cristiana, Piacenza 1889, pp. 8-9.
[25] Ibid., pp. 5-6
[26] Lett. Past. (...) per la Santa Quaresima del 1879, Piacenza 1879, pp. 47-48. Le parole in corsivo sono citate dall’Enciclica Quod apostolici muneris di Leone XIII.
[27] Educazione cristiana, Piacenza 1889, pp. 11-13.
[28] Ibid., pp. 23-24.
[29] Ibid., pp. 14-15.
[30] 3° discorso del 3° Sinodo,
30.8.1899. Synodus Dioecesana Placentina Tertia..., Piacenza 1900, pp. 256-257
(trad. dal latino).
[31] I diritti cristiani e i diritti dell’uomo, Bologna 1898, pp. 10-11 (Lettera collettiva dell’episcopato emiliano, redatta da Mons. Scalabrini).
[32] La famiglia cristiana, Piacenza 1894, pp. 5-6.
[33] Ibid. pp. 6-7.
[34] Ibid., pp. 12-13
[35] Ibid., pp. 13-14
[36] Ibid., pp. 18-19
[37] Ibid., pp. 19-20
[38] Santificazione della festa, Piacenza 1903, pp. 7-8
[39] Ibid., pp. 14-15
[40] Ibid.,pp. 9-10
[41] Come santificare la festa, Piacenza 1904, pp. 23-24.
[42] Santificazione della festa, Piacenza 1903, pp. 20-21.
[43] Ibid., pp. 17-18
[44] Ibid., p.21
[45] Ibid., pp. 25-26
[46] Come santificare la festa, Piacenza 1904, p. 14.
[47] Atti e documenti del Primo
Congresso Catechistico, Piacenza 1890, p. 120.
[48] Il Catechismo Cattolico, Piacenza 1877, p. IX.
[49] Sull’insegnamento del Catechismo, Piacenza 1876, p. 4.
[50] Il Catechismo Cattolico, Piacenza 1877, pp. 33-35.
[51] Ibid., pp. 1-3
[52] Ibid.,pp. 10-11.
[53] Atti e documenti del Prima
Congresso Catechistico, Piacenza 1890, pp. 236-237.
[54] Per la Visita Pastorale, Piacenza 1876, pp. 15-16.
[55] Educazione Cristiana, Piacenza 1889, pp. 15-17
[56] Ibid., pp. 28-29
[57] Ibid., pp. 37-38.
[58] Discorso per la distribuzione dei premi presso i Fratelli delle Scuole Cristiane (AGS 3018/15).
[59] Il Catechismo Cattolico, Piacenza 1877, pp. 42.46.
[60] Premessa alla ristampa del Catechismo Diocesano, Piacenza 1881, pp. 10.11.
[61] Sull’insegnamento del Catechismo, Piacenza 1876, pp. 18-19.
[62] Ibid., pp. 19-21.
[63] Ibid., pp. 24-25
[64]Ibid.,
pp.47-49
[65] Ai Maestri e alle Maestre
delle Scuole Catechistiche, Piacenza 1877, p. 33.
[66] Il Catechismo Cattolico, Piacenza 1877, pp. 95-102.
[67] Ibid., p.71.
[68] Ibid., p. 129.
[69] Ibid., p. 142.
[70] Ibid., p. 86.
[71] Ibid., p. 93.
[72] Ibid., pp. 85-86.
[73] Ai Maestri e alle Maestre
delle Scuole Catechistiche, Piacenza 1877, pp. 23-24.
[74] Il Catechismo Cattolico, Piacenza 1877, pp. 88-89.
[75] Ibid., p. 127.
[76] Sull’insegnamento del Catechismo, Piacenza 1876, p. 46.
[77] Il Catechismo Cattolico, Piacenza 1877, p. 103.
[78] Atti e documenti del Primo Congresso Catechistico, Piacenza 1890, p. 187. II
“Ven.mo Confratello di Ventimiglia” è il Servo di Dio Mons. Tommaso dei
Marchesi Reggio.
[79] Lett. a Leone XIII,
12.9.1889 (ASV-SS, Rub. 12/1889, pp. 242-243).
[80] Piccolo Catechismo proposto agli asili d’infanzia, Como 1875, p. 34.
[81] Ibid., p. 14.
[82] Il Catechismo Cattolico, Piacenza 1877, p. 111.
[83] Ibid., pp. 105-109.
[84] Piccolo Catechismo proposto
agli asili d’infanzia, Como 1875, p. 8.
[85] Il Catechismo Cattolico, Piacenza 1877, pp. 104-105.
[86] Ibid., pp.110-111.
[87] Piccolo Catechismo proposto agli asili d’infanzia, Como 1875, p. 22.
[88] Il Catechismo Cattolico, Piacenza 1877, p. 109.
[89] Piccolo Catechismo proposto agli asili d’infanzia, Como 1875, p. 14.
[90] Il Catechismo Cattolico, Piacenza 1877, pp. 12-113.
[91] Piccolo Catechismo proposto agli asili d’infanzia, Como 1875, p. 37.
[92] Ibid., p.37.
[93] Il Catechismo Cattolico, Piacenza 1877, p. 91.
[94] Ibid., p. 88
[95] Ibid., p. 124.
[96] Scuola di Catechismo per la
gioventù studiosa, Piacenza 1890, pp. 6-7.
[97] Il Catechismo Cattolico, Piacenza 1877, pp. 141-142.
[98] Educazione cristiana, Piacenza 1889, pp. 26-27.
[99] “Necessità di un Catechismo unico e universale”, minuta del 1889 (AGS 3018/14).
[100] Discorso per il saggio
annuale delle sordomute, 27.7.1885 (AGS 3018/17).
[101] Intorno all’istruzione dei
sordo-muti, Piacenza 1880, pp. 5-7.
[102] Ibid.,pp.8-12.
[103] Ibid., pp.20-21.
[104] Discorso per il saggio annuale delle sordomute, 9.12.1886 (AGS 30 18/17).
[105] Ibid.
[106] Intorno all’istruzione dei sordo-muti, Piacenza 1880, pp. 13-14.
[107] Ibid., pp. 22-24.
[108] Discorso per il saggio annuale delle sordomute, 6.12.1888 (AGS 3018/17).
[109] Discorso per il saggio annuale delle sordomute, 10.6.1897 (AGS 3018/17).
[110] Lett. al Prefetto di Piacenza, in risposta a lettera del Prefetto del 20.3.1903 su richiesta di informazioni da pare della Regina Margherita di Savoia (AGS 3033). L’Istituto per i sordomuti fu fondato dal Servo di Dio Mons. Francesco Torta nel novembre 1903.